Cresce il fenomeno dei ritardi scolastici: l’età critica è tra gli 11 e i 13 anni Status della famiglia e comportamenti a rischio sono le cause principali
Bocciata la scuola media. La Fondazione Agnelli in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica e Microbiologia di Torino ha condotto uno studio interamente dedicato alla scuola secondaria di primo grado. Il rapporto completo uscirà in autunno e non sarà lieve. I risultati – è scritto – «mettono in dubbio la capacità della scuola secondaria inferiore di garantire pari opportunità di apprendimento a tutti e di adempiere, quindi, a una delle missioni istituzionali che le sono state attribuite».
Il fallimento – prosegue il rapporto messo a punto da Gianfranco De Simone, ricercatore della Fondazione – investe direttamente l’organizzazione e le pratiche didattiche messi in atto in questo particolare segmento del processo educativo».
Un giudizio duro, insomma, riferito soprattutto agli studenti stranieri, spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione. «Il sistema italiano prevede che i ragazzi vengano inseriti immediatamente nelle scuole se arrivano in Italia e sono nell’età dell’obbligo scolastico. A volte non parlano nemmeno italiano, vengono catapultati a scuola senza ammortizzatori di alcun tipo. Alle primarie in genere vengono promossi, è alle medie che si scontrano con la possibilità di una bocciatura e il rischio di non farcela può essere fino a 19 volte più elevato di quanto non avvenga ad uno studente italiano».
E’ quello che accade in terza media agli studenti stranieri con maggiori problemi, quelli arrivati in Italia in età scolare. Ma il divario rispetto ai coetanei italiani è già accentuato in prima media, 18 volte superiore. Anche per gli stranieri di seconda generazione, quelli nati in Italia, non va benissimo. Arrivano alle scuole medie in condizioni di sostanziale parità rispetto agli italiani ma già alla fine della terza media «la sua probabilità di perdere uno o più anni per strada cresce fino a diventare di 3,5 volte superiore a quella di un suo pari italiano».
Il motivo? «Problemi linguistici e di adattamento al nuovo contesto», risponde lo studio. Ma anche la conseguenza di «una pratica didattico-organizzativa: i nuovi arrivati vengono spesso inseriti in classi non corrispondenti all’età anagrafica, e inferiori ad essa, cumulando così un ritardo scolastico, rispetto ai coetanei di uno, due o più anni»
Il ritardo può in parte essere spiegato anche con problemi di integrazione fra studenti: il 76% degli italiani di 13 anni ritiene di essere accettato, il 70% dei coetanei stranieri. Nonostante i mille problemi, però, «ai ragazzi stranieri la scuola piace più di quanto non piaccia ai loro coetanei italiani, è un dato che deve far riflettere», sottolinea Franco Cavallo, docente di Epidemiologia Clinica all’università di Torino e responsabile per l’Italia di HBSC, la ricerca sugli adolescenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui cui dati è stato realizzato lo studio della Fondazione Agnelli. Mostrano di apprezzare la scuola il 52% dei tredicenni italiani e il 58% dei figli di stranieri nati all’estero. E’ uno strumento «per migliorare le proprie condizioni di vita» ma anche un’alternativa preferibile «rispetto ad un ambiente domestico ritenuto meno stimolante».
Altri fattori a rischio nei ritardi sono quelli relativi alla salute: chi consuma alcol almeno una volta al mese ha il 50% di probabilità in più di essere in ritardo negli studi. Chi fuma più o meno regolarmente ha una probabilità di 4 volte superiore.
Non esistono grandi differenze tra Nord e Sud nelle bocciature e nei ritardi scolastici. Esiste però – sottolinea il rapporto – «un’attenuazione della selettività nel corso della scuola secondaria inferiore per alcune regioni meridionali», dalla Campania alla Calabria ma anchePuglia e Basilicata. A essere a rischio soprattutto i maschi, che in prima media hanno una probabilità del 30% superiore rispetto alle femmine di trovarsi in ritardo. Un valore che in terza media arriva al 50%. Rispetto ad un figlio di laureati chi ha genitori con la licenza media ha tre volte più probabilità di essere in ritardo in prima media e quattro volte di più in terza media.
Le soluzioni? «Un supporto differenziato ma garantito a tutti nelle ore pomeridiane», risponde il rapporto. E sostegno agli studenti stranieri arrivati in Italia in età scolare con «classi di benvenuto» e «specifici supporti pomeridiani».
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«L’integrazione deve iniziare tra i banchi», di Flavia Amabile
L’ Italia? Sta crescendo una generazione di immigrati frustrati, un errore che corre il rischio di pagare caro in futuro». E’ l’opinione di Maurizio Ambrosini, docente dei processi migratori dell’università di Milano e direttore della rivista «Mondi Migranti».
Professore, i ragazzi stranieri arrivati in Italia adolescenti hanno una probabilità 18 volte più alta di avere problemi a scuola rispetto ai coetanei italiani. Perché tanto divario?
«Se gli stranieri sono arrivati da piccoli a scuola vanno bene, se invece sono arrivati già abbastanza grandi è tutto più difficile. E’ così negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dove comunque è più facile che chi arriva conosca la lingua. In Italia esiste un ulteriore ostacolo creato proprio dall’idioma: fatta eccezione per gli albanesi o per gli ecuadoriani che parlano spagnolo, nessuno conosce o ha la minima dimestichezza con l’italiano».
I problemi incontrati dai ragazzi sono di tipo familiare o scolastico?
«Di entrambi i tipi. Il fenomeno migratorio italiano è recente, molte famiglie sono in condizioni di precarietà lavorativa ma spesso anche abitativa: si vive in case occupate da più famiglie o sotto sfratto. Un ragazzo straniero in genere ha maggiori problemi di spazio e difficilmente ha la tranquillità e la serenità dei suoi coetanei italiani. E’ più raro anche che abbia genitori in grado di aiutarlo nei compiti, non per mancanza di volontà quanto per incapacità di comprendere appieno i testi da studiare o per l’incapacità di scrivere un tema».
Esiste però anche un problema di integrazione a scuola. Il ministro Gelmini ha provato a risolverlo stabilendo un tetto del 30 per cento degli stranieri nelle classi.
«Quello del ministro Gelmini è stato un tentativo lodevole di affrontare il problema ma non tiene conto di un aspetto rilevante: la necessitàdi effettuare investimenti specifici, assegnando risorse e realizzando progetti educativi finalizzati. Fino a una decina di anni fa in provincia di Milano c’era un insegnante dedicato ogni 50 studenti, oggi ce ne sarà uno ogni 600».
Nonostante le carenze nelle politiche di integrazione, agli studenti stranieri la scuola piace più di quanto non piaccia agli italiani.
«E’ un elemento molto importante. Questi ragazzi, infatti, desiderano integrarsi, vogliono inserirsi in Italia, e quindi ne apprezzano le scuole e i professori. E’ un peccato non capire questo desiderio di integrazione, stiamo crescendo una generazione di frustrati senza renderci conto che non si tratta di un loro problema, ma di un nostro problema: integrarli significa occuparsi del nostro futuro».
Da La Stampa