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«Il ministro Alfano è un irresponsabile. Questa è un’amnistia», di Claudia Fusani

Il capogruppo del Pd in commissione giustizia commenta la 20esima legge salva-premier: «Perché chi è incensurato deve farla franca? Che principio è?»
Legge salva premier numero 20. Parlamento avvocato difensore del premier. Cosa le fa più rabbia? «Tutto quello che non è stato fatto e che si poteva fare per i cittadini. E’ allucinante che il Parlamento sia stato occupato dall’inizio della legislatura unicamente a ricercare strumenti per intervenire a gamba tesa nei processi del Presidente del Consiglio. Hanno cominciato con il blocca processi, poi il lodo Alfano, poi il legittimo impedimento, poi il processo breve, oggi stanno forzando sulla prescrizione breve per togliere da torno definitivamente il processo Mills dove Berlusconi rischia una condanna con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. E che dire dei continui tentativi con cui la maggioranza ha cercato di infilare norme insidiose nei provvedimenti più vari? Ormai quando viene annunciata una nuova proposta di legge in tema di giustizia è automatico chiedersi “dov’è la fregatura?”. E non si smentiscono mai. Perché la prescrizione breve è un danno?
«Perché riduce irragionevolmente i tempi che lo Stato ha a disposizione per accertare la responsabilità penale. L’effetto sarà quello di un’amnistia incontrollata perché i calendari dei processi sono stati predisposti in base alle attuali norme della prescrizione. Sarà il caos».
Il ministro Alfano parla di 170 mila prescrizioni l’anno, la prescrizione breve ne aggiungerebbe un altro 0,2%. «E’ stato un intervento astratto e sganciato dalla realtà. I silenzi e l’omertà del ministro sui reali effetti delle nuove norme sono da irresponsabile. Un ministro garante del funzionamento del sistema giudiziario non avrebbe dovuto permettere neanche l’inizio di un provvedimento di cui non si conosce la reale portata ».
La maggioranza accusa le opposizioni di strumentalizzare. Strage di Viareggio, i crolli del terremoto: cosa rischiano veramente questi processi?
Moltissimo. Viareggio è il caso emblematico di un processo molto complesso, con decine di parti civili e la necessità di lunghi e rigorosi accertamenti. Intervenire sulla durata massima della prescrizione del reato in questo processo è di per sé sbagliato e può avere effetti drammatici. Le vittime esigono giustizia ed è incomprensibile che il legislatore si schieri dall’altra parte. Perché un imputato, seppur incensurato non dovrebbe pagare per una strage? La maggioranza non dà risposte, fa ammuina per nascondere questo scempio.
Più in generale quali sono gli effetti collaterali del pdl 3137? «Per prima cosa di principio. Perché se un imputato è incensurato deve farla franca? Più in generale dico che queste norme rappresentano un duro colpo alla lotta alla corruzione. E anche un solo processo per corruzione prescritto sarebbe una grave sconfitta per lo Stato: una vera e propria istigazione a delinquere.
Esistono margini per sollevare eccezione di costituzionalità quando la norma arriverà nei tribunali? La norma Paniz viola sicuramente il principio di uguaglianza dei cittadini e l’articolo 111 della costituzione sul giusto processo e sulla durata ragionevole dei processi che si devono concludere con una pronuncia di merito che riconosca il diritto delle vittime. I deputati della maggioranza le sembrano, in privato, colti dal dubbio?
«I malumori ci sono e profondi. In commissione più di un deputato della maggioranza ha fatto trasparire inquietudine per queste norme e per una legislatura segnata da un eccessivo interventismo in materia di giustizia. Nel caso Ruby qualcuno mi ha addirittura confidato di essere stato ripreso dalla madre perché «a tutto c’è un limite». Un tempo aiutare Berlusconi significava aiutare una parte del paese. Adesso si muove in totale solitudine. La situazione gli si è avvitata addosso».

