Lite sulla “dote” per chi rimpatria
Sono 1.227 i migranti sbarcati nelle ultime 24 ore a Lampedusa. Tra questi sono compresi i 284 profughi eritrei ed etiopi, tra cui 80 donne e 12 minori, che si trovavano su un barcone proveniente dalla Libia e che sono arrivati attorno alle 4 della scorsa notte a Linosa. Fa discutere, intanto, la proposta di Frattini sul bonus anti-immigrati. Duemilacinquecento dollari per chi decide, volontariamente, di rimpatriare. Una “dote”, che nelle intenzioni del ministro Frattini sarebbe rimborsata con i fondi europei, che permetterebbe di snellire i flussi verso l’Italia, ma che gli alleati di governo, in primis la Lega, sembrano intenzionati a bocciare.
«L’Oim, l’organizzazione delle migrazioni, dà una dote di 1.500 dollari. Noi possiamo superare questo importo, fino a 2.000 o magari 2.500 dollari, dando così la possibilità di creare le condizioni per un rientro di migliaia di persone» è la proposta di Frattini, di ritorno dalla missione tunisina con il collega Maroni. «Il modo migliore per favorire le transizioni democratiche è sostenerne il rilancio economico», dice il ministro degli Esteri, che chiede un rimborso a Bruxelles, visto che uno «Stato può anticipare» i fondi ma «il rimborso finale spetta alla Commissione Europea che dispone di un fondo ad hoc».
A Bossi, in ogni caso, la proposta non piace. «Ma che pagare? Io non gli darei niente, li caricherei e li porterei indietro. E se tornano li riportiamo a casa ancora» dice il Senatùr. E al Pd che chiede un ministro per l’immigrazione risponde: «Ci penso io al ministero dell’Immigrazione e vedete che va tutto a posto. Poi loro vorrebbero un ministero ma sono all’opposizione». Non ha una posizione diversa il ministro per la Semplificazione e coordinatore delle segreterie della Lega Roberto Calderoli. «La proposta di dare un contributo agli immigrati per facilitarne il rimpatrio è un non senso. Dire che si danno dei soldi a uno che torna a casa mi sembra che si faccia esattamente il contrario, cioè farlo partire per riuscire a prenderli per tornare a casa. Sempre che poi non faccia il ping pong e vada avanti e indietro per 2.500 dollari a colpo».
da www.lastampa.it
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«Odissea sul barcone alla deriva. Trecento disperati e un parto», di Federico Geremicca
Sul primo peschereccio partito dalla Libia è nato un bimbo, un altro non ce la fa
Si può provare a immaginare la scena osservandola dall’alto, a bordo di uno dei tanti aerei che pattugliano questo stramaledetto spazio di mare. Ecco finalmente il peschereccio (18 metri) del quale si erano perse le tracce da due giorni: imbarca acqua, ha un motore in avaria, sembra alla deriva. A bordo si osserva una massa indistinta: 330 esseri umani accatastati l’uno sull’altro. Gli uomini sono la maggioranza, vestono di stracci, hanno la pelle scura. Ma si intravede un gruppo di bambini: sono ventidue, tra i 20 mesi e i sette anni. Qua e là, strette tra loro e sballottate dal mare, ecco le donne. Sono una decina: sei di loro sono incinte. Il vento rinfresca, le onde cominciano a frangere.
Dall’alto sembra tutto perduto… Ma nel mezzo di questo caldo pomeriggio di inizio primavera, d’improvviso scocca l’ora del miracolo. Anzi, di due miracoli. Il primo è il parto – terribilema fortunato – di una delle donne incinte che sono a bordo; il secondo è il contatto telefonico che un inviato de «la Repubblica » – Francesco Viviano – riesce a stabilire con il peschereccio in difficoltà. Raccoglie la terribile storia e dà subito l’allarme. Due motovedette della Capitaneria di porto di Lampedusa partono in un attimo alla volta del barcone, nonostante sia distante 70 miglia e ancora in acque maltesi. Le autorità dell’isola, come spesso fanno, non intervengono: ma l’emergenza è troppo acuta per perdere tempo in polemiche e discussioni. Le motovedette italiane prendono il largo in un momento: e intanto i marinai a bordo sperano che il Dio dei profughi – perché esiste un Dio dei profughi – non abbandoni uomini, donne, bambini e neonati alla deriva tra le onde. Se non fosse per questa drammatica emergenza- ancora non conclusa a notte fonda – la notizia sarebbe che quello in questione è il primo barcone partito dalla Libia alla volta dell’Italia. Ha preso il largo dal porto di Misurata quattro giorni fa con a bordo eritrei e somali accampati da mesi in Libia – come decine e decine di migliaia di altri – in attesa di partire. Se non fosse per questa drammatica emergenza, si potrebbe stare ad arzigogolare intorno al fatto che è questa – quella in movimento dalle sponde della terra di Gheddafi – l’annunciata e temuta invasione della quale il ministro Maroniparla da settimane. E se non fosse per questa drammatica emergenza, si potrebbe aggiungere che alle invasioni ci si prepara, perché evocarle non basta a risolvere il problema.
