Berlusconi sa di non potersi permettere un rifiuto a Obama. L’Italia si allinea nel peggiore dei modi: senza una scelta autonoma o una valutazione strategica. Alla fine, l’alleato riluttante cede. L’Italia non può respingere le pressioni degli Stati Uniti che, affidata la missione agli europei, chiedono un maggiore coinvolgimento militare del nostro Paese sul fronte libico. Berlusconi non può dire “no” a Obama. Per ovvi motivi legati alle alleanze internazionali, al nostro ruolo nella Nato, alla tutela degli interessi nazionali nella prospettiva del dopo Gheddafi, ma anche per esigenze di carattere interno. Nonostante la ribadita intenzione di limitare il ruolo italiano alla concessione delle basi e alla missione navale, Berlusconi non può permettersi un rifiuto. Convinto com’è, il presidente del Consiglio, che in questa fase politica sia meglio non avere troppi nemici in riva al Potomac. O, quanto meno, una silenziosa ostilità di Washington. Se pezzi di establishment si saldassero anche con l’avallo americano, il fronte interno, già in movimento, potrebbe diventare troppo pericoloso.
Così, dopo mille ambiguità e cambi di posizione, dal rammarico per le sorti del Rais sino agli aerei che volano ma non bombardano, l’Italia si allinea agli altri paesi d’Occidente. Ma lo fa nel peggiore dei modi. Non per scelta autonoma, frutto di ponderata valutazione strategica. Non per convinzione, per difendere gli insorti. Ma per il richiamo dell’alleato di sempre. Esempio, ancora una volta, dell’occasionalismo della politica estera del governo e della strutturale arrendevolezza di Berlusconi, come già hanno rivelato i file di WikiLeaks, nei confronti di Washington: giusta o meno sia la causa.
Certo, al vertice con Sarkozy, Berlusconi potrà esibire la ritrovata entente cordiale con la Francia, peraltro competitor assai deciso nella Libia post-Gheddafi, così come fautrice di una restrittiva interpretazione di Schengen che vanifichi l’italica soluzione al problema dei migranti tunisini via Ventimiglia. Ma la scelta obbligata di un maggiore impegno militare nei confronti di Gheddafi, comporta l’ennesima divaricazione, sulla politica estera, con la Lega, nettamente ostile sin dall’inizio all’intervento della coalizione a guida franco-britannica nei cieli di quella che fu la Quarta sponda, nel timore che la caduta del satrapo della Sirte potesse provocare quell’esodo biblico destinato a rendere vana ogni misura contro l’immigrazione “clandestina”.
Il ministro Calderoli ha già preannunciato il suo “no ” a attacchi aerei che Berlusconi si è già premurato di definire “mirati”. Bene sarebbe, dunque, che in Parlamento ci fosse un pronunciamento chiaro nel merito dell’impegno italiano e che ciascuna forza politica si assumesse, senza infingimenti, le proprie responsabilità. A costo di rendere evidente l’assenza di una maggioranza degna di tal nome su questioni di vitale importanza per il Paese. Quelli che l’Italia ha davanti sono dilemmi tragici. Ma nessuna scorciatoia, tanto più se imboccata nel tentativo di garantire una stabilità interna che mostra ogni giorno di più i suoi limiti, può eluderli mediante il piccolo cabotaggio. La politica internazionale, come si è visto anche recentemente, è un campo in cui è sempre difficile barare. Prima o poi la realtà presenta il conto. Lo stesso appoggiato sul tavolo di Berlusconi da Obama in persona.
La Repubblica 26.04.11