attualità, politica italiana

"La logica del padrone", di Stefano Rodotà

Le mosse di Berlusconi sono da tempo prevedibili, perché appartengono ad una logica che egli ha trasferito nel mondo della politica senza mai farsi contagiare dal “senso delle istituzioni”. Non può sorprendere, quindi, l´ultimo suo proclama: «Dobbiamo cambiare la composizione della Corte costituzionale, dobbiamo cambiare i poteri del Presidente della Repubblica e, come avviene in tutti i governi occidentali, attribuire più poteri al governo del Presidente del Consiglio». Proprio le ultime parole sono rivelatrici. Scompare il “Governo della Repubblica”, di cui parla l´articolo 92 della Costituzione. Al suo posto viene insediato il “Governo del Presidente del Consiglio”, una formula che esprime la logica proprietaria dalla quale Berlusconi non ha mai voluto separarsi. L´imprenditore è fedele alle sue origini, e nel suo modo d´agire si ritrova la vecchia e di nuovo vitale formula secondo la quale “la democrazia si ferma alle porte dell´impresa”. Governare è esercizio di potere assoluto. Chi si presenta come un intralcio lungo questo cammino deve essere eliminato.
Prevedibile o no, l´ultima accelerazione inquieta, assomiglia ad un assalto finale. Gli ostacoli li conosciamo. Magistratura a parte, nell´ultima fase della storia della Repubblica le garanzie si sono concentrate in due istituzioni, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Ma questo non dipende da una impropria volontà di potenza. Discende da un progressivo indebolirsi del sistema dei controlli, dei pesi e contrappesi che caratterizzano l´architettura costituzionale e dei quali non ci si è preoccupati quando è cominciata la stagione delle “spallate”, delle manipolazioni delle leggi elettorali, del bipolarismo ad ogni costo, della “governabilità” senza aggettivi. Troppi apprendisti stregoni hanno lastricato la strada che oggi Berlusconi si ritiene legittimato a percorrere senza scrupoli. Così, nel deserto istituzionale, le funzioni di garanzia, ineliminabili in democrazia, si sono rifugiate nelle due istituzioni che il Presidente del Consiglio ha ieri pubblicamente rifiutato.
Mai, però, il tiro era stato alzato tanto in alto, per colpire deliberatamente il Presidente della Repubblica. Malumori, reazioni violente lasciate trapelare, senza tuttavia trasformare in conflitto aperto una relazione difficile. Cautele ormai abbandonate. Così com´è, il Presidente della Repubblica non è più accettabile. Questo, a chiare lettere, ha detto ieri Berlusconi.
Le ragioni di questa mossa sono nitide. Inaccettabile, per chi si nutre di sondaggi, la fiducia crescente riposta dai cittadini in Giorgio Napolitano. Inammissibile il quotidiano rivelare le lacerazioni del tessuto istituzionale per chi vuole manipolarle impunemente. Oltraggiosa la pretesa di custodire la legalità costituzionale per chi vuole trasformare l´investitura popolare in un “lodo” che lo pone al disopra delle leggi.
Berlusconi sa benissimo che una riforma costituzionale che azzoppi in un colpo solo Presidente della Repubblica e Corte costituzionale esige tempi lunghi. Ma non gli importa. Nel momento in cui dice esplicitamente che i poteri del Presidente della Repubblica devono essere ridotti, lascia intendere che sono male utilizzati. Invita così ad una pubblica “sfiducia” a Giorgio Napolitano, facendo divenire asse della sua politica il copione che già l´informazione di rito berlusconiano aveva cominciato a scrivere. Vuole demolire l´immagine del Presidente super partes, mostrarlo non come un garante, ma come l´espressione di una parte.
Napolitano parla anche perché troppi sono silenziosi, o ridotti al silenzio. Ma la voce delle istituzioni non può spegnersi. Da esperto della comunicazione, Berlusconi è inquieto perché sa che quella non è una voce che parla nel deserto, ma trova ascolto perché dice verità e così concentra sulla Presidenza della Repubblica l´attenzione dei cittadini consapevoli della gravità di una situazione che Berlusconi e i suoi gabellano come il migliore dei mondi.
Una relazione non populista con i cittadini insidia lo stesso modo d´essere di Berlusconi. Ma questo manifestarsi d´una opinione critica diffusa appare monco, perché rivela gli inaccettabili silenzi di una cultura alla quale non si chiede di essere militante, bensì d´essere parte di una difficile discussione pubblica, di testimoniare almeno quelle “ingenue idealità etiche” alle quali, contro il realismo politico, si richiamava nel 1929 Benedetto Croce votando contro il Concordato.

