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"La "scossa all´economia"? Dopo due mesi il nulla", di Massimo Giannini

Annunciavano una «scossa», e invece è stata una truffa. Oggi, a due mesi esatti dal varo del famoso «Big bang della ripresa», i nudi fatti dimostrano che il pacchetto «scossa all´economia», approvato a Palazzo Chigi il 9 febbraio scorso, è stata una banale operazione di marketing politico, una volgare «televendita», un puro diversivo. L´Italia è ferma, e il governo è immobile. È un giudizio basato sull´evidenza, non un pregiudizio dettato dall´ideologia. E non lo inficia il grande attivismo di Giulio Tremonti, sulle nomine nelle public utilities, sul ribaltone alle Generali e ora sulla nascita del Fondo salva-imprese da 20 miliardi, che nascerà lunedì sulle fondamenta della Cassa depositi e prestiti e che (anche se il ministro lo nega) somiglia tanto all´Iri del Terzo Millennio.
Queste sono altre «partite»: riguardano il potere dell´establishment, non la crescita del Paese. La partita della crescita la stiamo perdendo. Per la semplice ragione che il governo non la sta giocando. «Per tornare a crescere dobbiamo dare una forte scossa all´economia. Forse la più forte che ci sia mai stata». Era il 2 febbraio, e Silvio Berlusconi, in un´intervista al Tg1 delle otto rassicurava così gli italiani, fiaccati da una lunga crisi economica, da una crescita zero del Prodotto lordo, da una disoccupazione giovanile al 30%. Una settimana dopo, il 9 febbraio appunto, ecco l´atteso «elettroshock». Consiglio dei ministri straordinario a Palazzo Chigi, per varare il pacchetto «scossa all´economia». In conferenza stampa, con la parata dei ministri al gran completo e un Tremonti silenzioso (e palesemente conscio dell´effetto-raggiro della messinscena) il presidente del Consiglio annunciava entusiasta: «Siamo a un punto di svolta. Con questa scossa rilanceremo l´economia. Siamo sicuri che ci saranno sviluppi positivi, con un impatto sul Pil dell´1,5%. L´obiettivo è raggiungere una crescita del 3%, e perché no, anche del 4% nel giro di 5 anni».
Un trionfo. Salutato con toni celebrativi dall´intero circuito mediatico berlusconiano. Quel mercoledì 9 febbraio, il governo dava il «colpo d´ala» e il premier usciva finalmente dall´angolo, dopo settimane di stillicidio giudiziario con il tribunale di Milano e di quasi suicidio politico dentro la maggioranza. La «scossa» per far ripartire l´economia ruotava intorno a quattro «stimoli». La riforma dell´articolo 41 della Costituzione, per recidere lacci e lacciuoli dello Stato regolatore. Il riordino degli incentivi alle imprese, per renderli veloci e selettivi. Un provvedimento sulla semplificazione, per snellire procedure e adempimenti. Il Piano Sud, rilanciato per la quinta volta in un anno e mezzo. Il Piano Casa, ripresentato per la terza volta dalla vittoria elettorale del 13 aprile 2008.
A sessanta giorni esatti dai proclami del premier, il pacchetto si è dissolto nel nulla. Non uno di quei cinque punti spacciati come «rivoluzionari» all´opinione pubblica si è tradotto in norma di legge. Non uno di quei «miracoli» venduti alle parti sociali si è tradotto in atti concreti. Non c´è nulla. Non solo di varato, ma neanche di discusso, alla Presidenza del Consiglio, nei ministeri competenti, in Parlamento, negli enti locali. Nulla. A dispetto delle emergenze degli italiani e delle urgenze delle imprese.

