Sospendere dall´insegnamento “per almeno tre mesi” gli insegnanti responsabili di fare “propaganda politica o ideologica” nelle scuole. È l´incredibile proposta di legge del deputato del Pdl Fabio Garagnani, ultima di un triste florilegio inquisitorio che ha per scopo, va da sé, la purificazione della scuola pubblica, infettata da sessantottini e “comunisti” e inculcatrice, secondo la celebre asserzione del premier, di “valori diversi da quelli delle famiglie” (se ne deduce che tengono famiglia solo gli italiani di destra).
Che questo sia lo scopo della sua leggina epuratrice lo chiarisce con disarmante schiettezza lo stesso Garagnani, sconvolto dalla subdola attività di propaganda “dei professori della Cgil, soprattutto in Emilia”. Del tardo maccartismo di questa e di altre sortite (per esempio l´invocata epurazione dei libri di testo “faziosi”, con buona pace della libertà di scelta del docente) si potrebbe anche sorridere, non fosse che l´onorevole Garagnani fa parte della Commissione cultura, ruolo che almeno nominalmente dovrebbe tutelarlo da una così obbrobriosa mossa anticulturale. Stabilire (per legge!) quali sono i limiti oggettivi della libertà d´insegnamento è ovviamente impossibile, per il semplice motivo che questi limiti non esistono, se non nella coscienza e nel buon mestiere di ogni singolo docente, e nella capacità di discernimento di ogni singolo alunno. A meno di decidere che una appassionata lezione su Giordano Bruno è un oltraggio alla Chiesa, che insegnare Spinoza è apologia dell´ateismo, che leggere Pavese o i Quaderni dal carcere è propaganda comunista, che indicare ai ragazzi con ammirazione l´opera di Ezra Pound o di Celine equivale a educarli al fascismo.
Certo, se un professore sale in cattedra inneggiando ai lager, o affigge un manifesto di Pol Pot sopra la cattedra, qualcosa di poco consono all´insegnamento sta accadendo: ma sono casi (rari) nei quali le autorità scolastiche, e quando occorra le autorità sanitarie, hanno modo di intervenire senza alcun bisogno di “leggi speciali” come questa.
Solo chi non è mai andato a scuola può concepire l´idea, veramente mostruosa, di un insegnamento “oggettivo” e asettico come garanzia di quella finta “neutralità” alla quale sempre si appellano i faziosi veri, cioè quelli che non reggendo l´urto delle idee altrui sperano di poterle zittire, e avendo idee piccole sentono come una minaccia ogni idea più grande di loro. Ogni liceale sa che è nel conflitto delle idee che si cresce, e ha in mente almeno un paio di professori appassionati che proprio lasciando trapelare un deciso orientamento culturale diventavano punti di riferimento.
Ebbi una professoressa di filosofia tenacemente atea e un professore di latino e greco validamente antimodernista e reazionario, ma se qualche malsano censore, scolastico o politico, si fosse sognato di biasimarlo o addirittura di impedirgli di entrare in classe, non c´è alunno del mio liceo che non sarebbe insorto. Distinguere tra la volgarità della propaganda e il fascino della cultura e delle idee è facoltà in possesso anche di un quattordicenne. La disastrosa proposta di Garagnani riesce, in uno colpo solo, a offendere, oltre che i professori, anche gli studenti, trattati da branco imbelle che si lascia sobillare dal primo agit-prof in transito: come rivela quell´orrendo verbo “inculcare” usato dal premier, forse applicabile al suo mondo di persuasione occulta, di ruffianeria commerciale, di pubblicità martellante, come illustra magnificamente la sua celebre e famigerata frase “ricordatevi che il pubblico è un bambino di otto anni”. Ma non applicabile, no davvero, al mondo della scuola, che con tutti i suoi difetti, e nonostante le privazioni imposte dall´austerità a senso unico di un potere che punisce “la scuola di sinistra” (?!) e premia le scuole devote, e private, è ancora un luogo vivo, conflittuale, libero, aperto a tutti (chissà se la parola “tutti” fa parte del bagaglio culturale dell´onorevole Garagnani).
Sarebbe magnifico che dallo stesso partito di Garagnani partisse un ragionevole impedimento a questa leggina autoritaria, sciocca, e di angosciante intolleranza. Dopotutto, definirsi “liberali” potrebbe aiutare, alla lunga, addirittura a esserlo.
La Repubblica 12.05.11