Due risposte molto chiare. La prima sul piano nazionale, la seconda sul governo delle città. E’ questo il significato fondamentale delle elezioni amministrative che hanno coinvolto circa 13 milioni di italiani. A Milano, la sorpresa maggiore e dalle conseguenze più importanti: Berlusconi aveva sollecitato un altro referendum su di sé e, questa volta, è stato sconfitto. La Lega sperava di cavalcare l’onda lunga di un successo che sembrava crescente e, invece, deve registrare un netto arretramento. La delusione per i voti mancati a Bossi e per l’imprudente affiancamento del leader leghista alla campagna elettorale della Moratti aprirà certamente una profonda riflessione in quel partito, con probabili conseguenze negli equilibri del governo nazionale.
Anche perché non è solo a Milano che la Lega perde consensi. Pure nell’altra grande città del Nord, a Torino, il test per il partito del governatore piemontese Roberto Cota non è certo rassicurante.
Alla riflessione è soprattutto chiamato, però, il presidente del Consiglio. Non solo per gli effetti della radicalizzazione propagandistica che ha voluto imprimere alla campagna elettorale. Non solo per la scelta di aver sovrapposto la sua persona alle sorti precarie dell’esperienza della Moratti a Milano, ricorrendo a un carisma che non sembra più sufficiente a ribaltare anche le situazioni più disperate. Ma per i risultati del suo governo, certamente deludenti per una parte non marginale del suo elettorato. Motivo non secondario di un esito elettorale che non è, comunque, esagerato definire clamoroso.
E’ molto interessante, però, anche il secondo responso, quello che riguarda più strettamente la natura amministrativa di questo voto. Il verdetto delle quattro sfide nelle città più importanti, Milano, Torino, Napoli e Bologna, dimostra quanto conti il giudizio degli elettori su come siano stati governati e la loro opinione sulle personalità che si candidano a sindaci. Il parere dei milanesi sull’operato della Moratti non consente dubbi: non solo la candidata Pdl alla rielezione non ha vinto al primo turno, ma è stata nettamente superata dal suo sfidante di centrosinistra. La differenza tra i suoi voti e quelli delle liste che l’hanno appoggiata, inoltre, conferma inequivocabilmente la bocciatura del suo quinquennale mandato.
Stesso discorso, ma tutto al contrario, si può fare per Torino. Qui, il consenso sulle giunte guidate da Chiamparino ha certamente agevolato la strada del candidato di centrosinistra alla sua successione, ma anche la presenza di un leader forte, esperto, autorevole ha rassicurato la città nella speranza che continui il rilancio della capitale subalpina sul piano nazionale. A Napoli, poi, il Pd ha pagato duramente sia i risultati negativi dell’amministrazione Iervolino, sia le divisioni e gli scandali avvenuti alle primarie. Stesso discorso si può fare a Bologna, per la stenta, se pure sarà confermata dai risultati finali, vittoria del candidato Pd nella città più tradizionalmente «rossa».
Sempre per restare nel campo della sinistra, l’ottimo risultato delle liste «Cinque stelle» di Grillo, pur prive di risonanza mediatica «tradizionale», deve far riflettere la dirigenza del principale partito dell’opposizione. Così come il successo di De Magistris a Napoli dimostra, il Pd non riesce ad assorbire e a rappresentare anche il disagio di una ribellione al modo di fare politica che non può essere ignorata e tanto meno disprezzata.
C’era un’altra incognita, infine, sulla quale si era concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica in questo parziale, ma importante voto amministrativo. Era atteso un primo responso sul futuro del nuovo terzo polo della politica italiana, quello rappresentato dalla triade dei suoi leader, Casini, Fini, Rutelli. L’ambizione era quella di essere determinanti per la vittoria di uno o dell’altro schieramento. Dal punto di vista numerico, la percentuale dei suffragi non sembra molto confortante. Ma non è questo il punto più grave per i dirigenti di quei partiti. E’ vero, come si sono subito affrettati a dichiarare, che si può anche considerare come un punto di partenza per una corsa che, evidentemente, dovrà aver più tempo per accelerare l’andatura. Ma il problema che ora si presenta davanti al «Terzo polo» è di natura più politica che aritmetica. Si tratta, infatti, di scegliere, per i ballottaggi a Milano e a Napoli, chi sostenere tra i due contendenti. Una decisione difficile, soprattutto in vista del duello Pisapia-Moratti tra quindici giorni. Dovranno valutare se far prevalere il desiderio di vedere sconfitto Berlusconi nella capitale del berlusconismo, con possibili drammatici effetti sul governo nazionale e sulla sorte stessa dell’esperienza politica del Cavaliere. Oppure privilegiare il timore di una pericolosa spaccatura tra la dirigenza e un elettorato che, del moderatismo, è forse l’espressione più pura. In ogni caso, il prezzo per il destino del «Terzo polo» potrebbe essere salatissimo.
La Stampa 17.05.11