Ormai l’allarme sociale è altissimo e investe soprattutto i giovani. Il fallimento del governo è totale. Ora bisogna voltare pagina. Meno lavoro e sempre più precario. Le conseguenze sul piano occupazionale della grande crisi di questi anni diventano di giorno in giorno più allarmanti e rischiano di condizionare in modo pesante il futuro del nostro paese. Nel biennio 2009-2010 oltre il 76 per cento delle assunzioni è stato fatto con contratti a termine. Tradotto, significa che ogni quattro lavoratori tre sono precari. Con tutte le conseguenze del caso, sul piano economico, sociale e umano.
L’ultima conferma in ordine di tempo è data da uno studio presentato nel secondo «Rapporto UIL sulle comunicazioni obbligatorie», basato non su sondaggi ma sui dati concreti delle assunzioni e delle cessazioni dei rapporti di lavoro. Nei due anni presi in considerazione, dei 14,3 milioni di rapporti di lavoro instaurati 11 milioni sono precari. Il 66,3 per cento è costituito da contratti a termine, l’8,6 per cento da contratti di collaborazione a progetto.
I cosiddetti contratti standard – cioè i rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato – sono stati solo il 20,8 per cento del totale, mentre il restante 3,1 per cento è stato instaurato con contratti di apprendistato.
Come se non bastasse, a rendere il quadro ancora più nero, soltanto il 18,4 per cento dei contratti di lavoro cessati nel biennio preso in considerazione è durato più di un anno. Mentre il tasso di disoccupazione giovanile è passato, in dieci anni, dal 23 al 30 per cento. Tradotto, significa che – soprattutto per i giovani, ma non solo il lavoro è poco e quel poco è quasi sempre precario.
Davanti a una situazione del genere e alle possibili, devastanti conseguenze sul piano sociale, è difficile continuare a sostenere che il grande male dell’economia italiana sia la rigidità del mercato del lavoro. Semmai è vero il contrario. Un’economia forte non necessita solo di un mercato del lavoro efficiente (che non abbiamo). Ha bisogno anche e soprattutto di una società coesa, nella quale il grado di precarietà sia ridotto ai minimi. E ha bisogno di lavoratori altrettanto forti, nella loro professionalità, nei loro diritti e nelle loro certezze.
Per questo è necessario tornare a una politica che miri alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. L’opposto di quanto ha fatto, con le sue scelte, il centrodestra. Il governo Prodi, con il protocollo sul Welfare del 2007, si era incamminato con decisione su questa strada cancellando il lavoro a chiamata, lo staff leasing, regolando le dimissioni in bianco e favorendo, con incentivi mirati, la «buona» occupazione. È il momento di rivalutare queste scelte e fare un confronto critico tra le diverse politiche del lavoro dei due ultimi governi.
I dati certificano il fallimento totale e senza possibilità di appello del governo Berlusconi. È responsabilità del centrosinistra voltare pagina per ridare la speranza di un futuro soprattutto alle giovani generazioni.
L’Unità 30.03.11