Parla Pietro Ingrao. I novantasei anni del leader che fu direttore de «l’Unità» dal 1947 al 1957. La guerra, la pace, l’idea di patria e l’urgenza di un soggetto politico della sinistra italiana ed europea. 96 anni. Una vita che ne comprende tantissime altre, non solo quelle dei suoi coetanei. L’abbiamo incontrato: guerra, idea di patria e la sinistra gli argomenti della conversazione.
Compleanno di Ingrao. Con tutto il rispetto per una vita ben altrimenti straordinaria, è un po’ come se fosse anche il nostro. E infatti, per questo suo novantaseiesimo anno, siamo di nuovo da lui a festeggiare, e a «ragionare». Assieme.
La marionetta di Charlot è sempre là, con gli Omiccioli, i Vespignani, i disegni di Guttuso, le foto, i piccoli cimeli. E quella morbida luce meridiana, fattasi vespertina, che di solito accompagna i nostri incontri. Preliminari. Pietro compare inatteso, lieve. Mentre il nipote, Giovanni Lombardo Radice, ci racconta che a tennis Ingrao perdeva spesso con suo padre Lucio Lombardo Radice…. E noi scherzando glielo ripetiamo… «Mica vero dice Pietro, materializzatosi d’incanto in soggiorno Vincevo io! E poi che fai? Arrivi e mi prendi subito in giro?». «No, Pietro replichiamo lo so che eri bravo e che invece con Aldo Natoli vincevi tu…». «No, Natoli era forte, con lui perdevo…».
LA LIBIA…
E allora cominciamola anche noi questa partita-intervista. A tratti ostica. Con Ingrao che gioca di rimessa e non di rado contrattacca disarmante, mettendoti in imbarazzo: «Ma perché mi fai questa domanda? Mi sembra un po’ ovvia…». E noi a cercare un’altra strada, forzando il ritmo dei suoi dubbi. Chiacchierata fatta di tre «games: la guerra, l’idea di patria e la sinistra. Quanto al primo punto, Ingrao ci «spiazza» subito: non è affatto un pacifista radicale e assoluto. Come tanti lo descrivono. E dice: «certo la guerra è sempre un male, e tutto il mio secolo è stato un secolo di guerra. A me la pace non è stata consentita, benché la agognassi. Ora esplode l’Africa, e io sono contro le soluzioni belliche, però…». Però… Pietro? «Se sei costretto da nemici feroci e infami, allora combatti. Ci sono guerre e guerre, e io ho combattuto contro il nazifascismo…».
Scusami Pietro, se insisto: si può consentire interventi umanitari a difesa degli inermi, fuori di casa tua? «Guarda, non sono mai stato a guardare, ma voglio capire, ogni volta, di che si tratta. Personalmente ho sempre agito da resistente e da cospiratore. Mi chiedi della Libia, no? E ti rispondo: era giusto intervenire, non si può restare indifferenti. E questo è stato sempre il mio atteggiamento, fin dal 1936 anno della mia presa di coscienza antifranchista e antifascista. Perciò non dico “no alla guerra sempre”. Anche se si tratta di vedere, di volta in volta, se sia giusto intervenire, oppure no».
