È il livello di iodio 131 nel mare della centrale. Possibili restrizioni alla vendita di pesce. È stato un altro giorno nero, ieri, per la Tokyo Electric Power Company. Anticipata da una fuga di notizie, la società che gestisce la centrale di Fukushima ha dovuto ammettere che «sì, è vero. Lo scorso 2 aprile il livello di iodio 131 nell’acqua davanti alla chiusa del reattore numero 2 era 7 milioni e mezzo di volte più alto rispetto al limite legale» . Valore che le rilevazioni di ieri danno in ribasso, «solo» 5 milioni di volte oltre il limite consentito. «Davanti al reattore 2» dice la Tepco, senza specificare un dettaglio che rende ancora più drammatica l’emergenza nucleare già gravissima: che i campioni esaminati sono stati prelevati dall’Oceano e che quindi quei numeri esorbitanti misurano la contaminazione del mare di fronte alla centrale, non quella di una pozza ai piedi dell’edificio. E c’è altro, nel mare di Fukushima: il cesio 137, misurato con valori di un milione di volte oltre la norma. Così per la prima volta dall’inizio della crisi, il governo sta valutando possibili restrizioni sulla vendita del pescato, partendo dai dati in arrivo da Kitaibaraki (prefettura di Ibaraki), dove una partita di konago, pesce molto piccolo che vive in acque poco profonde, è risultata contaminata da cesio e iodio radioattivo. Ma mentre per il cesio nel pesce esiste un livello limite di riferimento, per lo iodio non c’era fino a ieri nessun numero a indicare il tetto massimo consentito. Pressato dalle preoccupazioni della popolazione e dei pescatori, l’esecutivo ha deciso di rimediare. «Applicheremo, in via provvisoria, i tassi indicati per le verdure anche per i pesci e i crostacei» , ha detto il portavoce del governo Yukio Edano, mentre il ministro della Pesca Michihiko Kano annunciava, anche lui, nuovi provvedimenti: moltiplicherà le ispezioni sul pescato, specie nelle prefetture di Ibaraki e di Chiba, a sud dell’impianto. Una buona notizia c’è nella venticinquesima giornata orribile di Fukushima: gli ingegneri della Tepco sono riusciti prima a ridurre e poi a tappare la falla nel locale-turbina del reattore 2, quella da cui acqua altamente contaminata si riversa in mare ormai da giorni. Disperati, dopo aver provato inutilmente con vetro liquido, segatura, fogli di giornale, una miscela speciale di calcestruzzo, sembra siano riusciti a tappare quantomeno una parte della crepa ieri pomeriggio, mettendo assieme più di un materiale di cui non hanno rivelato la natura. Nel frattempo hanno scoperto che sono 60 mila le tonnellate di acqua ad altissima radioattività accumulate nelle pozze, nei locali e nei sotterranei della centrale. E quindi hanno scoperto anche di avere un problema: mancano vasche di contenimento per mettere al sicuro quel «veleno» . Entro dopodomani saranno svuotate nell’Oceano le cisterne che contenevano acqua contaminata 100 volte oltre i limiti («bassa radioattività» secondo la Tepco). Ma lì dentro non ci sta nemmeno un terzo delle tonnellate che servirebbe stoccare, quindi si riproporrà il problema, sarà necessario trovare altre vasche. Proprio sullo svuotamento in mare delle 11.500 tonnellate di acqua a «bassa radioattività» ieri si è fatta sentire con il governo giapponese la Corea del Sud. Cho Byung-jae, portavoce del ministero degli Esteri coreano, ha proclamato una conferenza stampa per protestare e chiedere spiegazioni immediate al Giappone sull’autorizzazione concessa alla Tepco di versare acqua radioattiva nell’oceano Pacifico. «Attendiamo una notifica» ha detto Byung-jae. E da Tokyo la risposta è arrivata dopo un paio d’ore. L’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare (Nisa) si è scusata con la Corea del Sud per «l’operazione» che ha creato «apprensione» nel governo di Seul. «Esprimiamo rammarico per la preoccupazione generata, anche se la decisione è stata una misura d’emergenza» ha spiegato Hidehiko Nishiyama. Nella sede del governo in quel momento il premier Naoto Kan stava ricevendo i sindaci delle città più colpite da sisma, tsunami ed emergenza atomica, ai quali ha confermato i primi aiuti economici. Loro chiedono altri soldi ma, più di ogni altra cosa, vogliono sicurezza dopo la «delusione» di Fukushima e dopo che «in tutti questi anni — come ha detto il sindaco di Tomioka con le lacrime agli occhi — abbiamo creduto ciecamente al mito degli impianti nucleari assolutamente sicuri» .
Il Corriere della Sera 06.04.11