L´articolo 41 di Tremonti
«È permesso tutto ciò che non è espressamente vietato». Questo era il nuovo «dogma» liberal-liberista, con il quale il governo aveva presentato la riforma dell´articolo 41 di una Costituzione considerata «sovietica» dal premier. Tremonti l´aveva preannunciata da almeno un anno, indicandola come un formidabile propellente per lo spirito d´impresa. Il 9 febbraio il provvedimento viene annunciato dal Consiglio dei ministri. Cambiano tre articoli della Costituzione: non solo il 41 (sulla funzione sociale dell´impresa), ma anche il 97 (con l´introduzione del «merito» nella Pubblica Amministrazione) e il 118 (che si modifica attribuendo allo Stato e agli enti locali il compito di «garantire l´autonoma iniziativa dei cittadini sulla base del principio di sussidiarietà»). Il ministro del Tesoro, che dovrebbe gioire, in conferenza stampa glissa e se ne va quasi subito, per prendere il treno che lo porterà nel Mezzogiorno insieme a Bonanni e Angeletti, in quello che è stato subito ribattezzato come «il viaggio della speranza». Ma riporre speranze salvifiche nel nuovo articolo 41 è fallace. Intanto perché è una revisione costituzionale, che ai sensi dell´articolo 138 richiede quattro lettura parlamentari e un eventuale referendum confermativo. Poi perché in 63 anni le imprese italiane sono nate e cresciute libere anche senza questa «revisione», di cui si fa fatica a comprendere l´impatto. E infine perché quel testo (rubricato alla Camera come n. 4144) è già affondato nel mare degli oltre 120 ddl di riforma costituzionale depositati e mai esaminati neanche in commissione. Nonostante questo, durante la conferenza stampa del 9 febbraio il ministro del Welfare Sacconi non risparmia i soliti toni epici: «Questa è una riforma storica». Come tutto quello che da due anni questo governo annuncia. Ma non fa.

Gli incentivi alle imprese di Romani
Altro ingrediente forte della «scossa», il neo-ministro dello Sviluppo Paolo Romani lo descrive così: «Con questo provvedimento eliminiamo le norme esistenti e riordiniamo gli incentivi in tre categorie: 1) rendiamo più semplice l´accesso agli incentivi automatici; 2) lanciamo nuovi bandi per il finanziamento di programmi organici; 3) snelliamo le procedure negoziali per il finanziamento dei grandi progetti d´investimento». Il testo riscrive «la disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, degli interventi di reindustrializzazione delle aree di crisi, degli incentivi per la ricerca e l´innovazione, di competenza del ministero dello Sviluppo a norma dell´articolo 3 della legge 99 del 23 luglio 2009». Ma c´è un primo problema: come recita il comunicato di Palazzo Chigi del 9 febbraio, il Cdm quel testo non l´ha varato affatto, ma si è limitato ad approvare «lo schema, rinviando ad un apposito decreto legislativo» da esaminare in un successivo Consiglio. C´è un secondo problema: anche quel decreto legislativo non ha mai visto la luce, perché nel frattempo in Parlamento sono scaduti i tempi per esercitare la delega. Quindi si ripartirà da zero. Se mai si ripartirà.

La semplificazione di Calderoli
Il terzo movimento della «frustata» incide sul rapporto tra Stato e mercato. Lo spiega ai cronisti il ministro competente, il leghista Roberto Calderoli: «Si tratta di norme semplificatorie che riguardano campi diversi, contratti pubblici, riqualificazione urbana, immobili di interesse culturale, volte a conferire celerità e snellezza delle procedure». Ma già dalla lettura del comunicato ufficiale di Palazzo Chigi del 9 febbraio, si capisce che la propaganda sta correndo più veloce della realtà. Anche in questo caso, il Consiglio dei ministri non ha approvato nulla, ma «ha avviato l´esame di un pacchetto di norme», e successivamente «ha rinviato a un tavolo di concertazione tra i numerosi ministri interessati la stesura definitiva del provvedimento, che sarà successivamente approvato in una prossima seduta». Da allora, non è stato messo in piedi alcun «tavolo», non c´è stata alcuna «stesura definitiva», non è stata convocata nessuna «prossima seduta». Non basta: il 9 marzo, un mese dopo l´annuncio della «scossa», lo stesso Calderoli ferma clamorosamente le macchine: «Il provvedimento sulla semplificazione slitta a dopo Pasqua». La motivazione riflette il caos entropico e la debolezza politica della coalizione forzaleghista: «Serve prima riportare la maggioranza nelle commissioni, a partire dalla Bilancio». Dunque, anche sulla semplificazione nulla di fatto. Se ne riparlerà a maggio. Salvo ulteriori rinvii.