Tuttavia caro Pietro, questa guerra, e di bel nuovo, divide la sinistra, e pure la destra al governo. Sicché, non ci vuole almeno un criterio generale, per dirimere il dilemma «intervento/non intervento»? E poi, all’estrema sinistra, c’è chi come Gino Strada dissente comunque dall’intervento autorizzato dall’Onu in Libia… Insomma tu che dici? «Dico che tu sai bene quello che è stata la mia vita, e che sta lì il mio criterio di scelta. Ora è difficile parlare della guerra in astratto, “guerra giusta o non giusta”… ma se mi chiedi di Gheddafi, posso dirti: è un mascalzone. E perciò un modo per far fronte a uno come lui lo si doveva pur trovare. Con tutti i dubbi sui rischi imperiali euroccidentali che un intervento del genere può implicare in quell’area». Cambiamo argomento: la patria. Ingrao, la destra suole dire oggi alla sinistra: “siamo noi che vi abbiamo convertito alla patria e al tricolore”! Ma fa rabbia, non credi? «È totalmente falso! In Italia la guerra al nazifascismo è stata anche una guerra patriottica, vissuta, anche dal Pci, con un legame profondo con la nostra patria. Scusa, e metti nome e cognome: ma chi dice il contrario?». Elenco lungo, caro Pietro: Vespa, La Russa, Ostellino, Della Loggia…«Non mi irrita più di tanto, sentire certe cose, sono posizioni diverse dalle nostre, ristrette. E i nomi che fai non mi impressionano granché…Per me certe cose sono assodate. In Europa e in Asia si sono condotte nel 900 grandi lotte nazionali, gigantesche lotte di emancipazione sociali e nazionali. Se poi mi chiedi del Pci e della sua funzione nazionale, certe accuse ce le facevano i fascisti, e sono state confutate dal ruolo del Pci nella Resistenza. Nonché da ciò che i comunisti hanno fatto nel dopoguerra in Italia. Io poi la mia risposta a riguardo, materialmente, l’ho data nei fatti…».
L’OPPOSIZIONE…
E infine terzo «game»: la sinistra, l’opposizione. Prima di tutto, Ingrao, come percepisci quest’opposizione e il Pd? Confusa, divisa, ancora imbambolata, o che altro? «Troppo frantumata, nel suo insieme. Laddove invece si dovrebbe operare per compattarla. E te lo dico così: si dovrebbe lavorare per costruire un soggetto collettivo. Un’azione collettiva fatta di diversi attori in campo. Uniti, per dare forma e carattere a una linea condivisa. Cosicché, se scoppia un conflitto in Africa, ci sia un soggetto italiano e magari europeo, che sappia intervenire in modo coerente, sullo scenario africano e internazionale. È proprio quello che manca in un momento così drammatico…». Scusa Pietro, ma in molti si chiedono: come mai, malgrado la crisi di credibilità civile di questa destra, Berlusconi ancora tiene? E tiene, nonostante le divisioni del suo blocco… « Ti rispondo sempre allo stesso modo: siamo ancora divisi, persino nella lotta contro Berlusconi, e continuiamo a spaccarci anche nella quotidianità. Dobbiamo mettere insieme tutti i pezzi: sinistra, centrosinistra, antiberlusconiani e via di seguito». Però scusa, un conto è la sinistra e non tutto il Pd si definirebbe tale altro è l’opposizione nel suo insieme, che include anche il centro. Che tipo di alleanza vedi tu? «Prima di tutto, io dico, uniamo la sinistra, il soggetto potenziale. E insieme, anche quelle forze centriste che possono essere coinvolte in un processo di resistenza al berlusconismo. Bersani, Vendola e gli altri più a sinistra, da soli non possono farcela…».
UNA SINISTRA DI MASSA
Restiamo alla sinistra in quanto tale: di che è fatta la «tua» sinistra? È ancora possibile una sinistra di massa, coesa, con una sua identità sociale riconoscibile? «Torno a dirtelo: si può costruire in Italia un unico soggetto collettivo, di massa, fatto di posizioni più moderate o più radicali. O almeno lo spero, e per quanto posso ci lavoro anche, con quello che faccio e che scrivo». Molti però, a cominciare da settori del Pd, non pensano che sia più possibile questa «sinistra di massa», espressione del riscatto degli sfruttati e dei senza potere. Una sinistra del lavoro e della sua liberazione. Tu cosa replichi? «E lo chiedi proprio a me? Io dico: ricominciamo! Ma da un soggetto collettivo che torni a spingere avanti tutto il quadro politico. Non basta lamentarsi e non basta indignarsi, come ho titolato il mio ultimo libro…».
È il controtitolo di un libro di successo francese, Indignatevi! Ma tu che intendi? Ce l’hai col moralismo antipolitico? «Voglio dire che costruire un attore politico è ben diverso dal puro indignarsi. E che per combattere l’avversario, quell’attore ci vuole! Non solo per combatterlo, ma per dividerlo. Per dividere il suo blocco sociale, e costruirne uno proprio, vincente».
da L’Unità