Fino a un po’ di tempo fa (e verrebbe da dire fino a qualche giorno fa) fare ministro un indagato era considerato inopportuno, se non proprio impossibile. Per dire: Bettino Craxi, che nel 1992 doveva addirittura essere nominato primo ministro, non lo fu perché sulla sua testa stava per abbattersi la tempesta di Tangentopoli, e al suo posto fu chiamato Giuliano Amato. Aldo Brancher, che era entrato nel governo in fretta e furia e senza compiti chiari, per salvarsi da un processo in cui di lì a poco sarebbe stato condannato, dovette uscirne dopo tre giorni non appena emerse chiaramente qual era la vera ragione che lo aveva spinto così in alto. Inoltre a Claudio Scajola, dimessosi da ministro per la storia ormai arcinota della casa al Colosseo in parte regalatagli dalla «cricca» delle Opere pubbliche, e deciso a rientrare in gioco dopo aver sistemato alla meno peggio lo scandalo, era stato opposto un deciso rifiuto motivato puntualmente con sondaggi commissionati da Palazzo Chigi.
Sondaggi che avrebbero dimostrato come Scajola, malgrado il «mea culpa», non si era ancora guadagnato il perdono dell’opinione pubblica, che sarebbe stata pronta a reagire indignata a un eventuale suo ritorno al potere. A deludere le ambizioni di Scajola, non più tardi di una settimana fa, è stato Berlusconi in persona. Lo stesso Berlusconi che ieri ha accompagnato al Quirinale il neo-leader dei transfughi siciliani dell’Udc e della componente più numerosa (cinque deputati) dei cosiddetti «Responsabili» Saverio Romano, nominato in gran fretta ministro dell’Agricoltura al posto di Giancarlo Galan, che a sua volta ha preso il posto di Sandro Bondi alla Cultura. Romano non aveva neppure finito di pronunciare il giuramento, che due dei suoi entravano alla chetichella nell’aula della Giunta per le autorizzazioni a procedere determinando, con i loro voti, la decisione a favore del conflitto di attribuzione tra i giudici di Milano e la Camera dei deputati davanti alla Corte Costituzionale, che dovrebbe rallentare, se non addirittura far saltare, il processo per il caso Ruby in cui Berlusconi è imputato di concussione e sfruttamento della prostituzione giovanile.
Che si sia trattato di uno scambio palese, tra un posto di ministro e due indispensabili voti parlamentari, non c’è dubbio. E che il premier non potesse in alcun modo farne a meno, altrettanto. Ancora, che Berlusconi, con i suoi quattro processi sulle spalle, consideri le indagini sui rapporti tra Romano e la mafia bazzecole è perfino logico, anche se non accettabile. Romano infatti non è solo in attesa di un pronunciamento del gip, annunciato per i primi di aprile, che dovrebbe stabilire se archiviare le accuse che lo riguardano, o proseguire le indagini, o rinviarlo a giudizio. Tra pochi giorni potrebbe trovarsi citato, come membro dello stesso gruppo politico dell’ex governatore siciliano, anche nelle motivazioni della sentenza della Cassazione con cui Totò Cuffaro è stato condannato a sette anni per favoreggiamento della mafia e per cui è entrato in carcere un mese e mezzo fa, rassegnato a scontare la pena.
Si dirà che in passato la regola dell’esclusione da incarichi di governo di uomini colpiti solo da accuse non dimostrate s’è rivelata ingiusta. Ed è vero. Nel caso di Craxi, le condanne, anche definitive, seguite alle inchieste, non hanno impedito di celebrarne a dieci anni dalla morte la riabilitazione politica e istituzionale e di farlo passare alla storia, oltre che per il ruolo avuto, anche come il capro espiatorio di un sistema di corruzione generale. Di qui a paragonare Craxi a Scajola, a Brancher, e adesso a Romano, tuttavia ce ne corre.
Sorgono, spontanee, due domande, che lo stesso Berlusconi dovrà porsi necessariamente nei prossimi giorni e che il presidente della Repubblica Napolitano deve avere ben presenti, a giudicare dalla durezza del comunicato con cui ha accompagnato il giuramento del nuovo ministro. Vista la portata delle accuse a Romano, e augurandosi ovviamente che possano essere chiarite definitivamente al più presto, non sarebbe stato meglio aspettare l’ormai prossima decisione del gip che lo riguarda e il deposito, egualmente vicino, delle motivazioni della Cassazione su Cuffaro? E cosa succederà quando nei prossimi giorni Scajola assumerà la guida di un gruppo di venti deputati – il quadruplo di quelli di Romano! -, sottratti alla già esile maggioranza di centrodestra alla Camera, e vorrà rinegoziare, con gli stessi argomenti del neo-responsabile dell’Agricoltura, il suo futuro personale?
La Stampa 24.023.11