Le cifre sono impressionanti: oltre 7 milioni di giovani vivono nella precarietà lavorativa. Eppure basterebbe riprendere l’eredità lasciata dal governo di centro-sinistra. I dati sono noti, ma vale la pena ricordarli. Oggi, oltre 7 milioni di giovani hanno un rapporto di lavoro precario o altamente incerto. Basta fare due conti: un milione e 400mila lavoratori atipici (collaboratori a progetto e occasionali), due milioni e mezzo di contratti a termine e in somministrazione, 400mila false partite Iva, tre milioni di partite Iva individuali e professionisti senza tutele. Più 70mila vincitori di concorso che attendono di essere assunti. Totale: 7 milioni 370mila, una massa imponente. Intanto la disoccupazione giovanile si mantiene attorno al 29 per cento, mentre i rapporti di lavoro a tempo indeterminato diminuiscono e i contratti a termine aumentano.
Nel biennio 2009-2010 oltre il 76 per cento delle assunzioni è stata fatta a tempo determinato. I contratti di lavoro standard sono stati solo il 20,8 per cento.
Su quattro neoassunti tre sono precari. Investire sui giovani significa investire sul futuro. Invece quella che si sta costruendo è una società precaria, che cancella il futuro. Una prospettiva drammatica. Eppure il governo Berlusconi se ne lava le mani.
Quando non è intervenuto per apportare peggioramenti (è il caso del «Collegato Lavoro») è stato totalmente assente. Nessuna politica per l’occupazione. Nessun provvedimento di sostegno. Nessuna prospettiva di stabilizzazione. E tagli drastici nella scuola e nella pubblica amministrazione. Anche sul fronte dell’occupabilità – a parole cara alla destra – sono stati assunti provvedimenti raffazzonati e controproducenti. Le scelte sulla formazione scolastica, la «riforma» dell’università, la ristrutturazione dell’istruzione professionale ne sono la dimostrazione.
Intervenire in modo virtuoso, invece, si deve. Esi può. Rilanciando, per cominciare, l’eredità lasciata dal secondo governo Prodi. Il lavoro avviato nel 2006-2007 è stato interrotto, diversi provvedimenti assunti allora con il protocollo sul Welfare sono stanti cancellati e altri sono scivolati nel dimenticatoio, ma la strada è quella. Occorre che il centrosinistra
riaffermi la volontà dimuoversi nella direzione intrapresa.
Il governo Prodi aveva anzitutto previsto misure a sostegno del reddito, tra un contratto e l’altro, a favore dei lavoratori a termine. Perciò erano stati creati fondi (150 milioni nel triennio 2008-2010) per consentire l’accesso al credito dei parasubordinati rimasti senza impiego. Altri fondi (di microcredito) erano stati istituiti per incentivare le attività innovative e altri ancora erano stati previsti a sostegno dell’apertura di attività autonome da parte di giovani lavoratori.
Anche in materia previdenziale il centrosinistra aveva individuato interventi a favore dei giovani costretti a carriere discontinue. Primo atto, la copertura figurativa piena – commisurata alla retribuzione percepita – per consentire ai dipendenti con contratti a termine di colmare i vuoti contributivi ed aumentare così le prestazioni pensionistiche future. In questa logica era stata individuata anche una corsia privilegiata per la totalizzazione di tutti i periodi contributivi (portando la franchigia da 6 anni a 3 anni) attraverso un meccanismo di utilizzazione dei contributi stessi versati in qualsiasi fondo. Obiettivo, consentire la maturazione di un’unica pensione. Di particolare rilievo, poi, la norma per rendere conveniente il riscatto della laurea. A questo fine è stata stabilita tanto la totale computabilità dei periodi riscattati ai fini del raggiungimento dei requisiti pensionistici quanto la possibilità di chiedere il riscatto ancor prima di iniziare l’attività lavorativa mediante il pagamento di un contributo dilazionabile, senza interessi, fino a dieci anni. Per rafforzare la posizione pensionistica dei giovani parasubordinati era stato inoltre deciso un aumento graduale dell’aliquota contributiva. Il tutto accanto al rafforzamento e all’espansione della previdenza complementare. L’obiettivo era garantire, a termine carriera, una pensione pari al 60 per cento della retribuzione (contro il 40 per cento precedente). Per consolidare questa prospettiva servono però azioni conseguenti e costanti da parte di tutti i governi che si succederanno. Il rischio, altrimenti, è di avere intere generazioni di pensionati al limite della sussistenza.
