attualità, politica italiana

"Il nichilismo al potere", di Carlo Galli

Ieri la Camera – tra le proteste di una cittadinanza che si sente tradita dal Palazzo – ha approvato una legge vergognosa, l´ennesimo provvedimento ad personam per salvare Berlusconi dai suoi processi e farne un soggetto superiore alla Legge.
Se, secondo il premier, è ‘surreale´ la sua presenza, da imputato, in tribunale, va detto che davvero davanti alla giustizia emerge con chiarezza il rapporto peculiare che il Cavaliere instaura fra politica e realtà. Che certo e´ surreale, ma in senso opposto a quello che egli propone: nel senso, cioè, che per il premier la politica è la decostruzione della realtà, il rovesciamento della sua architettura. E nel provvedimento sulla ‘prescrizione breve´, in questa misura di autodifesa distruttiva, si rendono evidenti le implicazioni più generali – e più fatali – dell´essenza nichilistica e paradossale della destra al governo, che si concentra nella persona di Berlusconi.
Quell´essenza si presenta con una serie impressionante di inversioni delle logiche politiche di una moderna democrazia, di rovesciamenti dei suoi apparati concettuali. In primo luogo, come sempre, del rapporto fra pubblico e privato: il Parlamento, il luogo per eccellenza della politica, in cui la ‘pubblicità´ prende forma, che viene posto al lavoro, a testa bassa, con sprezzo della verita´ e della giustizia, al servizio e al soccorso della singola persona del premier – per salvarlo da pendenze giudiziarie nate dal suo passato di imprenditore –, è la più umiliante icona di questo processo perverso. Che si ripete, senza sostanziali variazioni concettuali, dal caso Ruby – in cui il vecchio e per certi versi nobile armamentario della ragion di Stato è stato mobilitato spudoratamente per rendere ‘politica´, e quindi ministeriale (e pertanto non giudicabile da un tribunale ordinario), una vicenda tutta privata – al caso Mills; e che verrà iterato, non v´è dubbio, ad ogni futura occasione.
Discende da ciò l´inversione tra norma e interesse particolare: la prima, anziché essere una costante, è una variabile di trascurabile importanza, infinitamente plasmabile, suscettibile di innumerevoli interpretazioni e manomissioni; la costante, la stella polare del sistema pubblico, la rocciosa consistenza dello Stato, il baricentro della politica, è invece la privatezza della vita, della libertà e degli affari (economici e sentimentali) di un singolo. Il liberalismo per una persona sola, il cui peso sovrasta quello della universalità dei cittadini, come si mostra plasticamente nella scandalosa proporzione di 15.000 a uno: la misura dei processi estinti, delle giustizie negate, dei torti accettati e ribaditi, perché uno si salvi. Non vale sostenere che quel numero è poca cosa, a fronte della quantità di reati (più del decuplo) che vanno in prescrizione ‘naturalmente´ – per la ‘fisiologica´ patologia della nostra giustizia –: questi, oltre che una macchia sul nostro Paese, sono una statistica, un prodotto casuale di un malfunzionamento generale, mentre quei 15.000 sono consapevolmente aggiunti al caso, sono calcolati come ‘perdite collaterali´ giustificate – come in una guerra – dal fatto che si sta difendendo un obiettivo vitale.
Dunque, l´inversione di gerarchia tra l´interesse generale – che vuole sia fatta giustizia – e l´interesse particolare dell´imputato, che è di salvarsi dalla condanna (nel procedimento, com´è diritto di chiunque; ma anche dal procedimento, com´è privilegio esclusivo di chi, mentre è imputato, può cambiare le leggi a proprio vantaggio) ne produce un´altra, ancora più grave: quella fra pace e guerra. Assistiamo infatti, e non da ora, al combinato disposto di due poteri, il legislativo e l´esecutivo, che anziché dedicarsi alla costruzione della giustizia e della pace interna – fondata sull´uguaglianza davanti alla legge e sull´efficienza della macchina giudiziaria – muovono guerra alla magistratura e all´ordinamento, ne cercano le falle non per porvi rimedio ma per trasformarle in comode e legali vie di fuga per un imputato; che, insomma per migliorare l´efficienza di un sistema (il mitico ‘processo europeo´) non lo potenziano ma fanno in modo che funzioni ancora peggio; che, anziché costruire, distruggono. E per di più – ultima beffa, ultima inversione – questa guerra d´attacco viene presentata come legittima difesa dalle ‘aggressioni´, politicamente motivate, della magistratura; come se all´imputato Berlusconi mancassero i mezzi per difendersi dentro le norme e le procedure, e, se ne è il caso, per trionfare sui giudici, svergognandoli per le loro trame.
Ma l´aperta sconsacrazione della politica, del primato dell´universale, viene proclamata dal cuore stesso della maggioranza, che nei suoi principali esponenti non resiste alla tentazione di affermare il proprio nichilismo, ammettendo che in effetti l´obiettivo di tutto questo lavorìo è di sottrarre Berlusconi alla ‘persecuzione giudiziaria´, di non farlo processare ne´ nelle aule ne´ nelle piazze (un´improvvida citazione da Aldo Moro). Ora, se la stessa destra rende palese la catena d´inversioni concettuali e di eversioni categoriali che ha costruito, c´e´ solo da augurarsi che le prossime elezioni (a partire dalle vicinissime amministrative) diano il segnale che la maggioranza dei cittadini di questo Paese vuole invece, democraticamente, far uscire la politica dal gorgo che si avvita su di una persona sola, che risucchia e deforma lo spazio politico. E – contrapponendo al nichilismo la realta´, all´eccezione la legalita´ – vuole por fine a una manomissione dello spirito pubblico, a una distruzione del concetto stesso di ‘pubblicità´, che è divenuta la disperante normalità di un´Italia umiliata.

