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"La vera faccia della Lega", di Miguel Gotor

«Bisogna respingere gli immigrati, ma non possiamo sparargli, almeno per ora». Con queste incredibili parole il leghista Castelli, ex ministro della Giustizia e attuale viceministro alle Infrastrutture, ha commentato gli ultimi episodi di Lampedusa; del resto «contro le Brigate rosse cosa abbiamo fatto?» ha concluso per puntellare il suo strampalato ragionamento.
Bontà sua, «almeno per ora». C´era una volta la Lega di lotta e di governo. Una volta, perché oggi il Carroccio non lotta più come vorrebbe e non governa come potrebbe: la macchina populista si è inceppata davanti alla necessità di risolvere i problemi per davvero e non solo di alimentare continue paure e tensioni, come mostrano anche queste ultime dichiarazioni di Castelli.
Le prime avvisaglie del cambiamento si sono avute nelle splendide giornate di Torino e di Milano, in occasione della visita del presidente della Repubblica per le celebrazioni dell´Unità d´Italia. Le manifestazioni sono state accompagnate da un successo popolare superiore alle più rosee aspettative e, forse per la prima volta, la Lega non ha saputo intercettare la tanto evocata «pancia del Paese». Proprio la gente del Nord ha preferito guardare da un´altra parte, verso l´unità e non la divisione, verso la solidarietà e non l´egoismo.
Il Carroccio appare prigioniero della sua propaganda, incapace di governare i problemi che una perenne retorica dell´emergenza e della radicalizzazione dei conflitti hanno amplificato presso il proprio elettorato di riferimento che ora inizia a chiedergli il conto. Basta ascoltare in questi giorni Radio Padania o sfogliare il quotidiano del partito per percepire l´insoddisfazione della base che denuncia il tradimento dei suoi ministri e attacca la Lega che prima «era tigre» e adesso «Roma l´ha ridotta a un gattino». Naturalmente il bacino elettorale leghista è più ampio di queste manifestazioni militanti, ma sarebbe sbagliato sottovalutare un simile rumore di sottofondo.
La prima difficoltà della Lega riguarda la crisi della leadership berlusconiana impelagata in una lotta senza quartiere contro la magistratura. Inevitabilmente questa crisi si riverbera sulla qualità dell´azione di governo, tutta concentrata, e ormai da troppo tempo, sulla sorte giudiziaria del premier. La Lega ha patteggiato il sostegno alle leggi ad personam con l´appoggio al federalismo, sottovalutando però il fatto che le prime sono immediatamente percepibili nei loro costi sociali in termini di tutela della legalità generale, mentre la riforma federale rimanda a un futuro incerto ed evanescente, nel frattempo accompagnato da un tangibile aumento della pressione fiscale.
La seconda difficoltà concerne l´impianto culturale della classe dirigente leghista a livello locale e nazionale. Molti di loro potranno essere buoni sindaci e amministratori del territorio, ma hanno difficoltà a guardare al sistema Italia nel suo insieme dentro un quadro di rapporti europei e internazionali sempre più complesso. Davanti a questi ostacoli i dirigenti leghisti provano a reagire, giocando la carta dell´antieuropeismo (si pensi alle dichiarazioni del ministro Maroni in favore di telecamera) e quella della xenofobia (si legga l´intervista del governatore Zaia che accusa i tunisini di «pretendere che tu non dia loro carne di maiale da mangiare») così da rientrare in connessione emotiva con i propri militanti, i quali rivendicano ai microfoni di Radio Padania il loro razzismo quando auspicano di invadere di maiali Lampedusa o di sparare addosso a quei tunisini in fuga.
In verità, i leghisti sanno bene che il loro elettorato del Nordest conosce la realtà dell´immigrazione, quella che lavora e produce e che consente già oggi, ad esempio, di pagare le pensioni degli italiani. Solo che la vogliono a basso costo e dunque agitano lo spettro criminale perché sanno che un lavoratore senza diritti è più debole e quindi ricattabile sul piano economico e psicologico. Se per un immigrato fosse più semplice ottenere la cittadinanza, dentro una cornice di diritti e di doveri riconosciuti, non sarebbe più disponibile a lavorare a qualsiasi prezzo, nero e clandestino come nera e clandestina è la sua condizione di sfruttamento. Sono queste verità elementari, patrimonio comune delle classi dirigenti europee conservatrici come progressiste, che solo in Italia vedono i leghisti al governo fingere che non esistano e anzi soffiare irresponsabilmente sul fuoco che ora li sta lambendo.
L´impressione è che le vele della demagogia si stiano sgonfiando e che il vento abbia cominciato a cambiare direzione: il tempo dell´incantesimo populista sembra ormai alle nostre spalle. Unità nazionale, coesione sociale e patto costituzionale sono i tre pilastri su cui costruire un´alternativa a questa destra incardinata lungo l´asse Lega-Berlusconi, che in realtà non è più maggioranza nel paese, ma resiste arroccata al potere, tra uno Scilipoti e l´altro, e abbaia all´Europa perché non riesce più a governare l´Italia.

