"Generazione 40 anni, si scrive flessibile ma si legge precario", di Tonia Mastrobuoni
C’ è chi li chiama bamboccioni, chi, citando una commedia francese di qualche anno fa su una famiglia che non riesce a cacciare il figlio trentenne inchiodato a casa, Tanguy. La verità è che se in Italia milioni di giovani hanno un problema a costruirsi un’esistenza fuori dalla famiglia, i motivi sono solo in parte antropologici. E più che a indolenti ragazzoni che preferiscono farsi lavare i calzoni dalle madri a quarant’anni, in mancanza di politiche pubbliche che li tutelino, i giovani somigliano sempre di più a funamboli senza rete. E la recessione ha avuto solamente l’effetto di rendere evidenti i difetti del sistema che stanno condannando ormai quasi due generazioni a stare peggio delle precedenti. Cresciuta nella consapevolezza di dover dimenticare il mito del posto fisso che aveva segnato la vita dei propri genitori, dagli anni 90 la generazione dei flessibili ha imparato invece che il destino più comune è invece quello di precario. Non è una distinzione politica: lo affermano apertamente economisti e giuslavoristi autorevoli come Boeri, Trivellato o Ichino. La differenza? Chi …