Il Silvio Berlusconi che ieri è riapparso sulla scena dopo quattro giorni di silenzio è sembrato al tempo stesso un uomo potente e un uomo stanco. Potente perché ha dimostrato quasi ostentato – di disporre come nessun altro del principale mezzo di persuasione di massa: la televisione. E stanco perché stanca era la sua faccia, stanchi i suoi occhi cerchiati, stanche e vecchie soprattutto le sue parole, con quella ripetizione ossessiva del pericolo comunista.
Bersani ha annunciato che protesterà contro l’autorità che controlla le comunicazioni, e c’è da capirlo. Il presidente del Consiglio ha parlato a reti praticamente unificate, diffondendo i suoi monologhi (faceva tenerezza sentire i conduttori dei tg che li chiamavano «interviste») senza alcun contraddittorio. Bersani ha parlato di Bielorussia ed è certamente un’esagerazione perché non siamo in Bielorussia e oggi ci saranno altri media a dare spazio a opinioni diverse da quelle del premier; però è un fatto che quella di ieri sera è parsa una prova di forza che assomiglia molto a una prova di prepotenza.
Ma proprio per questo non sappiamo quanto Bersani – e con lui Pisapia, De Magistris e tutto il centrosinistra – debbano dolersi della raffica di telecomizi. Il modo con cui Berlusconi ha deciso di irrompere nella campagna per i ballottaggi finirà inevitabilmente con il dare fiato a chi sostiene, da sempre, che le elezioni in Italia non si giocano ad armi pari. Come replicare a chi dirà, oggi, che c’è un gigantesco conflitto di interessi, con il presidente del Consiglio che in campagna elettorale usa le sue tre televisioni – e due canali di Stato su tre – per chiedere il voto agli elettori? Ci sbaglieremo, ma ci pare che mai come ieri sera Berlusconi abbia usato in modo così plateale il suo potere televisivo.
E forse questa scelta di non «contenersi», questa decisione di non rispettare neppure alcuna forma o etichetta, è il segnale di una debolezza. Può darsi benissimo che il centrodestra vinca i ballottaggi (le due partite di Milano e Napoli sono ancora aperte) ma l’impressione che Berlusconi ha dato ieri è quella di un leader che si sente minacciato come non mai, e che per questo spara contemporaneamente tutte le munizioni rimaste.
È un’impressione confermata anche dalle argomentazioni usate. Dicevamo dello spauracchio del comunismo. Berlusconi ha parlato di una Milano invasa dalle bandiere rosse e del progetto di Pisapia di fare del capoluogo lombardo «una Stalingrado d’Italia». Ma chi vive a Milano ha la stessa impressione? Ce l’hanno i cittadini che vedono, semmai, le strade invase dai manifesti del Pdl che hanno coperto quasi ovunque quelli di Pisapia? Ce l’ha la grande borghesia – quella, ad esempio, di un Piero Bassetti, primo presidente della Regione e democristiano che da tempo ha deciso di appoggiare il centrosinistra? Si può ancora far credere che qualcuno (addirittura un qualcuno che disporrà dei soli poteri di un sindaco) possa resuscitare il comunismo? A chi contestava a Montanelli, negli ultimi anni della sua vita, di non far più battaglie contro i comunisti, Indro rispondeva: «Io sono ancora anticomunista. Ma le battaglie le faccio contro i vivi, non contro i morti».
E ancora: i cattolici milanesi davvero penseranno che Pisapia farà della città «una zingaropoli islamica»? Non pare affatto che il cardinal Tettamanzi, e i parroci con lui, abbiano simili paure. E di nuovo: il premier ha promesso «meno tasse per tutti». Era il suo slogan tanti anni fa, quando la sua avventura politica era agli inizi. A Milano e Napoli crederanno davvero che Berlusconi possa cominciare adesso a fare ciò che non ha fatto finora?
Il Silvio Berlusconi di ieri sera è parso un leader logorato da tante battaglie. Un leader che si è sforzato di mostrare il sorriso vincente d’antan prima di passare a leggere il «gobbo» di fronte a lui. Può darsi benissimo che vincerà anche questa partita. Ma ieri non ha dato l’impressione di credere alla vittoria.
La Stampa 21.05.11