La Repubblica 13.04.11

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Ragazzini in fuga senza soldi né famiglia “Dite a mia madre che io ce l´ho fatta”, di VLADIMIRO POLCHI

«Ho visto uccidere mio fratello sulle strade di Tunisi. Sono corso via veloce. Quando sono arrivato a casa i miei genitori mi hanno detto: parti e non tornare mai più». Bechir, 17 anni, è tunisino. Un mese fa è sbarcato a Lampedusa, oggi vive in una comunità d´accoglienza nel Lazio. Bechir è uno dei settecento minori stranieri non accompagnati approdati in Italia dal 10 febbraio scorso. Un´emergenza nell´emergenza: un esercito di ragazzi e bambini, soli, spesso invisibili.
I minori stranieri non accompagnati si trovano fuori dal proprio Paese d´origine, senza genitori, né tutori. Per legge, non possono essere espulsi (articolo 19 della Bossi-Fini), né trattenuti nei centri per adulti, ma devono essere ospitati nelle comunità d´accoglienza sul territorio nazionale. Il loro identikit? «Nel corso del 2011 dalla Tunisia sono arrivati per lo più ragazzi soli, tra i 16 e i 17 anni – spiega Viviana Valastro, coordinatrice di Save the Children a Lampedusa – mentre ora dalla Libia stanno sbarcando soprattutto bambini, spesso accompagnati da almeno un genitore». Settecento sono i minori non accompagnati arrivati durante l´emergenza, 34 quelli ancora trattenuti a Lampedusa. Il 90% proviene dalla Tunisia. Dove sono ospitati? Nelle comunità d´accoglienza di Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Liguria. Non solo. Agli adolescenti, sono seguiti i bambini: in appena due giorni, l´8 e 9 aprile, 31 bambini accompagnati dai genitori sono sbarcati a Lampedusa, di cui 10 hanno meno di un anno (eritrei e somali). «Il 9 aprile – racconta Valastro – dalla Libia è arrivata Karima, una bimba di 4 anni, assieme alla cuginetta, alla mamma e a una zia, entrambe diabetiche. Sono state trasferite a Crotone, in un centro d´accoglienza per richiedenti asilo. I genitori, marocchini, lavoravano da 18 anni in Libia. Vogliono rimanere a vivere in Italia e raggiungere Mantova, dove la mamma di Karima ha due sorelle e dove è stato sepolto anche il nonno».
Perché i minori lasciano il proprio Paese? C´è chi aspira alla protezione internazionale, chi dichiara di scappare da violenze, chi ammette di aver colto un´opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita. Gran parte dei minori tunisini dichiara di voler proseguire il proprio viaggio verso la Francia. «Sono scappato dalla capitale – racconta Mohamed, tunisino, 16 anni – dove vivevo con mio papà. Durante le violenze, ho pensato di fuggire e raggiungere mia mamma che vive in Francia. Ora spero di incontrarla presto».
Nel nostro Paese, i minori non accompagnati hanno diritto a ottenere un permesso di soggiorno valido fino al compimento del diciottesimo anno. E poi? Il 3° Rapporto di Save the Children (Ong nata nel 1919 e presente in oltre 120 Paesi) su “L´accoglienza dei minori in arrivo via mare” lancia l´allarme: «Il pacchetto sicurezza (legge 94/2009) determina, di fatto, l´impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per i minori non accompagnati, che hanno fatto ingresso in Italia a un´età superiore ai 15 anni: la prospettiva è di ritrovarsi irregolari una volta compiuti i 18 anni». Corrono questo rischio ben 5.847 minori sui 6.587 censiti nel 2009. Il pacchetto sicurezza, infatti, richiede la permanenza di almeno 3 anni in Italia, prima del conseguimento della maggiore età. Un requisito che difficilmente potranno soddisfare i minorenni tunisini arrivati in questi giorni.
E´ il caso di Karim, 16enne, partito da Karkar assieme al fratello di 26 anni, ma su barche diverse. Karim è arrivato a Lampedusa il 14 marzo. «Mio fratello invece non è mai arrivato: la sua barca è naufragata. Sono morti in 41». Per arrivare in Italia, Karim ha pagato 1.500 dinari. «Me li ero guadagnati vendendo mangimi per animali; lavoravo perché papà ha perso il lavoro dopo un incidente. Pensavo da tempo di venire in Italia, da quando un mio amico, vicino di casa, è partito e i suoi genitori hanno cominciato a ricevere soldi dall´Italia. Ma io sono partito senza che papà lo sapesse, e questo mi rende triste». Karim vuole rimanere in Italia, ha un fratello a Padova.
Avrà, invece, probabilmente diritto all´asilo Ahmed, 16 anni, somalo. Forse raggiungerà alcuni parenti in Belgio o forse resterà in Italia. Però una cosa l´ha ben chiara: adesso è libero, finalmente. Dietro alle spalle, Ahmed si lascia 4 mesi passati in un centro di detenzione a Misurata, in Libia. Prigione a cielo aperto in cui finivano anche i minori, in disprezzo delle norme internazionali. «La guerra ha fatto sì che da quei centri adesso si possa scappare – racconta Ahmed – ci sono tantissime persone pronte a partire e imbarcarsi. Duecento euro è costato il mio viaggio. Adesso, a Lampedusa mi serve ancora qualche spicciolo e soprattutto una cabina telefonica per avvisare mamma e i miei 6 fratelli, tutti in Etiopia, che ce l´ho fatta».

La Repubblica 13.04.11