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"Il Primo Maggio al lavoro? La deriva finale", intervista a Luciano Gallino

Il primo maggio al lavoro? È davvero questo un segno di rinnovamento o piuttosto una resa – l’ennesima, e particolarmente simbolica – alle pretese di un sistema economico e culturale che riduce sempre di più l’uomo al rango di consumatore da una parte e di docile ingranaggio della macchina produttiva dall’altra? E, in ultima analisi, una resa a quel sistema assolutizzante che il sociologo Luciano Gallino chiama – nel suo omonimo, e straordinario, libro (Einaudi, 19 euro) – Finanzcapitalismo? Un primo maggio al lavoro, dunque, perché è l’intera vita, oggi, messa al lavoro, entro una civiltà al cui centro vuoto è stato posto il denaro, e tutto il resto non è che una variabile dipendente. L’alternanza tra fasi espansive e produttive e fasi speculative è stata una costante del capitalismo. Ma lei ci mostra che oggi siamo in presenza di una sorta di salto quantico: non siamo più nel classico capitalismo industriale,ma nel finanzcapitalismo. E ci mostra che questo salto quantico ha esiti potenzialmente tragici. «Vi è stato in questi ultimi trent’anni un enorme sviluppo del sistema finanziario a paragone dello sviluppo del sistema dell’“economia reale”: se all’inizio degli anni 80 il volume degli attivi finanziari corrispondeva al Pil mondiale, al momento della crisi ammontava a oltre quattro volte il Pil. Il mondo è stato radicalmente trasformato da un processo patologico. È enormemente e patologicamente cresciuta l’attività bancaria, che si continua a chiamare così anche se si tratta di attività finanziarie estremamente diversificate, conglomerati giganteschi che operano in ogni possibile settore, con bilanci totalmente fuori dal controllo, incomprensibili e ingestibili. È enormemente e patologicamente cresciuta la finanza ombra, un sistema senza nome né indirizzo né identità, formata da una grande quantità di società di scopo (i cosiddetti “veicoli”), e da centinaia di trilioni di dollari di derivati scambiati tra privati (otc) che sono stati un elemento decisivo di destabilizzazione. È enormemente e patologicamente cresciuto il ruolo degli investitori istituzionali (compagnie di assicurazione, fondi pensione e fondi comuni di investimento), che sono i “nuovi proprietari universali”, possedendo oltre la metà del capitale delle imprese di ogni genere. È enormemente e patologicamente cresciuto il peso che le istituzioni finanziarie hanno assunto nel governo delle imprese: dal 1980 in avanti si è affermato il criterio che un’impresa funziona unicamente per massimizzare il valore delle azioni, e questo ha modificato il criterio di governo e di gestione quotidiana delle imprese, con conseguenze ben visibili, drammaticamente, ogni giorno. A causa di questo sviluppo abnorme, l’insieme del sistema finanziario non è controllabile da alcuna autorità, non solo per le sue dimensioni, ma anche per la sua composizione: chi parla di dare “trasparenza” al mercato finanziario” davvero non ha compreso i fondamenti della questione. Questo mercato finanziario non può essere trasparente. Siamo su un aereo senza pilota in cabina di pilotaggio. Bisogna riformare il sistema dalle fondamenta, mentre invece dopo la crisi non è stata intrapresa alcuna riforma». Lei ha messo in grande evidenza come il processo di finanziarizzazione del mondo – di una dittatura finanziaria che ha svuotato il concetto stesso di democrazia – sia stato determinato dalle scelte della politica, contrariamente alla vulgata proposta e introiettata dalla politica stessa che si è dipinta come passiva e impotente di fronte ad esso. «Non è stato per nulla un processo naturale. È stato invece un grande progetto ideologico, culturale e politico avviato dagli anni cinquanta e che ha vinto a partire dagli anni 80 grazie alla politica che ha operato per lasciare alla finanza assoluta libertà d’azione. La crisi ha dimostrato l’assoluta falsità della tesi ideologica dell’autoregolazione del mercato, eppure essa continua a presentarsi come l’unica possibile. Questo lo verifichiamo anche nella continuità delle persone: il consiglio economico di Obama, ad esempio, è composto da banchieri che hanno avuto parte importante nella deregulation fatta sotto Reagan e Bush. Purtroppo anche le “sinistre” hanno adottato il paradigma della signora Thatcher, credendo al fatto che “non ci sono alternative”: perciò si sono distinte solo per “aiutare i più deboli”, e tamponare i disastri. Il mio timore è che ancora oggi non abbiano capito che cosa è successo: sono caduti nella scena del teatro, recitando la parte che la commedia (o meglio, la tragedia) gli ha assegnato, senza rendersi conto che stanno seguendo i dettami di in un immenso sistema industrial-finanziario, agevolato nella sua crescita dalla politica e che alla politica adesso spetterebbe incivilire». Il successo di questo sistema è appunto anche ideologico: esso si presenta come il trionfo della ragione,dove invece esso è, nella sua essenza, pura irrazionalità. «Il finanzcapitalismo ha in questo senso radicalizzato un’istanza propria del capitalismo industriale, che ha sempre pensato la crescita come una pietra filosofale. Crescita a ogni costo, a scapito del resto. Ma questa furente irrazionalità la vediamo al lavoro nei suoi esiti tragici, sia nella distruzione dell’ambiente e di qualunque tipo di ecosistema (e qui siamo giunti a un punto limite, davvero di non ritorno), sia nella quotidiana svalorizzazione delle persone. E le persone svalorizzate, infantilizzate come consumatori, non saranno mai in grado di salvare il pianeta». Lei pensa che al punto in cui siamo è Possibile un“contromovimento”,un’alternativa al disastro? «Un contromovimento è un’incognita grossa, nella presente situazione. Credo che una reazione ai danni globali di questo sistema che ci sta dominando possa prendere due direzioni. Una che potremmo definire socialdemocratica, una autoritaria, e in Europa quest’onda è certamente montante. È questo il grande dilemma è questo: e su questo il dado non è tratto»

