In molti comuni domenica prossima si voterà, ma la città decisiva sarà indubbiamente Milano. Lungo i secoli e gli anni sono tanti i nomi che le hanno dato: capitale politica in epoca napoleonica; capitale morale ai tempi della Fiera industriale, dopo l´unità d´Italia; capitale culturale nell´800; Milano “da bere” negli anni di Craxi. Difficile trovare oggi la parola che squadri l´animo suo divenuto informe, come nella poesia di Montale. Ma qualche storta sillaba è sufficiente a descriverne la natura: almeno da quando perse l´indipendenza, all´inizio del ´500, Milano ha sempre avversato lo Stato, forestiero o nazionale che fosse. Gli ha sempre opposto un´alleanza di interessi costituiti, ecclesiastici e non, che esecravano il bene comune e la stessa politica. Ha avuto sempre la vocazione a far prevalere la società civile sulla volontà generale, senza accorgersi che la società smette d´essere civile quand´è allergica alla politica e alle sue regole. Infine, ha sempre prodotto personaggi che da qui partirono, da questa cultura riottosa e egoista, per prendere Roma. Nel ´900, ben tre personaggi chiave della storia italiana iniziarono qui la corsa al potere: Mussolini, Craxi, e Berlusconi. Il loro decisionismo («ghe pensi mi») è stato distruttivo più che costruttivo. È il motivo per cui l´elezione nella capitale lombarda è cruciale: l´avventura cominciata qui, qui potrebbe infrangersi. È quello che gran parte della sinistra di Beppe Grillo, e tanti cittadini tentati dall´astensione, faticano a comprendere: il duello non sarà tra il vincitore delle primarie a sinistra, l´avvocato Pisapia, e il sindaco Letizia Moratti. Sarà tra Pisapia e Berlusconi, fin dal primo turno e soprattutto al secondo, se il sindaco andrà in ballottaggio. In quell´intervallo, Mattia Calise del Movimento a 5 stelle e Manfredo Palmeri di Futuro e Libertà avranno nelle mani una carta principe: se vorranno far qualcosa di utile per l´Italia, se smetteranno di metter sullo stesso piano il regime al governo e l´opposizione, dimostreranno di aver capito l´essenziale, e cioè l´anomalia di Berlusconi.
Il loro ruolo è importantissimo, perché sono anni che i cittadini contrari al presente regime fuggono nell´astensione (4 milioni di elettori perduti!) disgustati da un centro sinistra incapace di opporsi, e il Movimento di Grillo è, con il Sel di Vendola, rifugio e speranza. Regalare la vittoria a Berlusconi sarebbe ignorare la speranza, come già avvenuto nel 2010 quando il Piemonte fu offerto al leghista Cota.
Milano che resta berlusconiana è una vittoria determinante per il Presidente del Consiglio, mentre perderla è un preludio alla sua fine. Mussolini finì la sua traiettoria a Milano dove aveva programmato la marcia su Roma, anche se nel più disumano dei modi, impiccato a Piazzale Loreto. Anche la fine di Craxi si materializzò qui, con tangentopoli che ne scoperchiò la corruzione e lo travolse. Travolse in verità tutti i partiti della prima Repubblica tranne Msi e Pci, che a quella corruttela non partecipò visto che per decenni fu finanziato da Mosca. In Mani Pulite ci fu quest´ingiustizia (e ci fu un´usurpazione del socialismo da parte del Pci) ma essa non cancella i reati denunciati e condannati.
A questa verità si può obiettare che i programmi di Pisapia sono poco chiari, che l´opposizione è troppo transigente. Chiarissime, tuttavia, sono le manchevolezze della Moratti, che per Milano capitale della cultura e della morale non ha fatto quanto doveva né quanto aveva promesso. L´ha anzi imbastardita, culturalmente ed economicamente. L´atto più vergognoso è l´irresponsabile cecità con cui il sindaco (con Formigoni) si è gettata nell´Expo 2015. Le critiche dell´urbanista Stefano Boeri sono circostanziate: mancanza di trasparenza, scomparsa dei concorsi pubblici, gare per imprese in cui i progettisti hanno ruolo irrilevante.
