Sentire il presidente del Consiglio che paragona i giudici all’eversione mi fa venire i brividi lungo la schiena», dice il senatore Pd Gerardo D’Ambrosio, che da magistrato per lunghi anni ha indagato su terrorismo e stragi. «Negli anni di piombo avevamo paura per la tenuta della nostra giovane democrazia. La stessa forte preoccupazione che avverto oggi, davanti a un pericolo diverso ma forse più insidioso. Senza accorgercene, rischiamo di finire in uno stato autoritario».
Perché più insidioso?
«Perché è un rischio molto più difficile da combattere. Negli anni di piombo il pericolo si vedeva e ci fu una reazione popolare molto forte. Penso alle mobilitazioni dopo la strage di piazza Fontana, alla reazione di popolo che seguì l’omicidio di Emilio Alessandrini. La gente scese in piazza spontaneamente e stroncò i disegni autoritari. E fu l’inizio della fine del terrorismo».
E oggi, invece?
«Oggi non c’è una reazione popolare paragonabile al rischio che stiamo correndo. Anzi, si assiste a manifestazioni sotto il palazzo di Giustizia di Milano che inneggiano a Berlusconi che attacca i giudici. Sono forme di intimidazione anche nei confronti della magistratura giudicante».
Non le sembra eccessivo paragonare il fenomeno Berlusconi al terrorismo? «Non mi sarei mai aspettato di assistere a scene del genere, a un premier che utilizza questo linguaggio mentre dalla sua maggioranza non si levano voci discordanti. Non c’è più solo un conflitto tra istituzioni ma un attacco frontale alla magistratura, non solo ai pm. Abbiamo visto Milano tappezzata di manifesti “Via le Br dalle procure”, adesso il premier parla di una commissione d’inchiesta contro le toghe. Sono in pericolo i principi fondamentali dello Stato di diritto». Il suo parallelo rimane molto forte… «È chiaro che non si tratta di fenomeni direttamente paragonabili: in quel periodo c’era una violenza diffusa, c’erano i morti e i feriti quasi ogni giorno. Io dico che allora la democrazia corse un grave pericolo che fu sventato anche grazie alla mobilitazione popolare. Mentre oggi, nel momento in cui l’Italia sta imboccando una deriva autoritaria non c’è la stessa reazione che ci fu allora». Perchè?
«Una delle ragioni è il monopolio dei media. E la colpa è anche dell’opposizione che non ha mai risolto il conflitto di interessi tra politica e controllo delle tv».
Secondo lei con una legge di quel tipo si sarebbe realmente frenata la parabola berlusconiana? «Siamo l’unico paese occidentale in cui il premier ha questo tipo di controllo sull’opinione pubblica attraverso le tv, quelle che possiede e quelle che controlla. E questo continua ad avere un peso fortissimo su quella parte di italiani che si informa solo attraverso le tv». Concretamente, quali rischi corre la nostra democrazia. Cosa può succedere?
«Berlusconi sembra disposto a tutto pur di sfuggire ai processi. E la maggioranza obbedisce, come si è visto nel voto sul cosiddetto “processo breve”. Oggi (ieri, ndr) il premier ha avuto il coraggio di dire in pubblico che questa legge serve a non farsi processare. È una situazione senza precedenti, nel mirino c’è la magistratura giudicante, non solo i pubblici ministeri».
Qual è la strategia di Berlusconi? Vuole solo evitare di essere condannato o c’è un disegno più ampio? «C’è qualcosa di più di una “semplice” difesa dal processo. C’è la volontà politica di costruire uno Stato più autoritario, eliminando il contrappeso della magistratura. Non ci sono solo le leggi ad personam, ma anche i tentativi di togliere poteri ai pm per trasferirli alla polizia giudiziaria. E ancora: di togliere al Csm la facoltà di dare pareri al governo su temi delicatissimi che investono il funzionamento della giustizia. La maggioranza sa perfettamente che la riforma costituzionale avrà tempi lunghi e dovrà passare dal vaglio popolare. Per questo cercano di ottenere gli stessi risultati con delle leggine ordinarie». L’opposizione cosa dovrebbe fare per segnalare la gravità della situazione?
«In Parlamento facciamo quello che possiamo, segnaliamo e combattiamo tutti i pericoli. Purtroppo però di quello che succede in Parlamento la gente sa poco o niente. Per fortuna si sta levando autonomamente la voce dei giovani, dei precari, che si accorgono che i loro problemi non vengono mai affrontati, e che il loro futuro è a rischio. Sono in tanti a subire a questa situazione, forse da qui può partire una scintilla di cambiamento».
L’Unità 17.04.11
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Il professor Carlo Federico Grosso: “Così si attenta allo Stato”, di Beatrice Borromeo
Per il professor Carlo Federico Grosso i manifesti che paragonano i magistrati alle Br sono “una vergogna inaccettabile”, così come gli attacchi del governo ai giudici: “Intimidazioni che scardinano i principi dello stato di diritto”
“Intimidisce i giudici Così crolla la democrazia”
Per il professor Carlo Federico Grosso, uno dei più celebri avvocati penalisti italiani, le accuse sempre più violente del governo alla magistratura sono “attacchi ai principi cardine dello stato di diritto, che colpiscono ogni giorno la democrazia. Che, a questo punto, sta per crollare”.
