L’altro ieri mentre Silvio Berlusconi arringava i suoi al Palasharp di Milano sostenendo che certi «pm sono un cancro da estirpare», a Bergamo la platea di seimila imprenditori convocati daEmmaMarcegaglia tributava un convinto applauso a Harald Espenhahn, il top manager della ThyssenKrupp condannato a 16 anni per la strage della fabbrica di corso Regina Margherita a Torino dove persero la vita sette operai. La coincidenza è probabilmente solo fortuita, forse non c’è relazione tra le parole di Berlusconi e gli applausi degli industriali, non vogliamo nemmeno sospettare che il presidente Marcegaglia convivida i giudizi del premier sulla magistraura italiana. Eppure quanto è avvenuto a Bergamo, in un incontro sapientemente organizzato dai vertici di Confindustria (l’amministratore delegato della ThyssenKrupp non passava di lì per caso…), non può esser derubricatocome un semplice tributo di «umana solidarietà» da parte di migliaia di industriali a un manager condannato per omicidio volontario da un tribunale italiano dopo un regolare processo che seguiva un’inchiesta precisa e approfondita. La solidarietà è comprensibile e la giustizia offre a tutti gli imputati la possibilità e la speranza di veder corretti i giudizi di primo grado. Il manager della ThyssenKrupp può difendere le sue ragioni nel processo di appello e puntare a un ribaltamento della sentenza ritenuta ingiusta. Si vedrà. Però, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, non si può far finta di niente su quanto è successo alle Assise confindustriali. Quello di Bergamo non è stato un incidente. Quello che allarma non è solo l’applauso convinto al manager condannato, che fa trasparire un desiderio di impunità e di prevalenza degli interessi dell’impresa su tutto il resto, ma sono le parole del presidente Marcegaglia che ha giustificato quella manifestazione di vicinanza sostenendo che «dalle Assise c’è stato un grande applauso all’amministratore delegato di Thyssen perchè la condanna a 16 anni e mezzo per omicidio volontario rappresenta un unicum in Europa. Se dovesse prevalere questo allontanerebbe gli investimenti esteri dall’Italia». Che dire? Come commentare le parole del leader degli imprenditori privati che richiama le stesse argomentazioni di Berlusconi sulla magistratura che sarebbe responsabile di allontanare gli investitori stranieri? Ma si rende conto la signora Marcegaglia di cosa sta dicendo? La sentenza di un tribunale italiano contro i responsabili di una fabbrica di una multinazionale in cui sono arsi vivi sette operai sarebbe la causa dello scarso appeal del nostro tessuto economico. E allora cosa dovremmo dire di Calisto Tanzi, che finanziava le Assise di Parma della Confindustria, del crac Cirio, del Banco Ambrosiano, delle performance di certi gruppi privati come Ferruzzi, Montedison, Ligresti, delle schedature degli operai alla Fiat, dei 3000morti della Eternit di Casale Monferrato, dello scippo della Mondadori da parte di Berlusconi, della commistione indebita tra politica, pubblica amministrazione e imprese? Episodi di una lunga storia che il presidente Marcegaglia avrà avuto modo di conoscere sui giornali e sui libri e che certo non si possono definire come fattori di attrazione di capitali stranieri. L’applauso di Bergamo e la giustificazione di Emma Marcegaglia sono un segnale preoccupante, testimoniano che, al di là del merito e delle ragioni della sentenza su una tragedia che ha segnato la vita di una comunità intera, c’è qualcuno nella classe dirigente, o che si ritiene tale, poco disponibile alle regole, alla giustizia, al riconoscimento di interessi generali superiori a quelli dell’impresa, capace di difendere l’etica e la morale solo in ridondanti e inutili convegni in riva al mare. E per questo che Confindustria, proprio come Berlusconi, vorrebbe cancellare l’articolo 41 della nostra bella Costituzione. Le parole diEmma Marcegaglia e gli applausi di Bergamo sono, infine, il segno di una profonda insensibilità, di una grande povertà culturale, di un’arroganza tipica di chi è abituato a dare ordini e a esercitare un potere incontrastato. Nessuno di loro ha letto gli atti dell’inchiesta e la sentenza di primo grado della strage di Torino. Alla signora Marcegaglia preoccupata per gli investimenti esteri in Italia vorremmo suggerire di leggere qualche passo: «Non è un caso che i lavoratori siano morti a Torino, non potevano che morire lì in uno stabilimento che rientrava nella categoria di industrie ad alto rischio ma sprovvisto di certificato antincendio, in stato di grave e crescente insicurezza. (…) Harald Espenhanhaveva decretato la morte dello stabilimento di Torino e aveva abbandonato lo stabilimento e gli operai a se stessi». Ora applaudite, signori della Confindustria, applaudite
L’Unità 09.05.11