Turbati da una rivoluzione araba che sovverte la loro visione del mondo, alcuni ministri italiani si sono trasformati in profeti di sventura. E subito i giornali governativi hanno cominciato a suonare le campane a morto.
Mentre Frattini sparava cifre a casaccio su «un´invasione di 300 mila profughi», La Russa e Maroni abusavano dei sacri testi per evocare un “Esodo biblico”, giungendo martedì scorso a fantasticare di “Tsunami umano”.
Rileggere in sequenza i titoloni di prima pagina de La Padania aiuta a comprendere lo stato d´animo di costernazione con cui i nostri governanti vivono questi cambiamenti storici, percepiti nel resto d´Europa come rischiosi, certo, ma potenzialmente benefici. “Maroni: stop all´invasione” (11 febbraio). “Travolti dall´orda. E l´Ue dorme. Crisi senza precedenti, un altro Muro di Berlino. Respingimenti impossibili senza la collaborazione della Tunisia. Sempre più elevato il rischio infiltrazioni di Al Qaeda” (15 febbraio). “Maroni: Libia, pericolo Al Qaeda” (25 febbraio). “Maroni: l´argine sta crollando” (8 marzo).
Mai in passato un responsabile dell´ordine pubblico si era così prodigato nel seminare il panico; sposando acriticamente la propaganda di Gheddafi: sia quando accusa gli insorti di essere terroristi, sia quando minaccia l´assalto dei profughi alle coste europee.
Ma è il governo nel suo insieme a incaricarsi di una mera funzione di contenimento, ignorando le opportunità storiche che i rivolgimenti in corso sulla sponda sud del Mediterraneo potrebbero riservare a un paese come il nostro, afflitto da invecchiamento demografico e crescita rallentata. Nei secoli l´Italia ha sempre conosciuto la prosperità collegandosi allo sviluppo armonico del Nordafrica e del Levante. Mentre ha patito i contraccolpi delle fasi storiche in cui i nostri vicini meridionali sono arretrati.
Dare per scontato che la rivolta giovanile in corso nel mondo arabo debba sfociare necessariamente in oscurantismo e spinta migratoria, alimenta nella nostra sfiduciata classe dirigente una coazione a ripetere. Eccola, allora, protesa nervosamente nel vano tentativo di ricostruire in fretta e furia un´altra diga. Non a caso Berlusconi ancora oggi rivendica come “capolavoro politico” il Trattato d´amicizia italo-libico firmato a Bengasi il 10 agosto 2008 e già miseramente fallito.
L´esito inglorioso della partnership con Gheddafi, costosa e moralmente discutibile, sembra non averci insegnato nulla. Davvero pensiamo che in futuro potremo cavarcela finanziando profumatamente altri gendarmi che sorveglino le coste e garantiscano l´approvvigionamento energetico?
L´ideologia leghista evidenzia oggi tutto il suo anacronismo. Pare quasi che Maroni viva con dispetto le aspirazioni di libertà diffuse nel mondo arabo e attenda che la “rivoluzione dei gelsomini” ceda il passo ai kamikaze, più congeniali alla sua politica allarmista. Come un disco rotto, sa ripetere soltanto le solite parole magiche, “clandestini” e “terroristi”, per mantenere l´opinione pubblica italiana prigioniera della paura. E se invece l´Eurabia preconizzata come un incubo da Oriana Fallaci si rivelasse in futuro un amalgama ben diverso, fondato su società aperte? Se l´”infelicità araba” narrata dal martire della democrazia libanese Samir Kassir come compiacimento vittimistico egemonizzato dall´integralismo, cedesse spazio alla speranza di una nuova, amichevole “felicità araba”?
Tale eventualità viene liquidata con sarcasmo dal nuovo pacifismo di destra all´italiana, animato peraltro dagli ex guerrafondai nostalgici di Bush. Le sue connotazioni prevalenti sono l´isolazionismo e il vittimismo. Nega la potenzialità di un´azione internazionale concertata a sostegno delle rivolte popolari. E s´inviperisce contro il protagonismo di Sarkozy accusandolo di volerci sottrarre zone d´influenza neocoloniali. “A loro il petrolio, a noi i clandestini” è il titolo demagogico di Libero che meglio sintetizza questo istinto di autocommiserazione.
L´unico impegno con cui il governo di centrodestra si presenta di fronte ai cittadini italiani è quello a sollecitare l´Unione europea nel respingimento dei profughi e nella loro ripartizione fra gli Stati membri. Peccato che il famoso “Esodo biblico”, lo “Tsunami umano”, finora abbia provocato l´intasamento della sola minuscola isola di Lampedusa, senza assumere le proporzioni di un´emergenza paragonabile agli effetti delle guerre balcaniche. Ma non importa: gli imprenditori politici della paura riuscirono a moltiplicare per dieci o per cento anche il “pericolo rom”, figuriamoci se non approfitteranno dell´esigua minoranza di fuggiaschi che anziché espatriare in Tunisia e in Egitto (dove ne arrivano davvero molti) raggiungono le coste italiane. Per loro già si prepara il trattamento di sempre: “A casa i finti profughi” (Il Giornale). Condito con quel di più di cinismo in cui per primo si distingue il governatore veneto Luca Zaia: «Questi non sono disperati, hanno soldi e abiti griffati».
È chiaro che questo governo anacronistico, trascinato controvoglia in un conflitto dal cui esito felice si sentirebbe minacciato, confida sulla repressione della rivolta araba. Ma l´interesse nazionale dell´Italia va in direzione opposta. I reazionari, orfani dei dittatori-amici, stavolta sono asserragliati sulla sponda nord.
da la Repubblica