attualità, politica italiana

"Privatizzare la libertà statale", di Adriano Prosperi

Sulle mura di Milano è ancora fresca la colla dei manifesti che attaccano i giudici come terroristi dando voce alle irresponsabili piazzate di un capoparte populista: e oggi è sempre lo stesso capoparte che si lancia in un nuovo attacco a testa bassa, questa volta contro la scuola pubblica. Si tratta di attacchi eversivi nel senso proprio del termine, diretti cioè a distruggere le istituzioni statali. Non è per caso se si è passati dai giudici delle Procure alla scuola pubblica. Sono i luoghi dove per definizione tutti i cittadini sono o dovrebbero essere posti in condizioni di uguaglianza nel godimento di diritti fondamentali. Se non lo sono, questo accade per strozzature sociali a monte che i padri costituenti della Repubblica ebbero ben presenti e indicarono come ostacoli da rimuovere. Oppure accade per strozzature a valle, perché le risorse disponibili sono scarse, perché si taglia il personale che dovrebbe garantire il funzionamento delle istituzioni pubbliche più delicate. Sappiamo molto bene come, riducendo mezzi e persone, chi manovra le finanze statali possa uccidere le reti istituzionali della vita associata: lo vediamo tutti i giorni sotto i nostri occhi.
Non è difficile però comprendere le ragioni dell´odierno attacco contro la scuola pubblica. Vediamole, premettendo che l´accusa alla scuola pubblica di essere un luogo di indottrinamento ideologico da parte della sinistra è una tesi indimostrabile e speciosa. Ma è probabile che l´attacco del premier sia stato ispirato dalla scoperta fatta dai 19 deputati del Pdl guidati dall´onorevole Gabriella Carlucci che nei manuali di storia c´è chi “getta fango su Berlusconi”, da cui la richiesta di una commissione d´indagine. Se tutto il problema si riduce a questo, si faccia pure l´indagine: ma non certo per sostituire i manuali oggi scelti autonomamente dagli organi scolastici competenti con la lettura obbligatoria dell´autobiografia del premier. La scuola pubblica è tale proprio perché è il luogo della serietà e della libertà dell´apprendimento, cioè l´esatto contrario dell´indottrinamento passivo. La scuola pubblica come palestra di formazione non può che essere luogo di responsabile libertà del docente e dell´impegno serio e assiduo dei discenti, mentre allo Stato deve garantire quel principio liberale del premiare i capaci e meritevoli tra i docenti e tra i discenti. Su questi e non su altri fondamenti è nata la scuola che, dai tempi di Napoleone, si definisce “pubblica” per distinguerla da quella “privata”.
C´è però una ragione più generale alla radice di questa polemica: l´avversione contro tutto ciò che è pubblico, dall´ordinamento istituzionale del paese ai valori della carta costituzionale che lo tengono unito. È questo che suscita la reazione dell´uomo che sta risucchiando nei gorghi del suo privato tutto ciò che tocca. Quello che vediamo è la versione italica di un conflitto profondo e sostanziale tra la privatizzazione capitalistica delle risorse pubbliche e i fondamenti stessi della democrazia. In un progetto che tende allo svuotamento della sostanza democratica e costituzionale del paese la scuola non è un obbiettivo secondario. Come ha ricordato il presidente Napolitano, è alla scuola e all´istruzione pubblica che spetta un compito fondamentale: «Diffondere tra le nuove generazioni una più approfondita conoscenza dei diritti e dei doveri che da più di mezzo secolo la Costituzione repubblicana garantisce e indica a tutti i cittadini». Un compito importante e delicato : è stato ancora Napolitano a sottolineare quanto ne dipenda la crescita del paese nel contesto del sistema e dei valori dell´Europa unita. Ecco perché non bisogna stancarsi di difendere i diritti alla scuola dall´attacco dei privatizzatori; ed ecco perché agli studenti bisogna chiedere che non si stufino di difendere la scuola pubblica dagli attacchi di chi avrebbe tante ragioni per dichiarare fallimento e ritirarsi da una scena politica dove ha portato solo divisione e scandali.

