L’Italia resta molto in basso, fra i Paesi più industrializzati, nella classifica dei salari netti, ma non riesce neanche ad approfittarne per essere più competitiva, perché si piazza sciaguratamente ai primi posti per il prelievo fiscale (tasse e contributi si mangiano quasi il 47 per cento del lordo) e così a un modesto potere d’acquisto per i lavoratori si associa un alto costo del lavoro per le imprese, la peggior combinazione possibile.
L’Ocse associa i 34 Paesi più avanzati dell’Occidente, cioè dell’Europa e del Nord America con l’aggiunta (stiracchiando un po’ la geografia) del Giappone, della Corea del Sud, dell’Australia e della Nuova Zelanda e altri sparsi qui e là. Fra questi trentaquattro il Belpaese nel 2010 si è collocato al 22˚ posto e si tratta già di un miglioramento perché ha approfittato dello sconquasso finanziario di Atene per scavalcare la derelitta Grecia (nel 2009 ci accontentavamo del 23˚ gradino). Dietro di noi ci sono gli altri Stati dell’Occidente più squassati dalla crisi (Islanda e Portogallo, però non la Spagna, che fa meglio di noi piazzandosi al 19˚ posto) e poi una sfilza di Paesi poveri dell’Europa dell’Est, la Turchia, il Cile e il Messico.
Nel 2010 in Italia il salario netto medio di un lavoratore «single» senza figli a carico è stato di 25.155 dollari. La cifra è inferiore sia alla media Ocse (26.436 dollari) sia a quella dell’Ue a 15 (30.089). Il salario lordo è stato invece di 35.847 dollari, lievemente superiore alla media Ocse (35.576) ma molto inferiore a quella europea (42.755). In questa classifica l’Italia è al 19˚ posto.
Un disastro sul fronte fiscale. Il rapporto «Taxing Wages» dell’Ocse dice che nel 2010 quest’onere per i lavoratori, mettendo assieme quanto versato da loro e dai datori di lavoro, è aumentato di 0,4 punti percentuali rispetto al 2009, arrivando al 46,9% e questo ci colloca al quinto posto. Davanti abbiamo Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%).
L’Ocse rende note anche altre classifiche fra cui quella delle coppie sposate con due figli; qui va persino peggio che per i single, perché in Italia il livello di pressione fiscale risulta il terzo dell’Ocse al 37,2 per cento, dopo quelli della Francia (42,1%) e del Belgio (39,6%).
Ovviamente il problema del «cuneo fiscale» si lega al pesantissimo debito pubblico dell’Italia e alla necessità di farvi fronte; è questo che impedisce di tagliare le tasse, a dispetto delle promesse che arrivano. Per il partito democratico Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro alla Camera dei deputati, osserva che nel 2010 «l’Italia ha aumentato la pressione fiscale sui salari di 0,4 punti, arrivando al 46,9% di prelievo, e gli stessi salari sono agli ultimi posti tra quelli dei Paesi dell’Ocse. Si sa che questo governo commenta soltanto i rarissimi dati positivi mentre ignora, volutamente, le brutte notizie. Viene così ulteriormente smascherata la bugia di un governo che avrebbe diminuito la pressione fiscale». Il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, dice che «bisogna spostare l’asse fiscale dal lavoro alle grandi ricchezze improduttive e parassitarie. I numeri forniti dall’Ocse confermano che siamo fra gli ultimi posti per il valore dei salari e, contemporaneamente, tra i primi posti per il peso del fisco su di essi. Questi numeri confermano l’urgenza di una redistribuzione della ricchezza».
Per l’Idv Antonio Borghesi accusa il governo: «Le mani in tasca ai cittadini le ha messe e come. Il fallimento della sua politica economica è sotto gli occhi di tutti. I cittadini sono sempre più poveri, i salari sono in caduta libera. Come si pensa di dare una spinta all’economia senza fare ripartire la domanda interna? Non certo con il dl sullo sviluppo».