L’Unità 13.04.11

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“La favola del processo breve”, di Gian Carlo Caselli

Noi italiani siamo convinti di essere molto furbi. Più furbi degli altri e orgogliosi di ciò. Non c’è barzelletta che abbia come protagonisti, per dire, un francese, un tedesco e un italiano che non ci veda prevalere alla grande. Ma forse siamo cambiati. Perché ormai ce le beviamo tutte con allegria. Da tempo, infatti, ci prendono in giro e siamo contenti. Ci ingannano e godiamo. Cadere in trappola ci inebria.
Formule come “riforma (epocale) della giustizia” e “processo breve” sono né più né meno che ipocrisie degne della peggior propaganda ingannevole. Se le parole avessero ancora un senso, e non fossero usate come conigli estratti da un cilindro, sarebbe chiaro che di riforma della giustizia si potrebbe parlare soltanto se si facesse qualcosa per accelerare la conclusione dei processi. Ma se non si fa niente in questa direzione, parlare a vanvera di riforma della giustizia equivale a sollevare spesse cortine fumogene intorno al vero obiettivo: che è quello di mettere la magistratura al guinzaglio della maggioranza politica del momento (oggi, domani e dopodomani), buttando nella spazzatura ogni prospettiva di legge uguale per tutti.
QUANTO AL SEDICENTE “processo breve”, siamo al gioco di prestigio. La riforma, infatti, avrebbe come effetto non un processo breve ma un processo ammazzato a tradimento (con l’aggravante dei futili motivi). Ovviamente schierarsi contro il processo breve è da folli. Sarebbe come rifiutare una medicina efficace contro il cancro. Qui però non si tratta neanche dell’elisir di Dulcamara! Non basta urlare a squarciagola che il processo sarà breve. Occorre fare qualcosa di serio (procedure snellite; più mezzi agli uffici giudiziari) perché si possa arrivare a sentenza in tempi più rapidi. Se non si fa nulla è come proclamare ai quattro venti che la squadra di calcio del Portogruaro vincerà sicuramente la Champions, confidando nella disattenzione o dabbenaggine di chi ascolta.
ORA, COME per vincere la Champions ci vuole una squadra attrezzata, così per avere un processo davvero breve ci vogliono interventi che il processo lo facciano finire prima: ma finire con una sentenza nel merito (innocente o colpevole), non con una dichiarazione di morte per non aver rispettato un termine stabilito ex novo, più o meno a capocchia. In verità la riforma ha un sapore di truffa (verbale), perché i tempi non saranno ridotti ma castrati, ed i processi non saranno abbreviati ma morti e sepolti. In parole povere: si fissa un termine che deve essere rispettato a pena di morte senza minimamente preoccuparsi del fatto che l’attuale sfascio del sistema non consentirà di rispettarlo in una infinità di processi. È come pretendere che un palombaro vestito da palombaro percorra i cento metri in pochissimi secondi, sennò muore. Assurdo, esattamente come il sedicente processo “breve”. Una mannaia che impedirà di accertare colpe e responsabilità e concluderà il processo con un’attestazione di decesso (estinzione) tanto burocratica quanto definitiva e tombale. Uno schiaffo alla fatica che le forze dell’ordine compiono per assicurare alla giustizia fior di delinquenti. Uno schiaffo al dolore e alla sofferenza delle vittime dei reati.
UNO SCHIAFFO alla sicurezza dei cittadini. Proprio quella sicurezza su cui sono state costruite solide fortune elettorali. Sicurezza che ora diventa – di colpo – roba di scarto, rivelando con assoluta evidenza come il tema sia considerato un’opportunità da sfruttare biecamente, anche gabbando la povera gente, più che un problema da risolvere. E tutto questo perché? Per fare un favore a LUI, all’altissimo (ed ecco i futili motivi). Non sfugge a nessuno, difatti, che l’obiettivo vero non è tanto ammazzare migliaia di processi, quanto piuttosto sopprimere – nell’ammucchiata – anche quel paio di cosucce che appunto interessano a LUI. Con tripudio di un esercito di scippatori , borseggiatori, topi d’alloggio e ladri assortiti, truffatori, sfruttatori di donne, spacciatori di droga, corruttori, usurai, bancarottieri, estortori, ricattatori, appaltatori disonesti, pedofili, violenti d’ogni risma, operatori economici incuranti delle regole che vietano le frodi in commercio e tutelano la salute dei consumatori, imprenditori che spregiano la sicurezza sui posti di lavoro e via elencando… Questo catalogo già sterminato di gentiluomini che la faranno franca, che si ritroveranno impuniti come se avessero vinto al totocalcio senza neppure giocare la schedina, si “arricchirà” all’infinito con la cosiddetta “prescrizione breve”: un’altra misura che sa di presa per il naso, l’ennesima leggina “ad personam” (meglio, la fotografia di LUI in persona) che fa a pugni col principio di buona fede legislativa. Sarebbe poco se fosse una di quelle barzellette che il premier usa raccontare in pubblico per il divertimento di chi ama l’ossequio servile. Invece si tratta di una bastonata in testa a una giustizia che già sta affogando. Una catastrofe per l’Italia, perché il feudo di Arcore possa continuare a svettare sulla palude nella quale annaspano i comuni mortali in cerca di giustizia.

