Quanti sono? Quindicimila, ventimila, diecimila? Sono comunque troppi perché ognuno di loro ne rappresenta altri dieci, cento, mille e tutti insieme sono il popolo dei precari, gente a cui è stato tolto il futuro, trasparenti fino a ieri, assenti dai Tg1 di Minzolini, dai Tg4 di Emilio Fede, dalle cronache dei giornali di regime. Non importa quanti sono, importa che finalmente siano qui per farsi sentire e raccontarci chi sono. Rappresentano quella parte sofferente che ha deciso che no, adesso basta, «il nostro tempo è adesso e siamo qui per prendercelo ». Per questo mandano in scena la loro «Street parade», «prima tappa di un lungo percorso».
L’ITALIA DOLENTE Precari della scuola, della ricerca, dell’informazione, dell’Alitalia, della Rai, dello spettacolo, delle piccole e medie imprese. Di un Paese che sembra averli abbandonati con un governo che li ha cancellati dalla propria agenda intasata dai Ruby-gate, dai processi Mills, dalle leggi da far votare al Parlamento per salvare il re che è nudo ma non c’è nessuno dei sudditi di palazzo che provi a dirglielo. Sono qui grazie alla Rete dei movimenti, delle associazioni, una rete che hanno costruito per non cadere nel vuoto del silenzio. C’è il tricolore lungo 60 metri sventolato dal Popolo viola e ci sono le bandiere del partito comunista, dei verdi, di Sel, dell’Idv. Partono da piazza della Repubblica, con i tir che sparano decibel e si balla e si protesta, si ride e ognuno racconta le proprie storie. La gente saluta dalle finestre, approva e incoraggia. Non te reggae più di Rino Gaetano, Bella Ciao, i Ramones. Volti giovani, donne con la pancia, passeggini, capelli rasta, barbe sale e pepe, facce da liceali, genitori di precari. «Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta», recita lo striscione che apre il corteo. «Ho27 anni, laurea in Filosofia e 15 lavori diversi alle spalle» racconta Maria Pia Pizzolante. «Chiediamo di raccontarci e non di essere raccontati», urla dal Tir uno degli organizzatori. «Più tutele per chi tutela», scrivono gli archeologi. Alessandra Filograno dice che sono 15 anni che lavora per i partiti e per i politici, «sempre in nero. Come quando sono stata dai radicali, precaria per anni e quando sono andata via ho scoperto che non mi avevano versato neanche un contributo». I politici ci sono, ecco Fabio Mussi, dietro lo striscione di Sel: «Questa è la questione del secolo, deve essere il primo punto del programma del futuro governo di centrosinistra». Rosy Bindi presidente Pd arriva da sola, cammina insieme a Susanna Camusso,segreteria Cgil. Cantano Bocca di rosa di De André, ballano sulle note di Bella Ciao. «È bello che si siano organizzati per essere in piazza – dice Bindi – perché finora non avevano avuto rappresentanza. Questa è la parte migliore della società, rappresentano il sapere, la cultura, il futuro ed hanno bisogno di risposte mentre questo governo è assente, preso da altri pensieri». Loro, i manifestanti hanno le idee chiare: vogliono un welfare universalistico, ammortizzatori sociali, nuove regole contro la precarietà, salari sicuri. Una vita “normale”, di quelle dove puoi permetterti una casa, anche in affitto, e se vuoi un figlio, senza dover firmare le tue dimissioni in banco quando ancora è nella pancia. Francesco Vitucci dell’Associazione dottorandi italiani dal palco: «Non abbiamo nessuna intenzione di abbandonare questo paese, vogliamo difenderlo da chi lo umilia ogni giorno». Sotto attacco il governo e le sue non politiche, «ci avete rotto i co… con il bunga bunga» scandiscono lungo il corteo. Vincenzo Vita, Pd, solidarizza con i precari del giornalismo, Nichi Vendola spiega che è venuto qui «per respirare aria pulita in un Paese in cui dalle classi dirigenti si promana cattivo odore». Dice che questa che sfila è «una generazione considerata vuoto a perdere». Sono 4 milioni i precari d’Italia, per questo «servono più investimenti nella scuola e un piano straordinario del lavoro». «Il governo deve accettare il confronto conl’opposizione, mettendo da parte le vicende personali del premier»commenta Stefano Fassina, responsabile economia dei democratici.
CALZINI E MUTANDE In piazza dell’Esquilino ci sono tende da campeggio, calzini e mutande appesi, per protestare contro la mancanza di case e politiche di welfare per i giovani. La segretaria Cgil mette in fila le priorità: «Il problema più urgente è la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali ma c’è bisogno di intervenire contro il precariato del lavoro, contro gli stage che di fatto sono lavoro gratuito mentre il lavoro subordinato è lavoro subordinato, non altro ». Definisce questa «una giornata straordinariamente importante perché a chi si chiedeva dove erano finiti i giovani italiani e arrivata la risposta. Sono qui». E sono piuttosto arrabbiati.
L’Unità 10.04.11