Il rimando è alla violenza fisica, al bisturi, alla spietatezza del chirurgo. Dopo la parola “cancro” non c´è più spazio per le parole. Cancro è infatti la parola terminale, fuori dalla civiltà della democrazia, oltre la detestabilità del nemico. Berlusconi l´ha usata contro i magistrati e, in polemica ipocrita e contorta, contro il presidente Napolitano, dinanzi al quale non ha osato ripeterla. Al Capo dello Stato, che rendeva omaggio alla magistratura nel giorno dedicato alle vittime del terrorismo, Berlusconi ha notificato un complimento di circostanza: «nobili parole».
Lontano da lui ha invece formalizzato con un atto politico la sua fissazione e ha chiesto una commissione di inchiesta parlamentare contro «il cancro» appunto dei pm. Ha così portato il livello dello scontro alla sua soglia definitiva. La diagnosi di cancro è lo schiaffo che provoca i giudici al duello ed è un´insolenza malcelata dall´opportunismo di giornata verso Napolitano che non solo è il primo magistrato d´Italia, ma si è appunto espresso con parole opposte, solenni e commosse. Berlusconi inghiottiva lì quello che andava a sputare fuori.
Quale che sia la sua consapevolezza, il presidente del Consiglio ha infatti compiuto un passo verso la guerra civile perché, come ben sappiamo, dopo le legittime armi della critica si arriva alla funesta critica con le armi.
E non è finita qui. Attraverso il varco aperto da Berlusconi si è fatto largo il solito cavallo di Troia. La Santanchè, che non vuole mai restare indietro nella gara eversiva a chi la spara più grossa, ha addirittura individuato il fuoco del cancro in una persona. Per questa raffinata signora del berlusconismo «la metastasi» è Ilda Boccassini.
Ci stiamo abituando a tutto. E non facciamo in tempo ad abituarci a un peggio che subito arriva un pessimo. Sino a ieri la volgarità ci sembrava il limite estremo della prepotenza politica. E però l´insulto, il turpiloquio, il rutto sono antagonismo non curato, becerume che non attenta agli assi portanti della democrazia, che poi sono quelli che garantiscono diritto di cittadinanza al becerume stesso. La volgarità insomma è ancora dentro il rispetto dell´integrità fisica dell´avversario. Il cancro invece ti pone davanti non più un avversario e neppure un nemico che è ancora una persona da abbattere. Il cancro è una mostruosità da devastare: con il bombardamento chimico, con l´estirpazione, con qualunque mezzo cruento. Siamo alla preparazione psicologica della guerra civile. Con il cancro infatti non c´è più bisogno di discutere né c´è tempo di ragionare: bisogna agire presto.
Questo linguaggio che fa pensare a Berlusconi sul carro armato e con gli anfibi, agli esercizi militari in tuta mimetica mi spinge tuttavia a una domanda, alla più pacificata delle domande: perché il fragore di questo lessico invasato non viene percepito e, non dico coraggiosamente combattuto, ma almeno timidamente criticato dai galantuomini che – oso pensare – ancora stanno accanto a Berlusconi, nonostante tutto? È mai possibile che tra i molti avvocati, qualche economista, i tanti medici, tra tutti quei giornalisti «anarchici, esteti e situazionisti» , tra le belle signorine e signorini, tra gli appassionati ex missini statalisti, tra gli ex liberalsocialisti ed ex democristiani…, è mai possibile che in quella ganga di cervelloni scervellati siano ormai tutti assoggettati alla Santanché che ripete, papera papera, le invettive del capo e aggiunge rancore calcolato ai rancori incrostati del suo principale?
È mai possibile che nessun Letta e nessun Tremonti, nessun Maroni e nessuna Moratti gli dicano che non c´è più niente da ridere, e gli spieghino la scena su cui tutta l´Italia si è fermata, il presidente che piange e Berlusconi che ghigna? Forse stasera nella sua ‘Radio Londra´ Giuliano Ferrara potrebbe consegnare questo messaggio speciale: c´è differenza tra politologia e oncologia, e «cancro» è parlare tragico, è la parola compiaciuta della iena che ride sul corpo ferito della povera patria.
La Repubblica 10.05.11