Problema che, del resto, Lampedusa continua a vivere sulla sua pelle: ieri ancora quasi mille arrivi di migranti. Proprio per questo, nella notte, è stato deciso di dirottare il barcone verso l’isola di Linosa. Ma è il giorno sbagliato per buttarla in polemica: l’aereo dal quale ipotizziamo di seguire l’odissea del barcone alla deriva ci permette, infatti, di osservare cose incredibili. Ecco, per esempio, la flotta militare sotto il comando Nato che pattuglia le coste libiche. Incrociatori, portaerei, cannoni: tonnellate e tonnellate di acciaio e di esplosivo che galleggiano sul mare… E in mezzo a quell’acciaio, un guscio di legno: il barcone zeppo di fuggiaschi, già in difficoltà. Lo avvicina una nave canadese: rifornisce d’acqua i migranti, un meccanico prova – senza fortuna – a sistemare il motore, gridano «good luck» e «bye», poi li lasciano andare. Stipato tra gli altri, uno dei migranti – Samuel – racconta via telefono l’odissea intrapresa. Picchiati e malmenati dai libici per settimane; le donne violentate; l’interminabile attesa nei campi profughi o in rifugi d’emergenza; mille dollari per partire, più quelli dei quali i libici si impossessano rubando loro tutto quel che possono rubare. Poi, finalmente, il mare: tra quelli che partono ci sono una trentina di uomini respinti dall’Italia nelle estati del 2009 e del 2010. I militari canadesi salutano, il barcone arranca facendo rotta verso Nord. Ormai è nei radar italiani che ne seguono il percorso in attesa del da fare: quando l’inviato de «la Repubblica» lancia l’allarme, però, la Capitaneria di porto di Lampedusa – un pugno di uomini che non distingue più il giorno dalla notte – rompe gli indugi e fa partire le motovedette.
Una delle donne incinte comincia il travaglio, le urla di dolore coprono i lamenti degli altri: sono in mare da giorni, anche l’acqua dei canadesi è finita, c’è chi vomita e chi prega il suo Dio. Alle sei della sera, mentre il sole cala, la nave militare «Etna» decreta finalmente l’emergenza per il barcone: vuol dire che adesso si deve intervenire. Le motovedette di Lampedusa, per fortuna, sono già in mare da un’ora… Non basta: informato del parto sul barcone, il comandante dell’«Etna» fa alzare in volo un elicottero. Come nei film, mamma e neonato vengono issati a bordo con sequenze mozzafiato. Atterreranno all’aeroporto di Lampedusa poco dopo le otto della sera. Sono vivi, sorridono: in elicottero avevano appena tagliato il cordone ombelicale. Meno fortunata un’altra donna, un’etiope su un altro barcone: incinta di quattro mesi, ha perso il figlio per gli stenti e la fatica.
da www.lastampa.it
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«Troppi immigrati, troppe domande», di Lorenzo Mondo
Domande, domande, domande… Sarà lecito porsi qualche interrogativo, sine ira ac studio, sul problema dell’immigrazione che infiamma l’opinione pubblica e trova il suo più degradante emblema negli sbarchi di Lampedusa? E non si dovrà, per sviluppare un qualsiasi ragionamento, partire da precise e oneste definizioni lessicali? Come possiamo parlare di profughi o di sfollati per le migliaia di migranti che non sono esposti a persecuzioni e bombardamenti, non appaiono travolti da una guerra civile come in Libia? Non si tratta forse, per il momento e in massima parte, di tunisini, di quelli che hanno scatenato la «rivoluzione dei gelsomini» e messo in agitazione Nord Africa e mondo arabo? Non dovrebbero, a rigore, starsene nel loro Paese a godersi l’aria di una presunta, appena conquistata libertà, coltivando l’orgoglio dei battistrada? Invece di assumere quella che, a termini di legge, è la condizione avventurosa dei clandestini? Protestando tra l’altro, magari con arroganza, per l’inevitabile impreparazione e i disagi dell’accoglienza da parte italiana, come se fossero vittime di chissà quali promesse tradite? Tanto da suscitare acuti moti di insofferenza nei più esposti, sventurati lampedusani?
