Caro presidente Berlusconi, mi permetto di scriverle pubblicamente, attraverso questo giornale, come uomo che ha dedicato la propria vita al progresso scientifico e civile del Paese, e che, cinque anni fa, ha avviato una campagna di sensibilizzazione a favore del Testamento biologico, per allineare l’Italia agli altri Paesi culturalmente e civilmente avanzati, come è ed è sempre stato il nostro.
Ci sono temi fondamentali, come lei sa, che non sono né di destra né di sinistra e neppure di questa o quella religione, e che io credo bisogna avere il coraggio di difendere, se vi si crede, a prescindere dalle logiche dei consensi. Fra questi c’è il tema della libertà e il diritto di ogni uomo di accettare o rifiutare le cure in ogni circostanza, sulla base delle proprie convinzioni e del proprio progetto di vita. Questo è il significato del Testamento biologico ovunque nel mondo. So, per esperienza diretta, che gli scienziati sono spesso lontani dai politici, perché sono liberi pensatori e non seguono le linee guida di nessun partito. Tuttavia il mio mondo è la medicina, che è insieme protezione della persona sana e cura della persona malata, e come medico mi sento vicino alla gente, alle loro paure e i loro bisogni. Desidero quindi esprimere non solo il mio pensiero, ma soprattutto quello di un’ampia parte della popolazione, di ogni fede e credo politico, che non occupa i media e non scende in piazza, ma che si affida ancora con fiducia alle istituzioni, alle strutture e alle persone che guidano il Paese in cui vive. Questi cittadini hanno sviluppato, accanto all’eterna paura di morire, quella di vivere indefinitamente una vita artificiale, come vegetali, senza pensiero, senza coscienza, senza vista, senza udito, senza alcuna sensibilità al dolore. Per scacciare questo spettro hanno creato un movimento civile per il testamento biologico, che permette di dire no a questa condizione di non-vita. Purtroppo noi — io e le centinaia di migliaia di cittadini che hanno già preparato il proprio testamento biologico— ci troviamo ora nella assurda situazione di aver sollecitato una legge che, invece di tutelare la nostra scelta, la tradisce, e va nella direzione opposta al principio per cui il Biotestamento è nato: il rispetto della volontà della persona. Meglio allora nessuna legge— come lei stesso ha ipotizzato nella recente lettera ai parlamentari del suo partito — piuttosto che una legge che ci ricaccia indietro nel progresso di civilizzazione, è antistorica, e si pone in senso contrario non soltanto rispetto agli Stati Uniti e ai Paesi del Nord Europa — da sempre attenti alla cultura della libertà individuale — ma anche a quelli più accanto e più affini a noi, come Germania, Francia e Spagna, che continuano ad avanzare nella tutela dell’autodeterminazione dei loro cittadini. Posso capire che, per motivi complessi e antichi, non si riesca anche da noi a pervenire ad una legge sul Testamento biologico, ma non c’è motivo di farne una contro, che nessuno realmente vuole. Non la vogliono i cittadini, che desiderano scegliere come vivere e non vivere, e non la vogliono i medici, che si sentono addossati di una responsabilità che stride con le attuali regole della professione, incentrate sull’autodeterminazione dei pazienti e su un modello di scelte condivise. In assenza di una legge la preoccupazione che lei ha espresso di promulgare norme anti-cristiane si annulla: se ognuno è libero di scegliere per sé, non c’è alcun motivo per dubitare che i credenti decideranno in base alla loro fede, seguendone la dottrina. Non voglio entrare nel merito delle sue motivazioni per l’approvazione di una legge della cui necessità lei stesso dubita. Mi sento tuttavia di difendere il lavoro della giustizia italiana per quanto riguarda le questioni bioetiche, e voglio rassicurarla del fatto che la volontà del paziente non è tutelata esclusivamente dalla magistratura, ma prima ancora dal Codice di deontologia medica e dai trattati internazionali, come la Convenzione di Oviedo, che il nostro Paese ha sottoscritto. Le rivolgo quindi un appello a non fare dei diritti del malato e del dilemma, che lei giustamente ha definito «intimo e privato» , della fine della propria vita, una questione sostanzialmente politica. Vorrei concludere proprio sul tema politica e religione, ricordandole le parole di Indro Montanelli, scritte proprio su queste pagine in risposta a un lettore che gli attribuiva una critica nei confronti della Chiesa sul tema di fine vita: «Io non mi sono mai sognato di contestare alla Chiesa il suo diritto di restare fedele a se stessa, cioè ai comandamenti che le vengono dalla sua Dottrina. Ma che essa pretenda di imporre questo comandamento anche a me, che non ho la fortuna (dico e ripeto, non ho la fortuna) di essere un credente, le sembra giusto? A me no. A me sembra che l’insegnamento della Chiesa debba valere per chi crede nella Chiesa, cioè per i “fedeli”. Non per i cittadini, fra i quali ci sono, e in larga maggioranza, i miscredenti, gli agnostici i seguaci di altre religioni» .
Il Corriere della Sera 01.05.11