Il presidente del Consiglio che riunisce i capigruppo di maggioranza e fissa il calendario dei prossimi impegni di governo aggiungendo – al processo breve appena messo in cassaforte – la legge sulle intercettazioni e la riforma della magistratura, è in fondo l’immagine di quella che è ormai diventata la politica italiana: una questione personale. E l’immagine è tanto più sconfortante per il Paese se si considera che più nessuno si stupisce di questa privatizzazione della vita pubblica. Ormai siamo tutti abituati, assuefatti, rassegnati. Che cos’è infatti diventata la politica italiana se non una battaglia pro o contro una sola persona, Silvio Berlusconi?
Tutto ruota attorno a lui. L’attività del governo e quella del Parlamento, le inchieste più importanti della magistratura, le manifestazioni di piazza e le battaglie dei giornali, le diatribe interne ai partiti.
Perfino la nostra tradizionale religione popolare, il calcio, ne è condizionata: ci si chiede quanti punti di gradimento valga uno scudetto, e quanti l’acquisto di Cristiano Ronaldo. Lui, lui, sempre e solo lui: in Italia non si parla d’altro e non ci si divide che sulla persona di Berlusconi.
Chi lo ama è pronto a difenderlo qualunque cosa faccia: dice che i processi sono montature delle toghe rosse, e se per caso si imbatte in una prova provata di colpevolezza, replica che così fan tutti, che c’è di male. Chi lo detesta lo ritiene responsabile di ogni male, a volte fino a rendersi grottesco. Nel film «La bellezza del somaro» di Sergio Castellitto c’è un tale che inveisce contro Berlusconi perché il distributore automatico delle bibite s’è inceppato. «Che c’entra Berlusconi?», gli domanda Laura Morante. «Berlusconi c’entra sempre», le viene risposto.
Mai nell’ Italia repubblicana una sola persona aveva così tanto occupato la scena, e così tanto monopolizzato la politica. Oggi la lotta è solo su una persona.
Ecco perché diciamo che ieri, quando Berlusconi ha riunito i capigruppo a Palazzo Grazioli, nessuno deve avere avuto un sobbalzo nel prendere atto che l’agenda del governo coincide con un’agenda personale. Sono mesi che le Camere non si occupano che delle faccende personali del premier. Così è parso normale che il presidente del Consiglio, con tutti i guai che ha l’Italia e con tutti i disastri che accadono ai nostri confini, abbia chiesto ai capigruppo una full immersion sui fatti propri: le intercettazioni telefoniche, il depotenziamento dei pubblici ministeri, la possibilità di punire i giudici.
«Abbiamo i numeri», pare abbia ripetuto il premier, ed è il ritornello tante volte sbandierato negli ultimi mesi. Sì, nonostante crisi e defezioni, il governo ha ancora i numeri. Ma per cosa li utilizza? Per portare a termine un programma? Per raccogliere il grido di aiuto lanciato da imprese e lavoratori? Per mantenere finalmente le vecchie promesse, meno tasse e Stato più leggero? Sarebbero le cose di cui il Paese ha bisogno, ma una politica ossessionata da una questione privata fa sì che i numeri servano, appunto, per risolvere una questione privata.
Nonostante la maggioranza tenga, nonostante la rotta dei suoi oppositori, Berlusconi non dà comunque, di sé e del suo governo, un’immagine vincente. Il Berlusconi di questi tempi non c’entra nulla con l’uomo che regalava un sogno agli italiani. Quel che si respira è piuttosto un clima cupo, rabbioso, di vendette e di rese dei conti. Diremmo un clima da ultimi giorni dell’impero, se non sapessimo che già tante volte si è sbagliato nel sottovalutare la vitalità di Berlusconi. Non saranno dunque gli ultimi giorni di governo di quest’uomo e della sua corte. Ma l’atmosfera crepuscolare c’è tutta, fosse anche il crepuscolo non di un leader, ma di un Paese tenuto in ostaggio da uno psicodramma.
La Stampa 15.04.11