A Parigi il vertice internazionale dei Paesi interventisti ha deciso l´attacco militare immediato avvertendo Gheddafi che lo stop ai raid è subordinato alla sua resa. Gli aerei delle potenze che agiscono sulla base della risoluzione dell´Onu sono arrivati nelle basi italiane. L´operazione militare è cominciata, ma il dibattito politico in Europa è apertissimo.
Aiutare gli insorti, impedire che le milizie del raìs libico occupino Bengasi e Tobruk, soccorrere i profughi e arginare l´ondata dei migranti, sono obiettivi condivisi da tutti. Resta invece una differenza di opinioni molto profonda sui limiti tattici dell´intervento e sulla strategia politica nei confronti di Gheddafi. Bisogna impacchettarlo consegnandolo alla Corte di giustizia internazionale e processarlo per i crimini commessi contro il suo popolo? Oppure munirlo d´un salvacondotto ed esiliarlo? Oppure ancora lasciargli una parvenza di potere in una sorta di libertà vigilata disarmata e commissariata? Infine: bisogna mantenere l´unità della Libia o prendere atto che quell´unità è un´invenzione perché Tripolitania e Cirenaica sono realtà diverse dal punto di vista storico, tribale, religioso e la loro fittizia unità è stata imposta dal colonialismo italiano prima e dalla dittatura di Gheddafi poi?Questo dibattito divide trasversalmente l´opinione pubblica europea ed anche i governi dell´Unione. Soprattutto divide Parigi da Berlino, Sarkozy da Angela Merkel. Bombardare o negoziare, questo è il tema. In Italia divide anche la destra; Berlusconi, dopo il lungo fidanzamento con il raìs libico, è entrato a far parte degli interventisti; Bossi si è allineato con la Merkel. Ma la divisione attraversa anche l´opinione pubblica al di là degli schieramenti politici.
Un fenomeno analogo si verificò trent´anni fa, quando l´Urss cominciò a dare palesi segnali di implosione. Regnava al Cremlino Breznev ma crescevano le tensioni all´interno del partito e del regime tra chi voleva perpetuare all´infinito la dittatura post-staliniana e chi voleva invece aprire la strada ad un “comunismo dal volto umano”. L´opinione pubblica e le cancellerie occidentali si divisero tra i favorevoli all´innovazione e chi vedeva in Breznev una garanzia di stabilità europea e mondiale.
Si sa come finì: Breznev, stroncato dalla malattia, aprì la strada ad Andropov, seguito da Cernenko, poi venne Gorbaciov, la “perestrojka”, Eltsin e infine Putin.
Storie molto diverse e non paragonabili con quella libica ma è interessante ricordare come reagì allora l´Occidente e come reagisce oggi sul caso Gheddafi. Le analogie sono forti. Alla base, come sempre avviene in politica, ci sono i diversi interessi che ispirano l´azione dei governi e orientano la pubblica opinione.
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Poche settimane fa, dopo la caduta di Mubarak, del dittatore tunisino Ali e delle insorgenze nello Yemen e negli Emirati, anche i giovani di Tripoli e soprattutto di Bengasi si ribellarono mettendo a mal partito la dittatura di Gheddafi che durava da oltre quarant´anni. L´Occidente non ebbe esitazioni: il caso libico appariva come un altro tassello della rivoluzione nord-africana; al Qaeda era scavalcata da un movimento che vedeva insieme uomini e donne, motivato da uno slogan formidabile: “pane e libertà”, al tempo stesso sociale e ideale. Sembrò e in gran parte rimane una svolta storica, un´innovazione profonda che scavalcava il terrorismo di Bin Laden, il fondamentalismo coranico e talebano, aprendo un capitolo inedito nella convivenza delle civiltà.
Questa fu la prima e unanime reazione dell´opinione pubblica ed anche delle cancellerie occidentali ma si pose subito il problema della gestione politica della fase successiva all´abbattimento delle dittature.
In Egitto l´esercito è sempre stato il perno dello Stato e non poteva che esser l´esercito a gestire la transizione. La storia della Turchia ne forniva l´esempio. In Tunisia mancava la “risorsa” dell´esercito e infatti la transizione si presenta ancora fragile e agitata. La Libia è un caso a sé, assai diverso dagli altri.
