"In difesa dell'Università che amplifica il sapere", di Goffredo Fofi
Guardo con mistero e sconcerto a guerre e mafie all’interno delle facoltà. E con meraviglia alle grandi capacità che spesso si producono negli atenei. Per ovvie ragioni “di classe” non ho fatto a suo tempo l’università, un tipo di scuola riservato, allora, alle classi abbienti o alla piccola borghesia emergente. Il boom non era ancora arrivato e a Barbiana non avevano ancora scritto la “lettera a una professoressa”. Ho conosciuto, è ovvio, centinaia, forse migliaia di laureati, e anche di professori universitari, di assistenti universitari, di ricercatori universitari, sentendo a lungo (e ancora oggi) un forte sentimento di inferiorità verso coloro che l’università l’avevano fatta o la facevano. Quello di cui più soffrivo era di “non avere un metodo” nell’affrontare i miei studi e le mie letture, le mie ambizioni di inchiestatore o di critico o, un tempo, il lavoro con i bambini al di fuori delle istituzioni regolamentari. La messa in atto dei miei interessi e delle mie passioni avrebbe richiesto un’adeguata preparazione scientifica che assolutamente non avevo e non ho mai avuto. E …