Può capitare a tutti una serata no. È capitata a lei, Mariastar (copyright Luciana Littizzetto), crollata di schianto l’altra sera a Ballarò. Una novità, perché finora era sempre andata abbastanza bene. Tanto che Mariastella Gelmini è (era?) considerata nell’inner circle, o struttura Delta che dir si voglia, una delle punte di diamante, una sicurezza televisiva, buona parlantina, gradevole presenza, il giusto mix di grinta e arroganza, discreta competenza, un’aura di “nuova politica” a cingerle il visino occhialuto. Ora bisognerà ripensarci: è andata veramente male.
Perché non si può balbettare davanti alle cifre squadernate dall’avversario politico (un Enrico Letta solitamente mite ma stavolta davvero indignato per l’altrui ignoranza dei problemi), non si può fare appello alla fede («I tagli? Ma no, Tremonti me l’avrebbe detto»), non si può fare a gara con un Cota qualunque a chi la spara più greve (il governatore piemontese: «Ci sono più bidelli che carabinieri»), non si può invocare l’aiutino del collaboratore appollaiato dietro le spalle (anche perché quello poi se ne approfitta e si mette a gridare, lui che non avrebbe il diritto di parola, e fa a sua volta una figuraccia). Per farla breve, una débacle.
E bisogna dire bravo a Letta, che non è ricorso all’antiberlusconismo urlato – che ti viene voglia di cambiare canale quando strillano – preferendo inchiodare la ministra sulle cifre del Def di Tremonti, che inequivocabilmente significano: tagli all’istruzione. Quando si dice opposizione nel merito.
Dopo l’eclissi della Prestigiacomo – un ministro dell’ambiente che non viene avvertito della scelta di abbandonare il nucleare –, dopo la scomparsa politica della Carfagna, dopo le apparizioni della Meloni nella parte di valletta del Cavaliere, dopo le innumerevoli e sempre sguaiate comparsate della Brambilla, questa strana sindrome ammazza-ministre colpisce dunque anche la meno peggio – la Gelmini appunto – come se in questa fase le donne del Pdl fossero raggiunte da qualche invisibile raggio politicamente invalidante a fiaccarne la resa televisiva.
È come se, nel suo inesorabile incedere, la crisi del berlusconismo travolgesse le seguaci del Caimano (si salva forse solo una professionista dell’odio come la Santanché), incresciosa nemesi che porta una dopo l’altra a mancare l’obiettivo.
A Mariastella, una delle grandi speranze dell’uomo di Arcore, non basta sparare frasi a macchinetta e strizzare gli occhietti dietro gli occhiali. Deve imparare meglio, la ministra dell’istruzione, la parte che le è stata assegnata colà dove si puote. Altrimenti basterà un altro documento di Tremonti a seppellirla.
da EuropaQuotidiano 21.04.11
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