Nel nostro Paese non se ne parla da tempo, ma la commissione storica italo-tedesca sulla Seconda guerra mondiale, istituita nel marzo 2009, ha lavorato sodo. E presenterà i risultati raggiunti oggi a Milano, in un incontro pubblico presso l’Ispi, in via Clerici 5, a partire dalle 16. La commissione è stata istituita dai governi di Roma e Berlino per dare un «contributo alla costruzione di una comune cultura della memoria» , in seguito al contenzioso sollevato da parenti di vittime di stragi naziste e da militari italiani internati nel Terzo Reich (gli Imi). La vicenda ha fatto discutere, per l’accavallarsi tra esigenze politiche e lavoro degli studiosi. Mostra perplessità sul concetto di «memoria comune» lo stesso Paolo Pezzino, storico dell’ateneo di Pisa e membro della commissione: «Secondo me bisogna parlare piuttosto del riconoscimento dei rispettivi punti di vista nel quadro di una storia complessa, fatta di relazioni non solo conflittuali tra Italia e Germania nel periodo 1940-45. Nel documento finale, da presentare nel marzo 2012, vogliamo mettere in luce le differenti ragioni degli italiani e dei tedeschi, ma anche le interazioni tra gli uni e gli altri» . A tal scopo la commissione ha avviato un vasto lavoro di ricerca: «Abbiamo esplorato per la prima volta il fondo delle richieste che gli internati militari italiani facevano al Tesoro per fini pensionistici: oltre 200 mila fascicoli. Poi abbiamo vagliato la memorialistica degli Imi e i verbali degli interrogatori cui erano sottoposti al ritorno dalla Germania. Inoltre stiamo completando un atlante delle violenze contro i civili compiute dai nazisti in Italia. E abbiamo consultato dei fondi, finora inesplorati, contenenti le lettere dei militari tedeschi di stanza nella penisola» . Ne scaturiranno varie pubblicazioni: con tutte le riserve che si possono nutrire sul mandato della commissione, di certo la sua opera sarà utile agli studiosi.
Il Corriere della Sera 06.04.11
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“Un convegno per costruire una memoria comune su nazismo e fascismo. Se Italia e Germania ristudiano la storia”, di Vanna Vannuccini
Lo studioso di Monaco: “Stiamo raccogliendo le testimonianze dal basso. Da noi come da voi c´è stata, a lungo, una percezione blanda dei crimini commessi”.L’immagine di una Wehrmacht dalle mani pulite, non coinvolta nei massacri della popolazione civile, ha resistito in Germania fino alla metà degli anni ´90, quando 5 milioni di tedeschi visitarono la mostra itinerante Crimini della Wehrmacht 1941-44 e la verità nota agli storici cominciò a farsi strada tra l´opinione pubblica. Quella mostra riguardava il fronte orientale, dalla Serbia a Stalingrado. Sul fronte italiano, invece, la memoria di una Wehrmacht che si è “comportata bene” non è mai stata seriamente compromessa. I ricordi collettivi di occupanti e occupati restano divergenti, nonostante i fatti. Come trovare denominatori comuni di memoria? Una coscienza storica europea che si proietti nei libri di scuola è lontana. La memoria resta nazionale. Ne parliamo con Thomas Schlemmer, uno dei componenti della Commissione storica italo-tedesca che su incarico dei due governi presenta in questi giorni le conclusioni di tre anni di indagini sull´occupazione tedesca in Italia: «Che la guerra della Wehrmacht sia stata una guerra criminale la storiografia lo aveva elaborato da tempo – dice – ma c´è voluto fino agli anni ´90 perché questo si affermasse nella coscienza collettiva. Ed è successo anche perché la generazione dei veterani sta scomparendo. Anche in Italia c´è difficoltà a riconoscere il ruolo dell´esercito nella guerra fascista e i crimini nei territori occupati».
Il metodo di lavoro della commissione si basa sui racconti dei singoli, attraverso lettere, documenti: «La Erfahrungsgeschichte, o storia delle esperienze vissute, è il tentativo di coniugare la storia dal basso con quella dall´alto», spiega Schlemmer. «Sulla grande scala di migliaia di vite vissute, raccontate e interpretate si rispecchiano i preconcetti indotti dalla propaganda, i condizionamenti provocati dagli stereotipi. Sugli italiani ad esempio pesava lo stigma del “doppio tradimento”. In tante lettere dal campo si vede che l´idea del tradimento provocava desideri di vendetta. Sul fronte orientale invece fu decisivo il convincimento che obiettivo dei russi fosse lo sterminio del popolo tedesco e lo stupro delle loro donne. Insomma questo metodo permette di cogliere i collegamenti tra la Grande Politica, la propaganda, e l´azione delle unità militari; e di capire come venissero plasmati i modelli mentali che strutturavano la percezione e condizionavano l´agire. Accanto all´ordine dall´alto c´è quasi sempre un piccolo margine di manovra individuale, quello che ti fa scegliere tra uccidere sul posto il disertore o fingere di non vederlo».
Attraverso le nuove fonti, si è cercato di guardare dietro l´immagine generalizzante de “i tedeschi” o della Wehrmacht, e de “gli italiani” o dei “partigiani”. Continua il professore: «Abbiamo elementi che modificano alcune percezioni rispetto alla guerra contro i partigiani; così le ricerche di Amedeo Osti ci riservano molte sorprese sui rapporti tra forze armate tedesche e fasciste, ad esempio le Brigate nere: la politica del non fare prigionieri era fortemente voluta dai fascisti, e sono stati spesso gli ufficiali tedeschi a dire basta. Insomma la complessità dei rapporti tra cittadini e truppe occupanti viene fuori con maggiore chiarezza».
Le testimonianze sono state tratte da lettere dal campo, che erano censurate e quindi sono state interpretate, e poi da diari e fotografie: «Abbiamo messo un appello su uno di quei giornali gratuiti, letti soprattutto dagli anziani, che si trovano sui treni metropolitani o sugli autobus, che ha avuto grande risonanza. Abbiamo esaminato diari di soldati che avevano allora 17 anni e che parlano di una “mamma italiana” che gli dà da mangiare dicendogli: “ho un figlio soldato e spero che trovi anche lui là dov´è una mamma che lo aiuti”».
La Repubblica 06.04.11