Il Piano Sud di Fitto
Che sia un probabile bluff si capisce già il mercoledì della «scossa». Il Piano Sud era stato presentato e rilanciato già quattro volte. Ma in conferenza stampa il ministro per le politiche regionali Raffaele Fitto annuncia che entro il primo marzo arriverà la delibera Cipe e dichiara: «Si conferma l´impianto di novembre 2010, ed entro il 30 aprile sarà avviato il pacchetto di provvedimenti di attuazione». Il primo marzo è passato, e la delibera Cipe non si è vista, Al 30 aprile mancano tre settimane, ma non si è mossa una foglia. Lo ha ammesso malvolentieri lo stesso ministro, rispondendo in Senato a un parlamentare dell´opposizione: «La situazione è abbastanza preoccupante per le quantità di risorse rispetto agli obiettivi del piano… Entro marzo, e comunque non oltre aprile, il governo completerà l´iter approvativo… Quanto al Cipe, è chiaro che il riferimento al primo marzo era per segnare un periodo entro il quale completare questa fase… «. Come dire: è una scadenza buttata lì a caso, ma non conta niente e non vincola nessuno. Infatti la scadenza è passata, e niente è accaduto.

Il Piano Casa del Cavaliere
È il progetto sul quale il presidente del Consiglio ha dovuto già innescare due imbarazzanti retromarce. Non pago, il 9 febbraio ci riprova. «Riparte il Piano Casa, in uno dei prossimi Consigli dei ministri vareremo un decreto legge per rimuovere tutti gli ostacoli burocratici». Due mesi dopo, nessun Consiglio dei ministri riunito sul tema, nessun decreto legge varato, nessun ostacolo burocratico rimosso. Il Piano Casa resta una delle peggiori truffe mediatiche di questi ultimi anni. Le Regioni che possono vanno avanti da sole, con misure parziali ed episodiche che aiutano qualche piccola ristrutturazione, ma non danno certo «carburante» alla ripresa. Finora tredici governatori (dal Lazio alla Lombardia, dall´Emilia al Piemonte) hanno varato Piani Casa locali. Da Palazzo Chigi tutto tace.
La parabola del «pacchetto scossa» è tutta qui. La più colossale operazione di propaganda politico-economica mai costruita da un governo nella storia repubblicana. La più inquietante «arma di distrazione di massa» mai concepita da una maggioranza occupata soltanto a risolvere i problemi giudiziari del premier. Solo una domanda, cruciale: di fronte a questi imbrogli evidenti e fraudolenti, l´establishment no ha nulla da dire? Dov´è la Confindustria, raggirata sugli incentivi e sulla sburocratizzazione? Dove sono Cisl e Uil, ingannate sul fisco e sul Mezzogiorno? In attesa di risposte, non resta che aspettare il 12 aprile: entro martedì prossimo, Tremonti dovrà consegnare alla Ue il nostro Piano Nazionale di Riforme. Sarà il momento della verità. A Roma puoi anche barare, a Bruxelles non te lo permettono.

La Repubblica 09.04.11

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“Economia, la grande assente dall’agenda”, di Michele Dau