Esemplare è la rinuncia al più promettente e duraturo dei progetti, approvato inizialmente da destra e sinistra: la costruzione della grande Biblioteca europea multimediale. Un progetto già compiutamente predisposto –ricorda Piero Ichino sulla sua Newsletter– «che potrebbe dare splendore e prestigio alla Milano di Expo 2015, ed è invece abbandonato dall´Amministrazione municipale, solo per un motivo di faziosità». L´architetto vincitore del Progetto internazionale bandito dal Comune di Milano è Peter Wilson, dello studio Boelles-Wilson di Münster, e il Progetto è stato approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel 2009 e validato dal Politecnico di Milano. Più che faziosità, a me sembra che la minaccia al progetto venga da ignoranza, mentre è chiaro l´appetito delle lobby che vorrebbero accaparrarsi i terreni destinati alla Biblioteca. I lavori di preparazione già da tempo sono in corso –la Biblioteca digitale è quasi pronta– ma lo stanziamento per la costruzione ancora non c´è e il progetto non è tra le opere previste per l´Expo: un´omissione incomprensibile.
Negare l´esistenza di omissioni; non correggersi in tempo quando un misfatto viene alla luce; fare silenzio sulla sempre più agguerrita presenza della malavita in Lombardia: è la strategia nordista di Berlusconi e della Lega, nonostante la pretesa innocenza di quest´ultima. L´ex ministro Castelli, leghista, giunge sino a dire che c´è un solo modo per impedire l´infiltrazione della ´ndrangheta in Lombardia e Piemonte: escludere dagli appalti le imprese calabresi. Il giudice anti-ndrangheta Nicola Gratteri ha replicato che affermazioni simili «o provengono da chi non ha capito nulla, oppure siamo veramente messi male. Se vogliamo essere seri, tutti sanno perfettamente che la ndrangheta ha uomini cerniera a Milano, Bergamo, Brescia, Lecco, a disposizione delle famiglie mafiose per partecipare agli appalti. Sono lombardi, col certificato di nascita e residenza da cinque generazioni»´. E ancora: «È in atto una sorta di braccio di ferro, come a volere negare» l´evidenza. Pignatone, Procuratore di Reggio Calabria, rincara: «Un cono d´ombra informativo ha impedito fin qui di cogliere non solo la diffusione dell´omertà e del silenzio in tante province lombarde (…) ma, ancora e di più, la presenza della ´ndrangheta in tanti settori dell´economia dell´Italia centrale e settentrionale, luogo ideale per investire, senza destare troppo l´attenzione, le somme ingentissime di cui le cosche dispongono» (Corriere della Sera, 24-3-11). Berlusconi è il regista della strategia negazionista. Marco Alfieri spiega bene come, tramite i «lunedì di Arcore» l´imprenditore-Premier regni sulla città fin da quando costruì le new town attorno a essa (La peste di Milano, Feltrinelli). Il cavaliere sa che Milano è stata e resta un terreno fertile per la propaganda antipolitica, non da oggi ma da secoli. Che sono sempre stati pochi e non udibili gli avversari della vocazione anti-statale, anti-istituzionale, interessati a premiare il fare da sé sul fare comune. Forte della sua Milano, sotto lo sguardo benevolo della Lega e della rete di interessi che fa capo alla Compagnia delle opere, Berlusconi parla ormai senza remore, di quel che è pur sempre accaduto nella sua roccaforte, diciannove anni fa: il momento di riscossa, rappresentato da Mani Pulite. Nel 2008 ha detto che i magistrati milanesi «fecero scomparire nel ´92 Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli, mettendo fine a 50 anni di progresso», e che per fermarli entrò in politica (in realtà vi entrò «per non finire in galera con l´accusa di mafia», disse Confalonieri nel 2000 a Repubblica, non smentito). Presentando la sua epocale riforma della giustizia, nel marzo scorso, disse: «Se la riforma fosse stata fatta prima, probabilmente non ci sarebbe stata l´invasione della magistratura nella politica». La riforma è temuta da Gratteri: non a causa della responsabilità civile dei magistrati
(«già esiste»), ma perché la polizia giudiziaria dipenderà dal potere politico anziché dalle procure. Eppure c´è chi a Milano vuol salvare il principio della responsabilità. Della giustizia che corregge le storture, anche se non tutte. C´è chi dice, nel movimento di Grillo, che l´opposizione è inane, ed è vero. È vero che non ha mai combattuto il conflitto d´interesse. Proprio di recente, il 28 aprile, avrebbe potuto mettere in minoranza Berlusconi sul Documento di economia e finanza, e ben 40 suoi deputati non erano in aula. Sui referendum di giugno (nucleare, acqua, legittimo impedimento, servizi pubblici locali) tende a tacere. Poco prima delle amministrative, Veltroni ha prospettato rese dei conti nel Pd: era il momento peggiore.
Ognuna di queste obiezioni ha ragione di esistere. L´opposizione ha fatto poco, contro l´anomalia berlusconiana. Ma dire che Pisapia e Berlusconi sono la stessa cosa è la più perniciosa e stupida delle banalizzazioni.
La Repubblica 11.05.11