La Repubblica 11.05.11

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Berlusconi attacca Napolitano “Ridurremo i poteri del Quirinale”

Lo scontro

“Quelli di sinistra si lavano poco”. Fini: Silvio immaturo, di Goffredo De Marchis

La Santanchè avverte: “Se non vinciamo a Milano, il governo non si tiene in piedi”. Maroni: a Gallarate corriamo da soli E´ una possibile strada per il futuro. Da Nord a Sud il copione non cambia anche se ogni volta Silvio Berlusconi aggiunge un tassello alla campagna elettorale giocata su se stesso e contro tutte le istituzioni, compresa la presidenza della Repubblica. A Crotone per una manifestazione di sostegno al candidato Pdl-Udc, il premier mette nel mirino le competenze del Colle: «Bisogna cambiare la composizione della Corte costituzionale, cambiare i poteri del capo dello Stato e come in tutti i governi occidentali dare più potere al presidente del Consiglio e al Governo. Questa riforma è indispensabile e la presenteremo presto in consiglio dei ministri». Sarà pure l´interpretazione fedele del programma del centrodestra come dicono i fedelissimi. Ma la sfida presidenzialista è lanciata, nel bel mezzo di una tensione tra Quirinale e Palazzo Chigi che dura già da alcuni giorni. Per concentrare tutta l´attenzione in un referendum nazionale su di lui, a Milano come a Crotone, come a Napoli, Berlusconi non esita a trascinare il capo dello Stato nella battaglia politica. Ma la Lega avverte il premier: Gallarate, comune dove il Carroccio corre da solo contro il Pdl, «è una possibile strada per il futuro», dice Bobo Maroni.
L´attacco del Cavaliere a Giorgio Napolitano provoca le reazioni delle opposizioni. Gianfranco Fini difende l´inquilino del Colle: «Attaccare il capo dello Stato è da immaturi. Bisognerebbe tenere le figure istituzionali al di sopra della mischia», dice il leader di Fli e presidente della Camera. Che è durissimo anche sulla proposta berlusconiana di una commissione d´inchiesta per i pm. «Un´indagine del Parlamento sui magistrati che indagano il premier? È una cosa che non accade in nessuna democrazia». Dunque può accadere solo in un regime diverso. Eppure la carica contro la magistratura non si ferma. A Crotone il premier ripete il suo mantra: «In questo momento, con i pm di sinistra che sono un malattia della democrazia, la sovranità non appartiene più al popolo. Non possiamo tollerarlo». E insiste per regolare le intercettazioni, che «non possono diventare prove nei processi».
Il capitolo sinistra viene affrontata con un colpo a sorpresa, stavolta una novità assoluta. Molto folkloristica. Sono «sempre incazzati», dice ma questa è vecchia. E «non è che si lavino molto». In che senso? «Essendo costretti a venire in Parlamento – spiega – devono andare in bagno e sono costretti a farsi la barba, ma non è che si lavino molto… «.Berlusconi poi annuncia una nuova infornata di sottosegretari, tenendo caldi i Responsabili. «È già pronta una legge che sarà portata al prossimo consiglio» per aumentare il numero dei componenti del governo. «Uno per ogni ministero». Una ventina di nuove poltrone. «Noi siamo 59 mentre nel governo Prodi erano più di cento». Nella trance del momento Berlusconi travolge tutto e forse anche la candidatura a sindaco di Crotone di Dorina Bianchi, transfuga del Pd, oggi Udc, scelta da Casini per rappresentare l´alleanza con il Pdl. «Ora possiamo fare le riforme. Perché ci sono i Responsabili che le garantiscono e non ci sono più Fini e Casini a frenarle». La Bianchi sorride e tace di fronte all´attacco contro il suo partito. La gaffe è più sua che di Berlusconi. Della sfida decisiva di Milano parla invece Daniela Santanchè lanciando un avvertimento: «Se non vinciamo, non so se riusciremo a tenere in piedi il governo».

La Repubblica 11.05.11