Il Fatto Quotidiano 13.04.11

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“L’inganno delle definizioni”, di Michele Ainis

E’ uno scandalo la prescrizione breve? E in generale è un insulto al senso di giustizia la prescrizione dei reati, quali che siano le sue modalità concrete? Al contrario: questo istituto attinge alle ragioni stesse del diritto. Altrimenti non ci spiegheremmo perché mai fosse già noto all’esperienza giuridica ateniese non meno che a quella romana.
Sotto Giustiniano, infatti, i delitti si prescrivevano in vent’anni, ma anche allora c’erano casi di prescrizione più breve). Non capiremmo perché sia regolato nei codici d’ogni Paese al mondo. Resteremmo increduli scoprendo che il decorso del tempo fa estinguere altresì i diritti, i crediti, le indennità lavorative. Nel campo penale, la ragione è presto detta. Dipende dalla funzione della pena, che non è un castigo divino, non è la dannazione eterna che t’insegue fin dentro la tomba. La pena mira a soddisfare un’esigenza umana, di noi dannati della terra. E quando la polvere del tempo copre l’allarme sociale che circonda ogni delitto, non ha più senso impugnare il bastone della legge. Perché quella società offesa dal reato non c’è più, è diventata un’altra. Perché anche il reo è diventato un altro uomo, sicché punirlo sarebbe come fargli scontare le colpe di suo nonno. Perché infine ciascuno ha diritto a un orizzonte di libertà, mentre l’attesa perpetua della pena si tradurrebbe in una pena perpetua. A meno che il crimine commesso non sia tanto efferato da trascendere la storia: l’omicidio è un delitto senza tempo, e infatti è imprescrittibile. No, non è la prescrizione il peccato che ci spedirà all’inferno. Non è neppure il diavolo con le sembianze di Silvio Berlusconi, se vogliamo misurare i problemi laicamente, senza pregiudizi, senza vade retro. E non è l’accorciamento del termine di prescrizione per gli incensurati, che dopotutto ha una sua ragionevolezza. Tuttavia quest’ultima diventa irragionevole se la caliamo nell’ambiente giuridico italiano, qui e ora. In primo luogo per l’incontinenza del nostro legislatore: magari ci avranno fatto caso in pochi, ma la prescrizione breve ce l’abbiamo già. Quella battezzata nel 2005 dalla legge ex Cirielli, che ha sforbiciato i termini per i reati meno gravi. Però a forza di stirare come un elastico il tempo della prescrizione si contraddice l’aspirazione alla certezza, che è alla base della stessa prescrizione. E a prendere sul serio le parole, quest’ultima creatura andrebbe denominata brevissima, per distinguerla dalla precedente. Ecco, le parole. Innervano da sempre la politica, ma pure il diritto è intessuto di parole, fin dall’epoca delle XII Tavole. Il guaio è che le parole della legge sono diventate false, ingannatrici. Evocano un permesso di soggiorno temporaneo per i tunisini, non con l’intenzione d’ospitarli, bensì per espellerli, a nord anziché a sud. Chiamano interventi umanitari le nostre guerre in Libia, in Afghanistan, in varie altre contrade. Promettono il testamento biologico nell’atto stesso in cui lo negano. Forgiano una legge elettorale che in realtà sostituisce la cooptazione all’elezione. Per forza i cittadini ne diffidano. Dei politici, e per conseguenza delle leggi. E il processo breve? C’è forse qualcuno che lo preferirebbe lungo? Ma per ottenerlo dovremmo tagliare il troppo diritto che appesantisce i nostri troppi tribunali (1.292, il doppio dell’Inghilterra o della Spagna). Dovremmo depenalizzare, anche perché 35 mila fattispecie di reato significano carceri affollate come il metrò di Tokyo. Dovremmo sfoltire procedimenti e riti (quelli civili sono 34). Noi invece seghiamo i processi, come se 170 mila prescrizioni l’anno non fossero abbastanza. L’incongruenza, ecco il vizio di quest’ultima riforma. Se la giustizia italiana fosse una gazzella potrebbe funzionare. Siccome è una lumaca, finirà per ammazzarla.

Il Corriere della Sera 13.04.11

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