Viviamo giorni strani, immersi in un grande paradosso. Ha ragione il cardinale Tettamanzi: molti agiscono con ingiustizia ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni. A Milano una carica d’odio sui cartelloni elettorali paragona i magistrati ai brigatisti e viene presentata con angelico candore dal suo ispiratore, Roberto Lassini, candidato nelle liste Pdl per il Comune Lui si giustifica così: «È solo il sostegno alla crociata del premier Berlusconi, una provocazione, senza nessuna offesa…» . L’ostilità in politica si è talmente radicata da trasformare in odio gli slogan e le parole, offuscando il senso della realtà: prima si sputa addosso a qualcuno, poi si dice che l’intenzione era un’altra. Nella città dei giudici Galli e Alessandrini, magistrati coraggiosi assassinati dalle Br e di Giorgio Ambrosoli, l’eroe borghese morto per un’Italia pulita, non ci può essere nessun giustificazione al degrado di una comunicazione scivolata sul piano della barbarie. La sottovalutazione iniziale testimonia però una sorta di rassegnazione all’inciviltà che si è impadronita di un certo modo di far politica: c’è voluto qualche giorno perché finalmente si arrivasse all’unanime condanna e al fermo ripudio dei ministri Alfano e Maroni, più espliciti e diretti di altri nel centrodestra nel prendere le distanze dall’indecente propaganda anti Procura. E ci sono volute le parole del cardinale, la sua predica civica della domenica delle Palme, per far riflettere una città sulle derive di questi tempi, sulla demolizione costante degli avversari, sulla mancanza di rispetto per gli altri, sulla ricerca della convenienza e sulla fuga dalle responsabilità che sembrano diventati «il criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti e i gesti» . È avvilente registrare a volte un silenzio assenso per certe sconsiderate provocazioni, l’uso della bugia che diventa negazione delle regole, e fa bene il cardinale di Milano a ricercare degli anticorpi per contrastare la deriva in corso: può essere il criterio del dominio superbo, subdolo, violento l’unico mantra della società italiana di oggi? Serve un sussulto di impegno da parte degli uomini della politica e delle istituzioni per far emergere l’attenzione, la disponibilità e lo spirito di servizio verso gli altri, per il loro bene. Serve un po’ di umiltà, la capacità di capire e ascoltare le ragioni degli altri, come ha sostenuto Angelo Panebianco ieri sul Corriere, perché una democrazia nella quale l’effetto scenico prevale sulla sostanza è condannata all’instabilità e all’inefficienza. Di eccesso in eccesso la situazione rischia di andare fuori controllo e il giustificazionismo di parte alimenta solo l’escalation degli esagitati che vogliono compiacere un capo o un’ideologia: questo vale anche per chi ha nascosto in una busta i proiettili per il governatore del Veneto Zaia, e per chi ha fabbricato a Milano un’installazione con due macabre pistole di gesso che sembrano mirare a una faccia che somiglia a quella del premier. Non si faccia vanto di quei poster elettorali affissi a Milano, l’avvocato Roberto Lassini: anche se ha voluto fare un piacere a chi, più in alto di lui, ripete da mesi che i pm sono un’associazione a delinquere, ha fatto del male all’immagine di uno schieramento che non può accettare la distorsione di ogni regola. Si è autosospeso, ha detto il sindaco Moratti, però forse non basta: ma non avverte un certo imbarazzo nell’averlo come alleato in lista? I giovani ci guardano, dice il cardinale Tettamanzi, invitando gli adolescenti ad andare controcorrente, seguendo gli esempi imitabili dei santi del nostro tempo. A volte sono anche persone normali, umili e perseveranti come formichine. E non chiedono un voto scrivendo sui manifesti elettorali «via le Br dalle Procure» .
Il Corriere della Sera 18.04.11
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“Il figlio del giudice Galli: follia che rende tutti più vulnerabili”, di Giuseppe Galli
Milano, 19 marzo 1980: Guido Galli, giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, cade assassinato dai terroristi di Prima Linea. Milano, aprile 2011: decine di manifesti recanti la scritta «Via le Br dalle Procure» fanno bella mostra per le vie cittadine. 19 marzo 1980: un bambino di 12 anni piange disperato il padre ucciso. Aprile 2011: un uomo di oltre quarant’anni è costretto a leggere manifesti infamanti contro «quelle Procure» che guidarono il Paese oltre la devastazione del terrorismo. Gli attacchi che da mesi si susseguono contro i magistrati, e soprattutto contro la Procura di Milano, toccano il culmine con un’accusa verso quei giudici il cui solo torto è di far rispettare le leggi e applicare la giustizia. La delegittimazione sistematica di un’intera categoria, da parte di una classe politica la cui irresponsabilità è, forse, inferiore solo alla follia di chi stampa certi manifesti, non fa altro che indebolire le istituzioni e rendere più vulnerabili tutti noi. Quale reazione a certi messaggi da parte di chi ci governa? Nulla, o poco più: il vuoto totale. C’è amarezza in chi, tanti anni fa, ha visto il proprio padre assassinato dai terroristi e oggi, nella città in cui vive, legge certe parole. Ma c’è anche la consapevolezza che, così come allora Guido Galli cadde con il Codice in mano, oggi tanti altri magistrati, tenaci e coraggiosi, con quello stesso Codice applicano le leggi. Quel bambino oggi sa che le sue sorelle maggiori, tutti i giorni, sono lì, nel Tribunale di Milano, nella «Procura delle Br» , per permettere a lui, e a tutti noi, di poter vivere in un Paese giusto, libero e democratico.
Il Corriere della Sera 18.04.11