La Stampa 12.05.11
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“Aumentano le tasse sui salari, nel 2010 pressione al 46,9%. Le retribuzioni restano tra le più basse dell’area”, di Luciano Costantini
Salari bassi, pressione fiscale su. Così l’istantanea sul nostro Paese scattata dall’Ocse nel rapporto «Taxing wages». Restiamo nei bassifondi della graduatoria delle retribuzioni e certamente non può essere una consolazione il fatto che siamo passati dal ventitreesimo al ventiduesimo posto superando la Grecia, alle prese con i problemi che tutti conoscono. In Italia il salario netto medio di un single senza figli a carico – spiega l’organizzazione parigina – nel 2010 è stato di 25.155 dollari. Cifra inferiore sia alla media Ocse (26.346 dollari) che a quella della Ue a Quindici (30.089). Il salario lordo è arrivato invece a 35.847 dollari, leggermente superiore alla media Ocse (35.576) ma inferiore a quella europea (42.755). In questa classifica siamo al diciannovesimo posto.
Una sostanziale stagnazione dei salari, appesantita dalla crescita della pressione fiscale che nel 2010 è salita dello 0,4% portandosi a quota 46,9% dal 46,5% del 2009. Anche in questo caso scaliamo un posto, dal sesto al quinto di una classifica che vede in testa il Belgio (55,4%). La Francia arriva al 49,3%, seguita dalla Germania (49,1%) e dall’Austria (47,1%). Il cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce nelle tasche dei lavoratori, nel nostro Paese è almeno di 11 punti più alto della media Ocse per ogni tipo di famiglia ed è, più precisamente, del 46,9% se si prende in considerazione il lavoratore senza figli. Il cuneo 2010 in pratica ci riporta ai livelli del 2000, dopo aver toccato un minimo del 45,7% tra il 2003 e il 2005. C’è da ricordare che la tassa sui redditi in Italia è pari al 15,4% del costo del lavoro, i contributi a carico del lavoratore (single e senza figli) ammontano al 7,2% e quelli a carico del datore di lavoro al 24,3%. Di fatto i dipendenti single in Italia portano a casa meno del 54% di quanto costano al loro datore di lavoro se hanno un salario medio e, se lo hanno più elevato, si devono accontentare del 48%. Secondo la Cgia di Mestre con la stessa pressione tributaria della Germania, gli italiani risparmierebbero 1.400 euro l’anno di tasse e, sempre a parità di condizioni fiscali, l’erario italiano riceverebbe 82 miliardi di euro in meno.
Precisa però, l’Ocse, che l’appesantimento della pressione fiscale sulle retribuzioni, nel 2010, ha riguardato 22 Paesi sui 34 dell’organizzazione e che l’Europa si conferma come l’area dove il cuneo fiscale drena gli stipendi di oltre il 40% per i single e oltre il 30% per le famiglie con figli. Molto meno il cuneo fiscale incide negli Stati Uniti dove arriva al 29% sui single e al 16,3% sulle famiglie con figli. I dati dell’Ocse danno l’opportunità ai sindacati di rilanciare ancora una volta la richiesta di una radicale riforma del nostro sistema fiscale che vada a premiare il lavoro dipendente e i pensionati. Cisl e Uil hanno già organizzato una manifestazione per il 18 giugno nella Capitale proprio per sollecitare il governo a iniziative sul tema. «Solo con una riforma equa – dice Giovanni Centrella leader Ugl – si può uscire dalla trappola dei bassi salari e alta pressione fiscale». E la Cgil torna ad insistere perché «l’asse fiscale del lavoro venga spostato dal lavoro alle grandi ricchezze improduttive e parassitarie. «I numeri Ocse – sottolinea il segretario confederale, Danilo Barbi – sono la conferma di ciò che diciamo da sempre, ovvero la redistribuzione della ricchezza». Sferzanti i giudizi dell’opposizione. Dicono Matteo Colaninno e Cesare Damiano (Pd): «Il governo commenta solo i dati positivi, smascherata la bugia che avrebbe diminuito le tasse».
Il Messaggero 12.05.11