Vinta dal Pd la corsa per Torino e per Bologna, bisogna ancora giocare il secondo tempo della partita per Napoli e per Milano, coi ballottaggi. Ma dopo quasi vent´anni la percezione dei cittadini oggi è che l´Italia abbia deciso di voltare pagina, stufa delle bugie, del parossismo, dell´estremismo che Silvio Berlusconi ha disseminato a piene mani nella campagna elettorale, spinto dall´ansia per un giudizio popolare non soltanto sul suo governo, ma sull´insieme della sua avventura politica. Mentre ancora si deve scegliere il sindaco, quel giudizio c´è stato, e netto. Il Paese vuole cambiare. Ha riscoperto il diritto di credere che il cambiamento è possibile.
È come la riscoperta della politica. Perché quel che è mancato in Italia, negli ultimi due anni, è proprio la politica, nel Paese e nel governo. Entrato a Palazzo Chigi con una maggioranza parlamentare enorme, il Premier l´ha distrutta con le sue mani, confermando nella frattura con Fini quell´incapacità di esercitare la leadership che già aveva manifestato nel ´94, rompendo con Bossi. Ha cercato di rimediare comperando singoli parlamentari in offerta speciale, garantendosi così i numeri per le leggi ad personam, confezionate per tagliare prescrizioni e allungare processi, in modo da sfuggire ai suoi giudici e all´uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma oltre i numeri non ha saputo costruire una strategia, un´alleanza e soprattutto una politica, perché non sono in vendita sul mercato.
Il risultato è un Paese non governato, senza politica estera, senza credibilità internazionale, con una politica economica che bypassa il Premier, prigioniero di un mantra che oscilla tra il negazionismo della crisi e della mancata crescita e il velleitarismo liberista del taglio delle tasse.
È difficile credere che la prudenza, l´equilibrio, l´autocontrollo possano essere le virtù del Cavaliere e, nel 2011, l´archetipo politico del berlusconismo. È arduo pensare che nei prossimi quindici giorni, e infine in quel che resta della legislatura, il presidente del Consiglio possa rimpannucciarsi negli abiti dell´imprenditore onesto e competente, del leader liberalmoderato interessato soltanto alle fortune del Paese, del custode dei valori della famiglia, del guardiano dei buoni costumi. È difficile credere al «ritorno al futuro» del premier per ragioni che andrebbero radicalmente rimosse e non possono ragionevolmente esserlo. Il passato della sua storta avventura imprenditoriale lo perseguita e gli rende impossibile affrontarne oggi gli esiti, spogliato dalle guarentigie del potere. Il nodo è sempre quello, dunque: l´impunità di Silvio Berlusconi. È il nodo che lo ha convinto, diciassette anni fa, a farsi capo partito. È lo stesso nodo che, da quasi venti anni, tiene sotto sequestro il destino politico del Paese. Come scioglierlo? Può essere la «moderazione», la via?