Professor Grosso, come ha reagito vedendo i manifesti con su scritto “Via le Br dai tribunali”?
Sono allibito, è un atto vergognoso. Minacciare così i magistrati è intollerabile. Soprattutto perché proprio loro sono stati vittime dei brigatisti: penso tra gli altri a Guido Galli e a Emilio Alessandrini , assassinati da un commando di Prima linea proprio a Milano.
Il ministro della Giustizia Alfano si è dissociato dai manifesti solo ieri, dopo oltre un giorno di silenzio.
Alfano è lo stesso che ha messo il suo nome su una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Anche quando parla tempestivamente, spesso lo fa a sproposito. Dunque non mi stupisco più né per ciò che dichiara né tanto meno per i suoi silenzi.
Ieri Berlusconi ha ribadito che la magistratura è eversiva. E altri due esponenti del Pdl, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, hanno invocato sanzioni contro i pm di Milano. La preoccupa il clima che si sta creando?
Certo. Si tratta di iniziative assolutamente intimidatorie, deprecabili.
Lei è firmatario di un appello scritto dal professor Giorgio Marinucci contro la prescrizione breve. La definite “uno sfregio al principio di uguaglianza davanti alla legge”.
La prescrizione breve è palesemente incostituzionale, viola l’articolo 3 della Carta. Infatti fa dipendere il tempo necessario per estinguere il reato non dalla gravità del crimine commesso, ma dalle qualità personali.
Cosa c’è di sbagliato se un incensurato riceve un trattamento privilegiato rispetto a un recidivo?
Facciamo un esempio: c’è un incensurato che compie una truffa gravissima, per miliardi di euro, alla Bernie Madoff. Poi c’è un pregiudicato che, recidivo, ruba un portafogli con dentro pochi centesimi. Ci sarà molto meno tempo per celebrare il processo del nostro Madoff, che probabilmente verrà prescritto, rispetto al processo per il furtarello. E poi c’è da fare una considerazione storica.
Quale?
Il diritto penale “d’autore”, in contrapposizione a quello del reato, è tipico dei sistemi autoritari. Solo lì si selezionava la gravità della responsabilità penale in base al soggetto, alla personalità, magari alla categoria sociale invece che basandosi su ciò che avevano fatto. I liberali invece sanzionano considerando la gravità dell’offesa. Questa selezione della durata della prescrizione in rapporto al tipo di autore era già stata realizzata dalla ex Cirielli. La norma Paniz peggiora le cose.
Ma la prescrizione breve, minimizza il governo, accorcerà i processi soltanto di qualche mese.
Sarà un incentivo a delinquere . Ed è dannosa proprio perché si innesta sull’incredibile ex Cirielli, che ha già dimezzato i termini di prescrizione. Diminuirli ancora è gravissimo, e inciderà soprattutto sui reati di media portata, che si estinguono dopo 7 anni e mezzo: togliere 6 mesi è tanto, e sui reati come la corruzione avrà un effetto devastante. Anche perché si tratta di crimini che spesso si scoprono alcuni anni dopo che sono stati commessi.
Tra le leggi ad personam ritiene più grave la prescrizione breve o il processo breve?
Servono a esaudire due desideri diversi. La prescrizione breve blocca il processo Mills prima di una condanna di primo grado, e l’effetto generale sarà un incentivo a delinquere. Mentre il processo breve, per com’era stato pensato all’inizio, era demenziale: poneva blocchi rigidi sulla durata massima del primo, secondo e terzo grado di giudizio. Se non venivano rispettati, si cancellava il processo, qualunque fosse la gravità del reato contestato.
Nella versione approvata, invece, se non si rispettano i limiti imposti il processo può continuare lo stesso.
C’è però un particolare molto preoccupante: hanno previsto che se il giudice, per esempio in appello, supera i rigidi tempi previsti, il capo del suo ufficio deve comunicarlo al Guardasigilli e al procuratore generale della Cassazione. Cioè ai due titolari dell’azione disciplinare.
Quindi sarà Alfano a decidere se punire o meno il magistrato?
Esatto. Hanno trovato un modo per dare al governo più poteri nella lotta ai magistrati. Prendiamo un processo per aggiotaggio: basta che vengano chieste 4 o 5 perizie e sicuramente si sforeranno i tre anni previsti per il primo grado di giudizio. Il giudice, anche se del tutto incolpevole, può essere sottoposto ad azione disciplinare, a discrezione del ministro. È uno dei tanti modi per intimidire la magistratura.
Come se ne esce secondo lei?
Ci vorrebbero nuove elezioni e una maggioranza di italiani che, avendo capito la situazione, scegliesse una classe politica all’altezza del compito di governo. Così da riportare il Paese a un livello di civiltà.
Il Fatto Quotidiano 17.04.11