La leader Cgil attacca: il provvedimento potrebbe non essere convertito e servire solo a far saltare la consultazione.L´acqua, come la scuola e la sanità è un bene primario, di cui si può parlare solo in termini pubblici. «Serve una mobilitazione della politica e della società civile per impedire il decreto-imbroglio che sta preparando il governo con l´obiettivo di far saltare il referendum sull´acqua. Bisogna dire all´esecutivo che un´operazione di questo tipo non si può fare». È la proposta di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che ha messo la sua firma per la richiesta del referendum contro la privatizzazione del servizio idrico. In sintonia con il Comitato promotore pensa che l´acqua sia ancora un «bene primario» e che per questo, come la scuola e la sanità, non se ne possa parlare se non in termini «pubblici». Di «benessere della collettività», dice.
Perché parla di “decreto-imbroglio”? Anche nel passato i governi sono intervenuti con leggi per evitare i referendum.
«Sì, ma mai l´hanno fatto per decreto».
Vuol dire che mancano i requisiti di necessità e urgenza?
«Non solo. C´è di più. Credo che ci sia un problema giuridico non secondario. Ed è qui l´imbroglio: il decreto potrebbe ben non essere convertito in legge e dunque servire esclusivamente a impedire lo svolgimento del referendum. Un imbroglio, appunto».
Il suo è un processo alle intenzioni. È difficile che il governo possa confermare la sua interpretazione. In ogni caso: pensa che il Presidente Napolitano non dovrebbe firmare l´eventuale decreto?
«Non ho alcuna intenzione di tirare per la giacca il Presidente, lo fanno già in molti in un Paese che è in perenne conflitto istituzionale. Però possono entrare in campo la politica e la società civile. Serve una mobilitazione, appunto, di tutti coloro – dai sindaci ai comitati locali – che hanno raccolto le firme per il referendum».
Il governo ha annunciato che intende istituire un´Authority per sorvegliare il mercato dell´acqua. Non sarebbe una garanzia per gli utenti? La privatizzazione sarebbe regolata. È lo stesso modello realizzato nel gas e nell´energia.
«Qui non stiamo parlando di automobili per le quali, non ho dubbi, che debba essere il mercato il campo di gioco. L´acqua è un´altra cosa. L´acqua è come la scuola o la sanità: non si può che parlarne in termini pubblici. Qui bisogna pensare in termini di benessere della collettività, non di guadagni, di profitti o di affari di qualcuno. L´acqua è un bene prezioso ed è per questo che ha senso fare una grande battaglia».
Comunque è l´Europa che ha fissato le regole del gioco. In Francia, per esempio, c´è un modello privatistico del servizio di distribuzione dell´acqua.
«Sì, è vero in Francia è così. Ma ci sono battaglie che si possono fare anche per determinare un cambiamento in Europa».
Chi è a favore della privatizzazione sostiene che l´ingresso della logica di mercato aumenterebbe l´efficienza del servizio, riducendo gli sprechi, le perdite d´acqua lungo i tubi, e probabilmente finirebbe anche per abbassare i costi. Cosa risponde?
«Che questa contrapposizione tra pubblico e privato mi pare fuori luogo. Ci sono gestioni private che hanno migliorato l´efficienza e altre che fanno inorridire. Quello dell´acqua non solo è – come ho detto – un settore pubblico per definizione, ma richiede pure un significativo sforzo dal punto di vista degli investimenti. E io devo ancora vederli i privati che entrano in un business e pensano prima agli investimenti e dopo al loro profitto. Mi pare che le sirene secondo cui con i privati i servizi migliorano abbiano smesso di suonare. Insomma, l´argomento non funziona più e d´altra parte in giro si vedono tanti monopoli e poca concorrenza».
La Confindustria ha fatto da sponda, per quanto dietro le quinte, all´azione del governo per bloccare prima il referendum sul nucleare e ora quello sull´acqua. Cosa pensa della posizione degli industriali?
«Mi pare un´operazione molto miope, contraddittoria rispetto agli interessi stessi delle imprese ma anche la logica conseguenza di chi ha cancellato dal proprio vocabolario la parola “pubblico”. Non mi pare proprio che si possa pensare di aver risolto i problemi mettendo, o provando a mettere, i referendum nel cassetto. Questo è un Paese che ha bisogno di un piano energetico, così come di investimenti nella distribuzione dell´acqua. Questo è un Paese che ha bisogno di scelte, non di nascondere i problemi, pensando di chiudere così le partite».
Perché la Cgil è molto impegnata in questa battaglia a difesa dell´acqua pubblica?
«Perché è un tema che attraversa da tempo tutta la nostra organizzazione. Noi non pensiamo agli acquedotti di quartiere, pensiamo a integrazioni e fusioni tra le municipalizzate. Noi pensiamo che il pubblico possa essere efficiente o, come dicono, anche efficientato».
La Repubblica 24.04.11