L’Unità 01.05.11

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“Il Primo Maggio della modernità”, di Adriano Sofri

IL primo Maggio, e domenica per giunta: troppa grazia. A distanza di un anno, si ripete pressoché negli stessi termini, però più inaspriti, la controversia sulla festa. Il sondaggio fra i lettori di Repubblica aveva toccato ieri i 45mila voti.

Con una maggioranza del 74 per cento in favore della festa. Risultato netto, ma si può aver torto in maggioranza – succede, come sapete fin troppo. Le maggioranze spesso sono conservatrici, ed è proprio questo l´addebito che viene mosso ai fedeli del Primo Maggio, a cominciare dalla Cgil, arrivata anche quest´anno (spesso insieme agli altri sindacati del commercio) al paradosso di proclamare uno sciopero nel giorno della Festa del Lavoro, e domenica per di più. Conservatrice Susanna Camusso, redarguita severamente su alcuni grandi giornali perché non sta al passo coi tempi, antepone i cittadini lavoratori ai cittadini consumatori, ignora interi quartieri di negozi gestiti da cinesi che non sanno chi sia Susanna Camusso. (Ma il Primo Maggio sì, lo sanno anche i cinesi).
Viene da osservare che i giornali, i grandi e i piccoli, il 2 maggio non escono, e però non si sono battuti per abolire questo anacronismo: ma è solo un´obiezione scanzonata. Sull´eventualità che siamo davvero, noi affezionati al Primo Maggio, dei nostalgici conservatori, invece occorre riflettere. Va da sé che la nostalgia delle cose belle e buone e il desiderio di conservarle, fossero pure solo illusioni, sono sentimenti tutt´altro che disprezzabili. Ma può esserci altro.
Vi copio il comandamento sulla santificazione delle feste, come lo argomenta il Deuteronomio, così: “Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d´Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato”.
è un brano suggestivo, anche per un non credente, anche dopo che si sia aborrita e abolita la schiavitù, anche quando si sia imparato che del precetto non si deve fare una superstizione bigotta, e che “è permesso fare del bene anche di sabato”. è bello il riferimento agli animali da fatica, e pregnante quello al forestiero che si trova a casa tua. Il forestiero, che lavora come una bestia da soma, che ricava un soldo clandestino – che magari non sa chi è Susanna Camusso. Bisogna ricordarsene da liberi, perché fummo schiavi. “Per tutto il tempo della tua vita tu ti ricorderai il giorno in cui sei uscito dal paese d´Egitto”.
Oggi noi siamo liberi, ci avvertono, e rischiamo di fare come se fossimo ancora schiavi: già liberi di lavorare tutte le domeniche dell´anno, e ora anche liberi di sorridere dal banco dei nostri grandi magazzini il Primo Maggio.
Il Primo Maggio imposto come lavorativo, anche dove non sia richiesto da servizi di pubblica utilità e soccorso, dove non sia concordato per particolari condizioni, si vuole una conquista di libertà dunque di modernità – i due termini pretendono di coincidere. Però “noi”, i lavoratori, per uscire dal nostro Egitto, per smettere di essere schiavi, dovemmo lottare e pagare spesso con la vita, o con l´esclusione, la mortificazione, la galera, il nostro giorno di festa. è trascorso ben più di un secolo, e nel frattempo dittature sorte in nome del lavoro pervertirono la festa di liberazione facendone una parata di potenza militare e di petti tintinnanti di orpello. Sono cadute come marionette senza fili, e cadano presto quelle che ancora resistono.
Ma il Primo Maggio è fatto ancora per ricordare che si è stati schiavi, che si è usciti dall´Egitto, che altri non ne sono usciti, e che anche noi possiamo tornare a essere schiavi, e forse ci stiamo già tornando. Ci sono tanti apprendisti faraoni in giro. Ma c´è anche un Egitto che si libera. Ci sono persone che non hanno l´età per avere nostalgia del Primo Maggio e delle belle bandiere, o per sapere che cosa vuol dire un raduno di cialtroni a Portella della Ginestra, persone che di mestiere fanno le commesse fra un giorno precario e uno interinale (lavoro a somministrazione, sic!) e non hanno avuto finora nessuna esperienza sindacale e non hanno nessuna domenica, e reimparano daccapo il Primo Maggio. Imparano che legame c´è fra il passato e il futuro. E che cos´è, anche per le più laiche delle coscienze, un sacrilegio.
Si può dare per scontato che il tempo lavori a spazzar via i sabati del villaggio, e sarà tre volte Natale agli uni e niente agli altri, e conviene mettere le vele al vento che tira – ma non è un progresso. La controversia sui negozi chiusi o aperti d´autorità il Primo Maggio non è questione di passatismo e innovazione, di padri affezionati a una loro patetica gioventù e figli che si fanno giustamente largo. Non solo questo, almeno. Andava trattata con delicatezza e con amicizia. Può esserlo ancora. Se no, arrivederci a Natale.

La Repubblica 01.05.11