Se perde Milano, Berlusconi dovrà lasciare il timone.
A quel punto toccherà a Maroni, o dovremo convincere Giulio a scendere in campo». È l’ultimo, lapidario fronte aperto da Umberto Bossi. Perché «a Milano corre Silvio, se si perde, è lui che perde». Stavolta parole dette in privato, con i fedelissimi. A notte fonda, dopo una bicchierata. Ma che siano parole in libertà, difficile crederlo. Poche ore prima, le bordate sulla crisi libica: «Se il premier non cambia idea, può succedere di tutto». Con l’eco di Calderoli: «In questo momento non vedo via d’uscita. Sull’intervento non ci sentiamo vincolati al programma». Sono in molti però ad essere convinti che lo scontro finale tra PdL e Carroccio non potrà essere sulla missione italiana nel Paese arabo – in mezzo c’è la posizione di Napolitano, il rapporto con il Colle troppo prezioso per il Senatùr – bensì sulle amministrative lombarde. Fatto sta che la legislatura sembra giunta a un giro di boa. E tutti i protagonisti della partita se ne rendono conto. «Giulio», cioè Tremonti, è molto nervoso. A nulla valgono le sue reiterate professioni di lealtà al Cavaliere. In pubblico viene lodato come mediatore e cercatore di un’intesa con l’alleato padano. Ma i sospetti di «Silvio» sul suo ruolo nella querelle con «l’amico di vecchia data Umberto» non si sono affatto dissipati. E i giornali
della galassia berlusconiana continuano ad azzannarlo.
Ieri Panorama gli ha dedicato la copertina con domanda (all’apparenza molto retorica): «Si stava meglio quando non c’era lui?». E Libero ha riportato in un ampio pezzo la dichiarazione del coordinatore di via dell’Umiltà Denis Verdini: «Chi ha fatto il titolo del Giornale («Giulio aizza La lega», il giorno prima, ndr)? Il direttore? Il vicedirettore? Ma noooo: lo ha fatto Berlusconi di suo pugno!». Il clima nella maggioranza è così surriscaldato che, di buon mattino, il banchiere toscano deve rettificare piccato: «Scorretti, era solo una battuta». Berlusconi, dal canto suo, ha fiutato l’aria. Sa di giocarsi tutto a Milano. E sa anche di correre in proprio, in un territorio sempre meno amichevole. I sondaggi più recenti parlano di un testa a testa tra Letizia Moratti e Pisapia. L’ultimatum di Bossi – se si perde, è lui che perde – così come la spaccatura sul caso Lassini, sono freschi nella sua mente.
Così ieri pomeriggio ha preso l’iniziativa. Ha inviato a tutti i deputati e senatori del PdL una mail e un sms: «Ti aspetto sabato 7 maggio alle 15,30 al Palasharp. Fai vincere il governo del fare. Non mancare». La firma in calce all’invito è molto personale: Sivio Berlusconi. Non il partito, non la coalizione: un uomo solo. E la missiva contiene un invito a portare ognuno 50 persone. Il Carroccio, il terzo contendente, ha anche lui le sue divisioni. Con il “movimentista” Salvini, vicesindaco in pectore, impegnato a spada tratta per la Moratti. L’ala più strettamente bossiana tentata, a quanto sussurrano i malpensanti, dalla desistenza al (l’ipotetico) secondo turno
elettorale. E il duo Maroni-Giorgetti sospettato, a sua volta, di giocare una terza partita. Quella che vede, ove si concretizzasse il crepuscolo di Berlusconi, il ministro dell’Interno possibile premier di un nuovo governo. Contro la volontà di Bossi che punterebbe invece sul ministro dell’Economia? Parole forti: lo scenario è tutto in divenire, per ora si parla del nulla. Di certo, però, l’inquilino del Viminale è un politico forte, credibile, con una vetrina spendibile sull’immigrazione e le sue interlocuzioni nel centrosinistra e nelle istituzioni. E con una voce che non esita a far sentire: lo ha fatto in prima persona contro il via libera alle bombedi Berlusconi
(che non lo ha perdonato). Poi l’uppercut: «Se noi della Lega fossimo soli al governo delle grandi città, sarebbe meglio». E il sindaco di Verona Tosi, molto vicino a Maroni, ha attaccato il «voltafaccia» del premier. Con una significativa postilla: «Stimo Napolitano ha sbagliato».
L’Unità 30.04.11