Le famiglie italiane stanno diventando più povere: alla diminuzione del potere d’acquisto reale del -3,1% nel 2009 si aggiunge quella del -0,6% nel 2010. Di conseguenza cala anche dal 2008 la capacità di risparmio, ovvero quella virtuosità che ha sempre dato un po’ di sicurezza e di coesione sociale. L’inflazione sta rapidamente alzando la testa, trainata dai costi della benzina e dei trasporti. I tassi di interesse della Banca centrale continueranno a salire, frenando l’afflusso di denaro dalle banche alle imprese, accrescendo il costo del nostro debito pubblico e i tassi sui mutui immobiliari.
Il lavoro scarseggia, l’andamento dell’economia è asfittico: questi temi sono però scomparsi dall’agenda di governo, dopo gli annunci delle prime settimane dell’anno. I messaggi di propaganda ripetono come un mantra che non corriamo rischi finanziari perché i nostri conti pubblici sarebbero a posto. Su questo punto si è davvero esagerato nel darne atto a chi ha la guida della cassa: se il rigore finanziario diventa cilicio permanente la società non cresce ma si dissangua, specie nelle fasce medie e in quelle deboli.
Negli ultimi dieci anni la nostra economia è andata indietro, salvo una breve tonicità nel biennio 2006-07. Oggi, con il pil all’1% e l’inflazione che corre oltre il 2% annuo, siamo strutturalmente entrati in un ciclo di crescita reale negativa.
Perché non parlare di questa situazione con franchezza, senza demagogia e senza fuochi pirotecnici? Il settore delle costruzioni, tradizionale volano per la crescita, presenta previsioni fosche. L’Ance ha calcolato una diminuzione degli investimenti nel 2010 pari al 6,4%, e prevede un ulteriore calo del 2,4% nel 2011.
Nel quadriennio 2008-2011 la perdita totale sarà così del 17,8% negli investimenti, pari a 290 mila posti di lavoro. Il quadro del mercato del lavoro è involutivo: solo le sanatorie di badanti e colf stanno tenendo fermo il tasso di disoccupazione. Infatti il numero di lavoratori italiani nell’ultimo trimestre del 2010 è diminuito ancora di 166 mila unità a fronte di una crescita del lavoro degli stranieri di 179 mila unità. La condizione dei giovani è sconfortante: un terzo è senza lavoro e più del 40% lavoricchia precariamente fino a quasi 40 anni. Qual è il futuro per queste generazioni? Quando potranno inserirsi nella vita sociale con piena autonomia e responsabilità? Che pensioni avranno al termine della loro vita lavorativa?
È chiaro che stiamo accumulando un nuovo debito occulto sostanziale perché i governi nei prossimi decenni dovranno intervenire con ingenti sussidi sociali per offrire adeguata tutela a chi non avrà reddito.
La spesa pubblica corrente prosegue senza un vero controllo e con tagli lineari da suicidio. Solo una selezione qualitativa può produrre risparmi veri nei capitoli dove si spende male, per finanziare così interventi mirati ed efficaci. Il debito dello Stato verso le imprese è di circa 80 miliardi di euro. Come può l’economia reale sopravvivere in queste condizioni? Il livello effettivo delle tasse è ai massimi storici.
Anche i costi della politica hanno ripreso a crescere, dopo i timidi tagli del biennio 2006-2008.
L’Italia ha bisogno di segnali veri e di provvedimenti incisivi. La green economy è da noi uno slogan per convegni illuminati. Il potenziamento delle reti di comunicazione e di innovazione tecnologica è rinviato lontano nel tempo. Il miglioramento della qualità ambientale, lo smaltimento produttivo dei rifiuti in tutto il territorio nazionale è un tema solo per le emergenze. Il trasporto urbano e metropolitano dei pendolari e di tutti i cittadini, non trova alcuna attenzione.
Il sostegno alla ricerca, alla logistica, all’organizzazione delle nostre reti di piccole imprese è oggetto di studi accademici, perché ormai anche tutte le associazioni delle imprese hanno da tempo detto tutto in materia.
Nessun paese europeo è così assente dal dibattito sulla crescita economica come il nostro. Secondo i recenti accordi europei, a breve il governo dovrà presentare all’Unione il Programma nazionale di riforme (Pnr) per accelerare la crescita.
Forse qualcuno in segreto sta studiando qualcosa da dire. Forse. È paradossale che non se ne parli, che i principali settori governativi non anticipino valutazioni e indicazioni. Si dovrebbe chiamare il parlamento a un confronto serio e impegnativo. Ma parlare di queste cose in pubblico, nelle istituzioni deputate, equivarrebbe ad ammettere che i problemi ci sono tutti, facendo così sparire quella coltre spessa di propaganda e di omertà mediatica.
Il fatto è che i cittadini, la gran parte dei quali ragiona con la testa propria, cominciano a constatare che le cose non vanno bene e che la prospettiva a medio periodo non è buona. Siamo in una democrazia ancora solida. Se chi governa non vuole parlare di queste cose sarà bene che gli elettori diano loro una scossa alla prima occasione utile.

da Europa Quotidiano 09.04.11