Sul fronte del mercato del lavoro e dell’occupazione il centrosinistra si è mosso lungo la strada della stabilizzazione. Sono note le regolarizzazioni avvenute nei call center. Nella pubblica amministrazione sono stati stabilizzati migliaia di insegnanti e di impiegati assunti con contratti a termine. Non solo. Con l’introduzione del credito d’imposta e la riduzione del cuneo fiscale il governo Prodi ha anche introdotto uno «sconto» sul costo del lavoro, purché fosse a tempo indeterminato, mentre sul fronte del mercato del lavoro, oltre alla lotta al lavoro nero – che ha portato all’emersione di centinaia
di migliaia di lavoratori soltanto nell’edilizia – si è intervenuti cancellando alcuni istituti particolarmente negativi introdotti dalla «Legge Biagi», quali lo staff leasing e il lavoro a chiamata (poi riesumati da Berlusconi). Il punto è qui. La destra, in questi anni, ha lavorato per smantellare quanto fatto dal centrosinistra a sostegno e a tutela del lavoro
A cominciare da quello giovanile. Per contrastare questa deriva il Partito democratico ha presentato diverse proposte di legge. Ultima in ordine di tempo quella sulla riforma degli stage e del praticantato.
Complice la crisi, i tirocini formativi sono spesso diventati una sorta di «scorciatoia» per utilizzare manodopera a basso costo. Una pratica intollerabile che il Pd mira a frenare inserendo tutele precise per gli stagisti e perseguendo gli abusi. Oltre a scendere di nuovo in campo per la cancellazione dello staff leasing e la limitazione del lavoro a chiamata, per favorire la conversione dei contratti di collaborazione
in rapporti di lavoro subordinati, i democratici hanno poi presentato una proposta di legge che prevede la prosecuzione degli incentivi per le imprese che hanno aderito ai programmi di stabilizzazione del proprio
personale. Con la consapevolezza che per frenare l’espansione delle forme di lavoro atipiche, sin qui favorite da Berlusconi, si deve anche far sì che, a differenza di quanto avviene oggi, il lavoratore assunto con contratti precari costi all’impresa più del lavoratore a tempo indeterminato.
Anche sul piano della formazione il Pd chiede che si agisca con chiarezza di obiettivi: la confusione sin qui mostrata dal governo è stupefacente. E chiarezza serve pure sul fronte del welfare. L’ammontare delle future pensioni dipenderà sempre di più dalla previdenza complementare. Il sistema attuale finisce però per scaricare sul singolo una parte preponderante del rischio. Ciò può esporre soprattutto i lavoratori più giovani a pericoli eccessivi. Il Pd ha presentato una proposta di legge finalizzata a individuare le soluzioni in grado di evitaresovraesposizioni di rischio e fornire le
maggiori garanzie possibili per coloro che
scelgono i fondi pensione.
C’è infine un fronte, finora trascurato dal
governo, che va riaperto. Quello che punta
alla tutela e alla promozione del lavoro autonomo.
Obiettivo, valorizzare il fattore lavoro
rispetto al capitale garantendo l’accesso
al credito, semplificando le procedure, e sviluppando
forme di previdenza e di assistenza
integrative, anche in forme mutualistiche.
Mentre si devono trovare forme per il
sostegno delle iniziative imprenditoriali di
quei lavoratori più esposti al rischio disoccupazione.
Senza un’inversione di rotta nella
politica economica del governo sarà impossibile
uscire dalla crisi. E, soprattutto per i
giovani, sarà notte fonda. Rivalutare ciò
che ha fatto il governo Prodi è il primo passo.
Proiettarlo nel futuro attraverso una rinnovata
azione politica e parlamentare, è
quello successivo.
L’Unità 23.04.11