Ha aspettato un giorno, poi due, poi tre. Ha sperato fino all’ultimo che, dopo la dissociazione di questo o quell’esponente della maggioranza di governo, «l’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano» (parole del Quirinale) venisse finalmente stigmatizzata dallo stesso presidente del Consiglio. Alla fine, quando ha avuto chiaro che questo non sarebbe accaduto, la decisione: e stavolta non una nota di critica per i toni e i modi, non un generico invito alla moderazione e nemmeno un messaggio alle Camere oppure al Paese.
Piuttosto, il passo più istituzionale possibile, un’iniziativa che coinvolgerà e rappresenterà tutte le istituzioni: comprese quelle che mai avrebbero voluto che il prossimo Giorno della Memoria (9 maggio) venisse dedicato alle vittime del terrorismo, magistrati in testa a tutti.
Attesa da molti e temuta da altrettanti, ecco – dunque – la mossa del Quirinale. Che il Capo dello Stato intervenisse di fronte all’ormai incontrollabile escalation polemica in materia di giustizia era inevitabile: più difficile – piuttosto – era scegliere modi e toni capaci di evitare che a scontro si aggiungesse scontro, con tutto quel che avrebbe potuto seguirne. Di qui la decisione di non scegliere la via dell’ennesimo richiamo esplicitamente diretto al capo del governo, a vantaggio di un’iniziativa dal profilo inequivocabilmente istituzionale: il Giorno della Memoria – celebrazione voluta tre anni fa proprio da Giorgio Napolitano – ricorderà i magistrati assassinati dal terrorismo. Già, proprio quei magistrati definiti brigatisti nell’«ignobile manifesto» milanese e pesantemente attaccati come «eversori» dallo stesso presidente del Consiglio (che non ha avuto remore nel parlare addirittura di «brigatismo giudiziario»).
In verità, la scelta della via da seguire non è stata semplicissima. Da una parte, infatti, era evidente la necessità di una scesa in campo del Quirinale in difesa della magistratura (dalla Corte Costituzionale fino al singolo pm) sottoposta ad attacchi di gravità crescente; dall’altra – e altrettanto evidente – vi era la necessità di non contribuire a un ulteriore surriscaldamento del clima: col rischio, addirittura, di agevolare il capo del governo in una strategia che, giorno dopo giorno, si va sempre più manifestando in tutta la sua chiarezza.
Non si tratta di una strategia inedita: l’attacco alle «toghe rosse» e l’indice puntato verso «i comunisti» sono praticamente un classico per Berlusconi alla vigilia di ogni campagna elettorale. Con l’importante voto amministrativo di maggio alle porte (Torino, Napoli, Bologna e soprattutto Milano) il leader del Pdl ha ricominciato a suonare lo stesso ed evidentemente noto spartito. Per il Quirinale, dunque, l’esigenza era doppia: difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura senza fornire altra «benzina polemica» al capo del governo, così da poter corroborare una linea tipo «sono tutti contro di me, giudici, Alta Corte, poteri forti e perfino il Presidente della Repubblica…». Il fatto che la mossa del Quirinale non potrà comunque non essere intesa anche come un richiamo severo alle più recenti sortite di Silvio Berlusconi lascia immaginare che essa non risulterà particolarmente indigesta al capo del governo. Anzi. Nonostante l’attenzione del Colle a scegliere con cura un’iniziativa (il Giorno della Memoria, appunto) che non si prestasse a letture inevitabilmente polemiche, è facile prevedere che proprio in questo senso sarà – invece – utilizzata dal presidente del Consiglio. In questo – bisogna riconoscerlo – Berlusconi continua a dimostrare una indubbia abilità tattica: tanto che per l’avversario politico la scelta, a volte, sembra essere tra il non reagire (rischiando di apparire arrendevole, se non peggio) o passare all’attacco, col rischio di enfatizzare ulteriormente ogni argomento propagandistico del Berlusconi versione campagna elettorale.
Ieri il premier ha taciuto. Nessuna replica né diretta né indiretta all’annuncio che il Quirinale intende dedicare il 9 maggio ai magistrati vittime del terrorismo. Non è escluso che qualche commento possa arrivare di qui ad allora. Ma è soprattutto un altro l’interrogativo che comincia a fare il giro dei «palazzi romani»: che farà Berlusconi il 9 maggio? Potrà partecipare a una celebrazione che suonerà oggettivamente critica nei suoi confronti? E potrà mai, al contrario, disertare una cerimonia in ricordo di magistrati che hanno dato la vita per il loro Paese? Un bel rebus. Alla cui soluzione, forse, Silvio Berlusconi ha cominciato a pensare già ieri sera…
La Stampa 19.04.11
******
“Monito per impedire un conflitto istituzionale”, di Massimo Franco
E ra inevitabile che intervenisse Giorgio Napolitano: da capo dello Stato e quindi del Csm. La sua lettera al vicepresidente Michele Vietti contro «l’ignobile provocazione» dei manifesti coi quali a Milano un candidato del Pdl ha equiparato le Brigate rosse alla Procura di Milano, era attesa da ieri mattina. E tenta di rassicurare una magistratura che si sente aggredita e delegittimata da Silvio Berlusconi; e che grazie all’irresponsabilità di un aspirante consigliere comunale ha trovato una solidarietà trasversale. L’imbarazzo della maggioranza è evidente. Fa passare in secondo piano le accuse, finora non dimostrate, del capo del governo su un «patto scellerato» fra Gianfranco Fini e i giudici per impedire qualunque riforma proposta da Berlusconi. Quando ieri Fini ha ricevuto i vertici dell’Anm, Luca Palamara avrebbe scherzato sul tema. Aggiungendo che la sua Associazione non vuole essere «trascinata in uno scontro politico» . Ma la sintonia che il colloquio ha fatto registrare è stata salutata dal Pdl come una conferma indiretta delle tesi berlusconiane: anche se era programmato da un mese. Si tratta di una spaccatura che non esita a comporsi: anzi, di giorno in giorno assume toni e cadenze da conflitto istituzionale. L’intervento di Napolitano si inserisce su questo sfondo, dopo giorni di crescendo polemico. Dedicare la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo, il 9 maggio, ai magistrati assassinati, è il modo in cui il capo dello Stato vuole rispondere. La domanda tacita è se lo scontro non sia destinato a scaricarsi sui rapporti fra Napolitano e Berlusconi. Finora il governo è stato attento a non entrare in rotta di collisione col Quirinale. Ma la riforma della giustizia fa saltare qualunque possibilità di compromesso. Minaccia di incanaglire ulteriormente le posizioni: con la maggioranza portata alla resa dei conti con quelli che considera giudici di parte; e con il resto della magistratura condannata ad arroccarsi da una logica conflittuale che non ammette concessioni al «nemico» . Quando Vietti invita ad avere «il coraggio di percorrere la strada dell’autoriforma» , intercetta il pericolo. Sono gli effetti distorti della guerra istituzionale; e della volontà berlusconiana di dimostrare che i processi nei quali è imputato sono altrettante tappe di una lunga persecuzione giudiziaria. Roberto Lassini, il candidato autore dei manifesti indefinibili di Milano, annuncia che non si ritirerà; e questo trasferisce il problema sul Pdl. L’impressione è che, continuando così, le vie d’uscita immaginabili saranno traumatiche: per entrambe le parti.
Il Corriere della Sera 19.04.11