In vigore da poco più di un mese, la legge francese sul divieto del velo integrale negli spazi pubblici rilancia il tema della laicità. Voluta dal segretario dell´Ump Jean-François Coppé, questa legge è sintomatica del “ripiego identitario” che caratterizza oggi una buona parte dell´Europa e mostra bene come strumentalizzare la laicità serva spesso solo ad alimentare gli integralismi. Come a Tolosa, nel sud-ovest della Francia, quando un´insegnante di una scuola privata musulmana è stata interpellata da una pattuglia della polizia che passava per strada. Un testimone che voleva filmare la scena è stato arrestato. E qualche ora più tardi, davanti al commissariato centrale, si è assistito all´organizzazione di una preghiera collettiva…
La laicità resta un valore cardine della République. Dal 1905, anno di adozione della famosa legge difesa da Aristide Briand, lo Stato non riconosce e non sovvenziona nessun culto: ognuno è libero di credere o meno e, in materia religiosa, il solo scopo della Repubblica è di far convivere atei e credenti senza privilegi o discriminazioni. Almeno in principio, ognuno dovrebbe essere libero di praticare la propria religione e di rispettarne le regole. Perché la fede appartiene alla sfera privata e lo Stato non deve intervenire né per favorire né per discriminare i diversi culti.
Come spiegava già Locke, il potere politico non può permettersi di enunciare regole e norme in materia religiosa perché non è suo compito “governare le coscienze”. I cittadini, però, devono a loro volta rispettare le regole comuni ed evitare qualunque forma di proselitismo religioso nelle strutture pubbliche (ospedali, tribunali, scuole, servizi). È all´interno di questa logica che, in Francia, si inserisce la famosa legge del 15 marzo 2004, che proibisce non solo di portare il velo a scuola, ma anche di indossare, nelle aule scolastiche, qualunque simbolo religioso visibile, come la kippa o la croce. Ma si può invocare la laicità per giustificare quest´ultima legge che vieta alle donne di portare per strada un velo integrale (burqa o niqab)?
L´argomento utilizzato dal legislatore non è stato esplicitamente quello della laicità. Nei dibattiti parlamentari, alcuni hanno insistito sulla dignità delle donne. Altri sulle questioni legate alla sicurezza: portare un velo integrale non permetterebbe di identificare colei che lo indossa e ci sarebbe dunque il rischio di utilizzare il velo per atti illegali. È tuttavia proprio nel nome della laicità che molti difendono la legge anima e corpo. In un clima sempre più teso, si insiste sul pericolo dell´Islam radicale, evocando la fine della cultura francese e demonizzando ogni forma di multiculturalismo. Mentre Marine Le Pen cresce nei sondaggi accusando il governo di lassismo e Nicolas Sarkozy dichiara che nella trasmissione dei valori nessun insegnante può sostituirsi a un prete o a un pastore.
Che cosa resta allora della laicità? Come rendere possibile la convivenza di valori differenti senza per questo rinunciare al patrimonio culturale del proprio paese o chiudere gli occhi sul fatto che alcune donne siano costrette a velarsi e certe adolescenti vengano maltrattate dai padri solo perché corteggiate a scuola, come accaduto recentemente in Italia?
In un´epoca come la nostra, in cui la questione della laicità va di pari passo con l´aumento non solo degli integralismi religiosi, ma anche dell´intolleranza e del razzismo, forse bisognerebbe interrogarsi di nuovo sul significato dell´espressione “identità nazionale” e cercare di capire come il rispetto delle differenze non implichi necessariamente una “tolleranza passiva”, come ha recentemente affermato il primo ministro britannico David Cameron, denunciando il fallimento del multiculturalismo all´anglosassone. Ogni paese ha certamente un proprio patrimonio culturale specifico, che va di pari passo con la storia della propria unità, con le contraddizioni e le difficoltà che si sono di volta in volta incontrate per imparare a vivere insieme. Cultura, usi e costumi fanno parte delle nostre radici e ci permettono di sapere da dove veniamo e dove vogliamo andare. Indipendentemente dal paese in cui ci troviamo, la nostra lingua, le nostre credenze religiose e nostri valori contribuiscono a farci sapere chi siamo. Al tempo stesso, però, l´identità non è mai monolitica. Ogni persona evolve e si trasforma grazie anche a tutti coloro che incontra nel corso della propria vita. E un discorso analogo vale anche per l´identità di un popolo. La conoscenza di altre culture ci arricchisce e ci permette di rimettere in discussione le nostre certezza. Certo l´Altro, in quanto “altro”, disturba e sconcerta. A causa della sua “differenza”, ci obbliga ad interrogarci sul ruolo che l´alterità occupa nella nostra vita, e sullo spazio che siamo disposti a darle. L´altro è il contrario dell´ordinario e dell´abituale. È per questo che molto spesso lo si rifiuta, utilizzando la nozione di identità per far credere alla gente che esista una barriera rigida capace di distinguere l´io dal non-io, il fratello dallo straniero: una barriera che si erige ogni qualvolta una cultura, una religione o una società non riesce né a pensare l´altro, né a pensarsi con l´altro. Ma erigere barriere o promulgare leggi che nel nome di una certa laicità interferiscono con le scelte religiose dei singoli individui non serve a pacificare una società.
Questo tipo di strategie non fa altro che spingere alla radicalità. Al contrario della tolleranza, che è la vera colonna vertebrale della laicità. Anche se la tolleranza non è mai, come ci insegna Voltaire, mera passività. Accettare la diversità religiosa e culturale non significa chiudere gli occhi di fronte a pratiche estremiste che ledano i diritti umani fondamentali su cui si basa la nostra società. Ma il caso del velo integrale per la strada non è certo una di queste pratiche. Il vero compito di uno Stato laico non dovrebbe d´altronde essere quello di organizzare la coesistenza delle diverse libertà?
La Repubblica 15.05.11