Tremonti alza le barriere contro i raid francesi nella finanza italiana, Guéant chiude le frontiere ai migranti di Lampedusa. Solo gli ingenui e/o i disinformati potevano credere che la Francia avrebbe aperto ai clandestini in transito dall’Italia. Bisognava non sapere che la lotta all’immigrazione (non solo clandestina) è il cuore costituente della presidenza Sarkozy, insieme alla «sicurezza» la vera benzina della sua dinamica politica nata e cresciuta nel confronto con l’estrema destra di Le Pen.
Dunque, né solidarietà con l’Italia, né «fraternité» con i tunisini, che pure un po’ francesi sono. Le Alpi dividono due Paesi sull’orlo di una crisi diplomatica. Il ministro dell’Interno Claude Guéant ha trasmesso ieri da Paris tambureggianti bollettini di guerra; Maroni ha chiamato tutto questo «ostilità». Parigi dice no allo sbarco dei lampedusani sul territorio della République. E annuncia: «ridurremo anche l’immigrazione legale». Altro che aperture umanitarie.
È la prima volta che un proclama così radicale viene diffuso dall’Eliseo. È l’effetto di quella che nel dibattito francese si chiama la «lepenizzazione degli spiriti». Tra un anno si vota, Sarkò è già in piena campagna elettorale, la monarchia repubblicana non dà tregue, i sondaggi sono spietati, la delusione dei francesi è di massa, il presidente è circondato.
Da una parte lo spettro del socialista Dominique Strauss-Kahn, strafavorito (ma sarà davvero lui in lizza?); dall’altra Marine Le Pen, figlia del totem della Francia nera, nuova e seducente Marianna per un partito sdoganato il 21 aprile 2002, quando contro ogni previsione, il padre Jean-Marie arrivò al ballottaggio presidenziale superando niente meno che il primo ministro socialista Lionel Jospin. Questa volta il candidato numero uno all’umiliazione è lui, Sarkozy. E dunque, dàgli agli stranieri, sulle cui paure la bionda signora ha scalato sondaggi da brivido.
Ma il fronte sarkozysta è doppio: in difesa all’interno, all’attacco sul mondo. Con l’avventura libica, partita su impulso di Parigi, il presidente ha indossato il «képi blanc» e scommette sulla «grandeur» perduta per ricollocare la Francia dopo le figuracce tunisine per la vicinanza con il deposto Ben Alì. La rivolta egiziana e quella in Cirenaica hanno spinto il presidente a offrirsi come punto di riferimento, scommettendo sul contagio «rivoluzionario» nel mondo arabo. È stato il primo a riconoscere i ribelli di Bengasi. Ma con spregiudicatezza sta contemporaneamente stringendo i legami con la monarchia saudita e gli Emirati Arabi Uniti disorientati dagli ondeggiamenti americani sulla Libia. L’Italia (ignorata dall’Eliseo) a tutti questi movimenti è estranea e sostanzialmente ostile. Ha chiesto – e ottenuto – la ripartizione delle responsabilità militari con un comando Nato. Ma ha il suo daffare a gestire passato e presente con Gheddafi. Ed è in prima linea sul fronte antico del mare.
Oggi a Roma il fedelissimo Claude Guéant (l’uomo che «mormora all’orecchio di Sarkozy») farà capire se c’è margine di negoziato tra i proclami e la politica. Di certo le regole dettate ieri ai suoi prefetti lasciano poco spazio ai permessi a tempo che saranno concessi dall’Italia. C’è poco da illudersi: il trattato bilaterale Italia-Francia del ’97 prevede la restituzione dei clandestini. E poi le regole europee non ci aiutano: far parte dello spazio Schengen significa essere responsabili delle proprie frontiere per conto dell’Unione europea. Si potrebbero gestire meglio insieme, ed è questo che Maroni chiederà a Guéant. Ma senza troppe illusioni perché come ha scritto su La Stampa di lunedì Giovanna Zincone, «non siamo nei tempi migliori per giocare la carta della solidarietà europea».
Anche perché tra Francia e Italia è in corso da tempo una guerra fredda che ha per teatro soprattutto la finanza. In Edison, dove Edf vorrebbe mano libera ed ha già silurato l’ad Umberto Quadrino. In Parmalat, dov’è in corso la scalata Lactalis. Nelle assicurazioni, sia Generali che Premafin Fonsai, dove si muove il guascone super-sarkozysta Vincent Bolloré. Tremonti, «colbertiano» convinto, si è preso il ruolo di difensore dell’interesse nazionale. I francesi, naturalmente, non ci stanno. In questa tenaglia di interessi e di simboli si consuma un grande strappo, sulla pelle di migliaia di migranti tunisini che parlano francese e vogliono la Francia e del sistema italiano che non può reggere l’invasione, sempre più drammatica, come dice il naufragio dell’altra notte. Anch’esso un simbolo, luttuoso, del naufragio europeo.
La Stampa 08.04.11