La Repubblica 14.04.11

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“Una commedia da tre soldi”, di FRANCO CORDERO

Ha dell´allucinatorio il voto con cui la Camera berlusconiana qualifica reato ministeriale l´oggetto della causa postribolare pendente a Milano e intima al Tribunale d´astenersene: vale uno zero giuridico, perché i trecentoventi o quanti siano non hanno il potere che s´illudono d´esercitare; è come se un questore emettesse condanne penali o, arrogandosi funzioni ultraterrene, l´Olonese presidente del Consiglio distribuisse indulgenze à valoir nell´ipotetico purgatorio. Scene d´una sgrammaticata commedia da due soldi, i cui attori improvvisano. Se la res iudicanda sia reato comune o ministeriale, lo diranno i giudici: data una condanna, l´appellante ripropone la questione; qualora soccomba anche lì, gli resta il ricorso in Cassazione. I cervelloni credono d´avere sferrato un colpo da maestri: «dichiariamo improcedibile l´accusa» (il clou esoterico sta nel predicato), «così il Tribunale, spalle al muro, deve ammettersi incompetente o sollevare un conflitto d´attribuzioni e tutto rimane sospeso». Ogni sillaba manda il suono delle monete false. Gli onorevoli straparlano, ossequenti al regime egomaniaco. Ipse dixit: è ai ferri corti col «brigatismo giudiziario», tale essendo nel suo universo deforme l´idea che la legge vincoli anche l´impunito ricchissimo; castigherà le toghe proterve, bisognose «d´una lezione»; e i famigli rabberciano norme à la carte.
La «sovranità del Parlamento» (i berluscones la vantano almeno due o tre volte pro die) è formula italiota d´una monarchia assoluta prima che s´installino gli embrioni del futuro Stato costituzionale: le attuali Camere sono cassa armonica dell´esecutivo; vi siedono persone ignote agli elettori; le nominano agenti del beneplacito sovrano. Chiaro quale sia il modello: platee stupefatte dalla droga mediatica forniscono voti; lassù, accessibile soltanto alle baiadere, siede Dominus Berlusco, ogni mattina più ricco (quanto sia disinteressato, attento solo al bene collettivo, fuori della mischia d´affari, lo dicono sordi ringhi con cui accoglie l´estromissione dalle Generali della devota lunga mano Cesare Geronzi). Niente vieta che vecchi organi rimangano, anzi conviene tenerli in piedi, finti vivi, palcoscenico d´una troupe innocua: Sua Maestà ne prende uno o una qualunque nel mucchio e li addobba; voilà, diventano ministri o figure analoghe; gerarchie adoranti esercitano poteri subordinati in conflitto permanente; griglie selettive escludono i diversi. Tale struttura subpolitica connota un Paese solo geograficamente europeo, dal futuro miserabile perché lo sviluppo economico richiede tensione psichica, cultura, lavoro duro, regole ferme, mentre qui regnano privilegi parassitari, variegato malaffare, gusti fraudolenti, mente corta, animule