Si deve esaminare ciò che abbiamo avuto sotto gli occhi in queste settimane. Il presidente del Consiglio si è convinto ad accelerare rumorosamente il rifiuto dello Stato di diritto come sistema di vincoli imposti al potere. Naturalmente, non era un ghiribizzo e meno che mai volontà riformatrice. C´era al fondo una necessità tangibile. La liquidazione della sostanza della democrazia costituzionale – con l´esplicito progetto di annullare il sistema di separazioni e contrappesi, di funzioni e istituzioni di garanzia – non era, non è la strada per affrontare la crisi italiana che egli – capo del governo – è chiamato a superare. Era, è l´antidoto al disfacimento della mitologia dell´«uomo del fare». È il rimedio al suo personale collasso di uomo pubblico. Ha tre processi penali in corso. Raccontano di quale trama è tessuto il suo successo. Ha corrotto un testimone per salvarsi da due severe condanne. Con la frode fiscale e l´appropriazione indebita ha spogliato a suo vantaggio le ricchezze di Mediaset, quotata in borsa. Un giudizio civile d´appello deve presto quantificare – in centinaia di milioni di euro – il danno prodotto dalla corruzione di un giudice che gli ha consentito di mettere le mani abusivamente sulla Mondadori. Un quarto processo penale dà notizia non delle sue abitudini private, come ripetono i cortigiani, ma di un´irresponsabilità politica e di una sexual addiction che lo espone al ricatto mentre vìola (è l´accusa che deve affrontare) il corpo di una minorenne. Sono tutte qui – concretissime, dunque – le ragioni dell´estremismo politico che lo ha convinto a «decostituzionalizzare il sistema politico italiano». L´accusa di «brigatismo giudiziario»; i manifesti contro le Brigate rosse in toga; la denuncia dei patti scellerati tra i suoi oppositori politici e i pubblici ministeri; la denigrazione della Carta fondamentale; il disprezzo per la Corte costituzionale; la denuncia dei «troppi poteri» del Capo dello Stato; il rimpianto per l´impunità parlamentare; la minaccia di punitive inchieste parlamentari; la responsabilità civile dei giudici (vuole castigarli nel portafoglio) – in una parola l´estremismo politico, ideologico, urlatissimo di Berlusconi non è altro che il dispositivo per seppellire il (suo) passato, neutralizzare un presente processuale, garantirsi con una «riforma epocale della magistratura» un futuro di quiete e la conquista del Quirinale.
A questi obiettivi Berlusconi ha voluto piegare un voto amministrativo. Ha animato il suo messaggio propagandistico nel ridotto del Palazzo di Giustizia di Milano dove si è trascinato simulando di voler partecipare a processi che lo hanno visto sempre fuggiasco (c´è da giurarci, da quelle parti non si farà più vedere). In modo esplicito, il Cavaliere ha chiesto un ricco consenso contro la magistratura e un sontuoso plebiscito per se stesso, per la sua storia opaca, per la sua impunità, per la manomissione degli equilibri costituzionali: «A Milano sono elezioni politiche nazionali», ha gridato sentito da tutti. Ora, quale che sia il risultato del ballottaggio tra Pisapia e Moratti, la volontà popolare si è fatta sentire: lo ha bocciato dimezzandogli i voti e negandogli il plebiscito. Cosi che, a urne chiuse, sarà davvero difficile proporre in Parlamento la «prescrizione breve», il «processo lungo», la paralisi dei processi sui cui pende un conflitto di attribuzione, l´inutilizzabilità delle intercettazioni nel processo penale, la riforma costituzionale della giustizia, «epocale».
La scena consegna il capo del governo a un´alternativa del diavolo. O, per proteggere la sua declinante leadership politica, si fa «moderato» e rinuncia al conflitto con la magistratura e al programma immunitario. O, contrabbandando la sua urgenza privata come interesse nazionale, mette mano alla annunciata neutralizzazione del sistema di regole. In questo caso, rischia di rompere il precario equilibrio del governo perché la Lega non può pagare altri prezzi alle leggi ad personam. Nel primo caso, il prezzo lo ha pagato soltanto lui, Berlusconi: come ogni cittadino, egli dovrebbe accettare di dimostrare le sue ragioni e quindi la sua innocenza nel processo nei modi e nei tempi previsti dal codice senza il conforto di leggi scritte ad hoc. Ma Silvio Berlusconi può permetterselo? I suoi comportamenti di ieri e di oggi glielo consentono? È legittimo dubitarne come è ragionevole credere che gli sia preclusa ogni moderazione politica e istituzionale. Il premier non ha alternative: se non vuole perdere il potere, non può accettare stati di quiete. Se vuole difenderlo, deve accrescerlo, il suo potere. Non ha altra chance. È quel che farà o tenterà di fare. Costi quel che costi. La profezia è facile. Con buona pace di un´improponibile moderazione.
La Repubblica 18.05.11