"Il pericolo è un altro Kosovo", di Marta Dassù
La discussione italiana sulla Libia appare sempre un po’ fuori tempo. Siamo partiti troppo lenti, sperando nello status quo. Si è detto che Gheddafi non era come Mubarak: infatti non lo è, è ben peggiore. Ci siamo poi concentrati sul cosiddetto esodo biblico dal Maghreb: e finalmente cominciamo a preoccuparci delle sue conseguenze umanitarie. Infine, mentre c’è aria di guerra civile e sono state firmate le prime sanzioni dell’Onu, abbiamo aperto un «grande dibattito» sul Trattato bilaterale italo-libico: un Trattato che non avrebbe dovuto essere firmato e che è stato ormai superato dagli eventi (qualunque sia l’artificio giuridico per sospenderne l’applicazione). Insomma, stiamo perdendo di vista il punto cruciale. Il punto cruciale è che Gheddafi non sta mollando e non lo farà. Del resto, la prospettiva del ricorso al Tribunale internazionale rende più difficile di prima una via di uscita negoziata (esilio?) col raiss di Tripolitania. Nel frattempo, la Libia è spezzata in due: la Cirenaica da una parte, con il governo provvisorio di Bengasi, e Tripoli dall’altra. In mezzo, quei millecinquecento chilometri di costa …