spente. Confessa una vocazione ministeriale, né punta basso aspirando alla Farnesina, la svelta figliola che, secondo l´accusa, sovrintendeva alle ospiti della reggia: nei dialoghi intercettati coltiva un argot dal percussivo registro turpiloquo; e sotto accusa d´avere gestito prostitute, conferma la candidatura. Qui s´indigna uno che scrive in décor grammaticale, storpiando impetuosamente i concetti: non marchiamole con quel nome (nei Tre moschettieri Milady porta una P impressa a fuoco sulla spalla); sono damigelle intente allo scramble mondano; è risorsa anche il corpo. Lo stesso maestro pensatore sventola liberalismo sui generis e culto berlusconiano, classico ossimoro del genere «sole nero» o «ghiaccio bollente». Gli aneddoti dicono a che punto siamo nella corsa al Brave New World.
La malattia italiana non risponde più alla solita farmacopea. L´Unico squaglia gravi accuse in falsa ilarità turpiloqua, spaventando persino gli obbligati a ridere. Rebus sic stantibus, è imputato in quattro sedi. Da tre pendenze rognose lo liberano due leggi che le Camere votano sul tamburo, tagliando ancora la prescrizione e seppellendo d´un colpo l´intero processo, appena scadano dei termini. La terza toglie al giudice il vaglio del materiale probatorio offerto dalle parti: se la difesa indica mille testimoni, saranno escussi tutti, in mesi e anni, finché suoni la campana; l´aula chiude i battenti; non se ne parla più. I giudizi diventano materia volatile: dibattimenti fluviali, processi brevi, larghe sacche d´oblio; fantasie carnevalesche da Nave dei matti? No, leggi italiane. L´ordinaria prassi politica risulta impotente contro l´abuso sistematico, tanto l´ha pervertita Re Lanterna. Temendo la sfiducia, compra degli oppositori (gesto automatico, gli viene naturale: cambiano uniforme, esigono i prezzi, li incassano; il transito non è finito, sappiamo dal coordinatore. La secessione nel Pdl inalberava insegne virtuose ma i bei giochi durano poco. Le anime transumano salmodiando motivi edificanti. Di questo passo, la legislatura compie l´intero ciclo: tra due anni divus Berlusco s´insedia al Quirinale, portandovi i divertimenti che sappiamo (accadeva sotto Rodrigo Borgia, Sua Santità Alessandro VI; vedi monsignor Iohannes Burckardus, cerimoniere impeccabile e cronista meticoloso nel Liber notarum: domenica sera 31 ottobre 1501 danno spettacolo orgiastico «quinquaginta meretrices honestae»); presiede il consiglio l´attuale guardasigilli, viso spirituale; nella ratio studiorum dei licei appare una nuova materia, Arte dell´osceno. Tale essendo il presumibile futuro, è questione capitale come scongiurarlo: discutiamone perché i tempi stringono; tra poco il fuoco lambirà le polveri (scriveva Walter Benjamin, cultore d´allegorie e metafore).

La Repubblica 14.04.11

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