Non dobbiamo allora prendere atto che, con il pretesto del sanguinoso conflitto di Libia, si è innescata nel Maghreb un’altra guerra, a mani nude, dettata dalla povertà e dal sogno di una vita più degna? Ma l’atteggiamento più comprensivo e solidale, e le amenità dei minimizzatori professionali, possono annullare l’inquietudine per una fiumana inarrestabile di fuggiaschi? E’ irragionevole pensare che il passaparola potrebbe coinvolgere nell’esodo popolazioni ben più numerose e travagliate della minuscola Tunisia? Non c’è il rischio che si scontrino infine diritti contro diritti, quelli astratti di chi arriva e quelli consolidati di chi risiede nelle proprie terre? Non trascurando il pedaggio da pagare alla criminalità (quelle carceri svuotate) e agli infiltrati del terrorismo? Non è dunque indispensabile stabilire regole certe, per quanto flessibili, che in accordo con i governi d’oltre sponda controllino l’impressionante fenomeno? Con l’opportuno respingimento dei clandestini che, a dispetto dei denigratori nostrani, viene adottato con ben altra severità da nazioni di destra e sinistra come la Francia e la Spagna? Non occorrerebbe una union sacrée, che prescinda da appartenenze politiche e di bottega, che eluda lo stolido buonismo e le furibonde chiusure? Domande, domande e ancora domande, in attesa di sensate risposte.
da www.lastampa.it
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«Basta alimentare la paura accogliamoli come rifugiati», di Natalia Lombardo
Massimo D’Alema propone al governo di considerare tutti «rifugiati» gli immigrati in arrivo. Dal centrodestra critiche e attacchi. Il presidente Copasir: «False le voci sui servizi, si lascino lavorare senza gossip».
«Consideriamo come rifugiati i 20mila che stanno arrivando dal Nord Africa: accogliamoli regolarmente e poi negoziamo il rientro in patria, semmai anche assistito da noi dal punto di vista economico».
È la proposta di Massimo D’Alema, presidente del Copasir. È insensato, spiega, dibattere se chi arriva sulle nostre coste sia rifugiato o clandestino: «C’è una battaglia culturale della Lega per considerarli clandestini.
Ma è un’idiozia: una volta stabilito che sono clandestini che facciamo, li processiamo tutti? Altro che processo breve…», ironizza concludendo la prima conferenza nazionale del Pd sull’immigrazione. Una due giorni di confronti tra diverse esperienze di chi è impegnato anche politicamente in Italia, che sia cinese o marocchino,con la coccarda tricolore addosso.E proprio grazie agli immigrati «che sono graditi e indispensabili, producono l’11%del Pil» che l’Italia si ringiovanisce, osserva D’Alema, che indica come centrale, anche per il Pd, il tema «dei diritti politici» come il voto.
Sulla Libia critica il governo: nei vertici internazionali «credo non dica nulla, non ha peso» e se «l’America ha deciso di affidare il comando alla Nato, l’Italia sale sul’elefante e dice che è una sua vittoria». Secondo l’ex premier «l’azione militare non è in contraddizione con l’azione politica», però rileva che con i raid della coalizione «l’offensiva di Gheddafi si è fermata».
Il governo «non è attrezzato» a far fronte a quello che sta facendo diventare emergenza per «alimentare la paura», gli sbarchi. Così «viene il sospetto che la visione tutta quella gente ammassata lì – sul molo di Lampedusa – non dispiaccia per ragioni propagandistiche, perché se li avessero accolti decentemente, non si sarebbero neanche visti, non si poteva fare propaganda», commenta riferendosi a quando era premier: «Nessuno ha visto i kosovari ammassati: ne vennero 25mila, furono ospitati e poi tornarono a casa loro senza drammi».
Il presidente del Copasir respinge le indiscrezioni sul presunto ruolo dei servizi segreti italiani in Libia: «Si sono sentite notizie contraddittorie, confuse, false. Vengono riprese voci prive di fondamento», un atteggiamento «grave» perché «i servizi vanno lasciati operare, senza diventare argomento di gossip».
Insomma, secondo D’Alema con i conflitti in Nord Africa «cambierà tutto », l’Occidente paga lo scotto di aver tollerato «dittature» per aver garantita la sicurezza» e ora deve cogliere questa occasione unica, come lo fu il crollo del Muro di Berlino. Ma il governo è sordo, come «se la Germania di Khol avesse detto: «Stanno arrivando con le Trabant, invece di festeggiare la democrazia». Senza paura dell’Islam, del resto, «in Italia vinse la Dc, un passo avanti dal fascismo» Perché la «politica sicuritaria» non premia e la legge sull’immigrazione «genera clandestini». «Se il presidente degli Stati Uniti, la cui nonna ha festeggiato in Kenia l’elezione, fosse stato in Italia, avrebbe dovuto chiedere il permesso di soggiorno», è il paradosso reale. Così D’Alema si dice «immigrato da trenta generazioni, ci sarà voluto qualche secolo prima che il figlio di “Alim” diventasse D’Alema», più vicino ai Saraceni che ai Longobardi…
La «via italiana» alla convivenza è «politica», tema del convegno aperto da Livia Turco, organizzato dal Forum Immigrazione del Pd, coordinato da Marco Paciotti. Per D’Alema la via è quella dei «diritti politici: di voto e di cittadinanza», superando lo Ius sanguinis irragionevole: «È assurdo che chi lavora qui non ha il diritto di voto e chi è figlio o nipote di emigranti italiani, ma vive all’estero, scelga chi deve governare l’Italia»
da L’Unità