A Pantelleria due donne affogate a pochi passi dalla riva. Mentre a Pantelleria si consuma l’ennesimo dramma della boat people – due morti e due dispersi durante un’operazione di soccorso di un barcone con a bordo 250 persone provenienti dalla Libia – la Lega e Berlusconi, chiusi nel cul de sac dell’emergenza immigrazione, tentano, ognuno a suo modo, la carta della rassicurazione, provano a dire che va tutto bene: grazie a Barroso l’Ue si sta muovendo, i permessi temporanei sono conformi a Schengen, l’accordo con la Tunisia sta funzionando perché i rimpatri concordati procedono.
Il Cavaliere lo fa in modo soft, anche blandendo i Padani. E in conferenza stampa a palazzo Chigi mette un braccio sulla spalla di un Calderoli che fa buon viso a cattivo gioco: «Dopo alcune resistenze, la Lega ha dato grande disponibilità ad accogliere i migranti, ma naturalmente il principio è che tutti quelli che arrivano li dobbiamo rimandare indietro».
Ma il Carroccio, invece, non è soft per niente. E dopo Castelli che ha evocato il possibile ricorso alle armi, tocca a Speroni fare la faccia feroce, facendo scattare l’ennesima polemica: «Spesso, quando i nostri pescherecci, disarmati, si avvicinano alle coste della Tunisia, vengono mitragliati.
Usiamo lo stesso metodo». E, come nota il segretario della commissione esteri del senato, Roberto Di Giovan Paolo, fa pure confusione, perché ai tempi furono i libici, con cui c’era anche un accordo, a mitragliare i nostri pescherecci.
La Lega in difficoltà accoglie la parte di profughi e tunisini che spettano ai suoi governatori – cercando di farlo sapere il meno possibile – e insieme rispolvera tutto il vecchio armamentario ideologico che il senatùr Bossi un po’ stempera e un po’ no. Maroni ostenta durezza e tiene ferma la linea: «Grazie all’accordo con Tunisi si va verso la chiusura del rubinetto»; «Tutti i clandestini che arriveranno saranno rimpatriati»; i permessi temporanei «sono validi per circolare nell’area di Shengen» e se la Francia e ieri anche il Belgio fanno sapere che faranno controlli stringenti e minuziosi, questo «dimostra proprio che i tunisini possono circolare proprio nell’Ue. Se non li vogliono far entrare, devono sospendere Shengen, ma sarebbe la fine dell’Europa». Ed è un modo per far vedere il bicchiere – semivuoto – almeno mezzo pieno. Berlusconi e Maroni contano infatti molto sulla ripresa di iniziativa della Commissione per mano di Barroso, che sta esercitando su Tunisi tutta la sua capacità di persuasione, anche a fronte di investimenti e risorse, per i rimpatri e il blocco delle partenze. E si è mosso anche il presidente del consiglio europeo Van Rumpuy: ieri a Nicosia ha detto che l’Ue potrebbe fare di più per assistere i paesi a Sud del Mediterraneo nella lotta all’immigrazione irregolare e nel controllo delle frontiere. Dopo lo scontro dei giorni scorsi la diplomazia europea è in effetti ripartita. Seguita con attenzione da Napolitano, che ha definito «altamente apprezzabili i timori» del segretario di stato Vaticano Bertone e del presidente della Cei Angelo Bagnasco (ieri ha chiesto che «l’Italia abbia una voce sola verso l’Europa»). Il capo dello stato è tornato sul tema: «La politica di accoglienza non dev’essere in contrasto con la fissazione di regole a livello europeo, che bisogna riuscire a concordare ».
La diplomazia Ue è ripartita, ma è da vedere se nei tempi lunghi Tunisi terrà e se dalla Libia i flussi di profughi rimarranno contenuti.
E la Francia, il Belgio e la Germania rimangono ossi duri. Perché è vero che i permessi italiani rispettano la lettera del trattato sulla libera circolazione in Europa, ma è altrettanto vero che rimangono ferme le condizioni da rispettare: i nostri documenti garantiscono l’identificazione, il titolo di viaggio e l’assenza di precedenti penali, come sostiene il ministro dell’interno.
Rimane però da risolvere il problema delle risorse che i tunisini dovrebbero avere per passare la frontiera (di 30 ai 60 euro al giorno). Come si sa, la Francia è pronta a rispedire al mittente chi non le ha. La diplomazia ha molto da lavorare, sempre che i toni italiani non si alzino troppo.
da Europa Quotidiano 14.04.11