La Repubblica 17.04.11

******

«Le ossessioni del capo», di Carlo Galli

Nella prossimità delle elezioni Berlusconi si scalda e ricorre ai suoi cavalli di battaglia più logori e pericolosi. Qualcosa è cambiato, tuttavia; il tono è sempre più esasperato, minaccioso, truce, come di chi – nonostante i successi in Parlamento e le mille trappole legali a cui si dedicano i suoi avvocati – si sente perseguitato, colpito, braccato.
E reagisce con crescente furore. Così, i giudici sono ormai comunisti, eversori, un´associazione a delinquere che complotta per indebolire il premier, per danneggiarlo; ed è giusto e opportuno che il Legislativo, le Camere, organizzi una commissione d´inchiesta per appurarlo. Così, il Capo va protetto da indagini e processi, perché il suo ruolo è troppo importante perché lo si possa disturbare con “bazzecole” mentre “deve difendere il suo Paese in politica estera” (la citazione letterale è dovuta). Così, è ormai venuto il momento di vibrare il colpo finale: andare alle urne per elezioni anticipate e confermare l´attuale maggioranza, coesa, dura e pura, per potere finalmente, nel quarto tempo della parabola tendenzialmente infinita di Berlusconi, riformare la Costituzione e in particolare la Giustizia. Così, soprattutto, si potrà mettere in chiaro che la sovranità appartiene al popolo, che la “cede” (letterale) al Parlamento; e che quindi questo – naturalmente si parla della maggioranza, opportunamente prodotta da un´apposita legge elettorale – deve essere lasciato legiferare in santa pace, al riparo dalle pretese di una Corte Costituzionale oggi in mano ai comunisti e ai pm di sinistra, che non si potrà più permettere di disfare con un tratto di penna i frutti di un lungo lavoro parlamentare (con particolare riguardo al lodo Schifani, al lodo Alfano e alla legge sul legittimo impedimento).
Il registro espressivo di questa politica è ormai paradossale, isterico, estremistico: è strutturato per ossessioni. Che sono certamente rivolte a utilizzare e attizzare pulsioni di lungo periodo dell´elettorato del Pdl, ma che ormai sono, altrettanto certamente, condivise anche da Berlusconi, che ne è come prigioniero, in una sorta di perfetta identificazione tra se stesso e il suo popolo. In una solitaria prefigurazione di un regime monocratico.
La prima è quella del comunismo: Berlusconi lo vede ovunque, nei pm, nei giudici, nel personale politico dei partiti d´opposizione. Non sa bene che cosa è, e non si cura di definirlo per i suoi ascoltatori; al riguardo s´intendono benissimo: c´è una sorta di precomprensione empatica tra di loro. Comunismo è una natura diabolica che si impossessa di una persona e non la abbandona mai più, rendendola per sempre malvagia e animata da spirito critico verso la tradizione, il buon senso, le persone per bene e i buoni sentimenti; e soprattutto istillando odio per lui, per Berlusconi. Comunista, anzi, è chiunque si opponga al Cavaliere e alla sua politica, anche se – poniamo – è liberale. Questo anticomunismo è la vendetta postuma del moderatismo italiano contro la sinistra, nell´epoca storica che sta vedendo l´estinzione di questa.
L´altra ossessione, fondamentale, è quella della magistratura – che va insultata e minacciata con particolare enfasi e vigore –; e qui emerge un altro elemento storico chiarissimo: Berlusconi è la rivincita postuma di Craxi su Mani Pulite, ed è al tempo stesso l´esorcisma collettivo della maggioranza degli italiani verso il soprassalto di legalità che li colse vent´anni fa, e che ora va dimenticato come un lontano errore.
L´ultima ossessione – anche questa condivisa da Berlusconi e dalla sua ‘gente´ – è quella del popolo; entità misteriosa, evocata continuamente come ‘sovrana´ contro le élites, anzi contro l´ultima élite sopravvissuta: appunto la magistratura. Che questo sovrano sia maneggiato, attivato e disattivato a piacere da Berlusconi e dalle sue molte macchine comunicative non è percepito dal popolo stesso, che ha appreso da tempo a sentirsi libero solo quando per bocca del Capo può sfogare il proprio rancore postumo contro gerarchie sociali e culturali ormai tramontate. Il trionfo della maggioranza sulla competenza, dell´omogeneità sulla distinzione, si compie così, felicemente, attraverso il magnate populista, attraverso colui che sta costruendo per sé solo l´eccezione assoluta che lo rende superiore a ogni norma e a ogni regola.
È, quello di Berlusconi, un populismo monocratico, reso profondamente antidemocratico appunto dal richiamo al popolo a vantaggio di una persona sola. E soprattutto dalla necessità che il cavaliere ha di alimentarlo con l´attivazione di un conflitto permanente tra il popolo e le istituzioni. Un populismo di micidiale efficacia, che viene da un passato collettivo potenziato dalla volontà di Uno, e che cerca di impadronirsi del futuro; un populismo che è frenato solo, per ora, da ciò che – giustamente – esso identifica come il proprio avversario: il moderno costituzionalismo, il sistema di equilibri e di garanzie, che informa di sé la nostra Costituzione. Il baluardo che ci separa da una postmodernità squilibrata, informe e feroce.

da la Repubblica