Il paese è geograficamente immenso, demograficamente assai poco popolato, non arriva a cinque milioni di abitanti. Ricco di petrolio solo parzialmente sfruttato. Da quasi mezzo secolo guidato da Gheddafi con mano di ferro, accortamente populista, spregiudicato, corrotto, avventuroso oltre ogni limite. L´esercito non è che una milizia ben pagata e ammaestrata, con reparti speciali mercenari, una sorta di “legione straniera” assai contundente e feroce. Convincerli alla resa è molto difficile. Alle brutte i mercenari si squaglieranno, la milizia tribale si difenderà fino alla fine.
Dopo l´inizio dell´operazione militare resta dunque la domanda: bombardare fino a che punto? Negoziare fino a che punto?
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Si possono, anzi si debbono bombardare gli aeroporti, abbattere i caccia se si alzeranno o distruggerli a terra, smantellare gli impianti di comunicazione, colpire le truppe se non si ritireranno nelle caserme. Più in là non si può andare. Quanto alla negoziazione si può forse rilasciare un salvacondotto al raìs e ai suoi familiari. Se non ci sta, bisogna abbatterlo, ogni altra soluzione è impensabile, sarebbe fonte di trappole continue e di incontrollabili avventure.
A questa strategia vengono opposte due obiezioni. La prima sostiene che il mandato dell´Onu non può violare la sovranità di uno Stato che tra l´altro non ha invaso nessun altro paese. Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait però si ritirò subito dopo l´ingiunzione internazionale ma l´armata di Bush in nome dell´Onu lo inseguì fino a Baghdad, lo processò e lo giustiziò.
L´Onu di tanto in tanto assume le sembianze di uno Stato mondiale di fronte al quale le sovranità nazionali debbono cedere il passo. È avvenuto di rado ma alcune volte le sue risoluzioni hanno avuto questa valenza. In quante occasioni avremmo voluto l´esistenza di uno Stato mondiale nell´era della globalizzazione?
La seconda obiezione è: che cosa avverrà dopo? Una Libia senza un capo, senza una classe dirigente, sarà ancora governabile? Si dividerà in due, in tre, in cinque pezzi? Diventerà preda dei signori della guerra? E il suo petrolio? Le sue città? Le sue aziende? Gli investimenti esteri?
I pessimisti temono che la Libia senza Gheddafi sarà un´altra Somalia, nido di briganti e di pirati. È un destino che le ex colonie italiane facciano tutte questa fine?
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Questa obiezione è più pertinente della prima. Non considera però che anche in Tripolitania e in Cirenaica esiste un ceto evoluto, esiste una rete di aziende produttive, un artigianato folto, una gioventù che aspira a cimentarsi con l´amministrazione e con la politica e una religione che fa da cemento sociale.
Bisogna accompagnare questa fase di rinnovamento, aiutarli a costruire uno Stato, un´amministrazione, una rete di commerci e di produzione. La Turchia può aiutare, l´Egitto può aiutare. L´Europa deve aiutare e l´Italia che ha responsabilità notevoli a causa di un antico e di un recentissimo passato con parecchi peccati da scontare.
Romano Prodi in una recente intervista ha tracciato una lucida visione del “che fare” nell´Africa mediterranea e in Libia in particolare. Parlava con la duplice esperienza di ex presidente del Consiglio e di ex presidente dell´Unione europea. Proponeva tra le altre cose trattati di associazione dei Paesi africani mediterranei all´Unione europea. Non ingresso nell´Unione per il quale non esistono le condizioni, ma associazione, amicizia istituzionalizzata a vari livelli secondo le condizioni politiche, sociali ed economiche di quei Paesi.
Queste proposte andrebbero riprese e messe con i piedi per terra. Il Mediterraneo è stato per millenni il centro del mondo atlantico. In tutte le sue sponde è un mare europeo e ancora di più lo è oggi con l´immigrazione che in questo Ventunesimo secolo cambierà la fisionomia etnica del continente. Flussi di persone e di famiglie, flussi di capitale e di investimenti, flussi culturali e religiosi, conquista di diritti, osservanza di doveri poiché ogni dovere suscita un diritto e ogni diritto comporta un dovere.
L´Italia ha una missione da adempiere e una grande occasione da cogliere. Noi ci auguriamo che ne sia all´altezza. Le esortazioni di Giorgio Napolitano ci siano, anche in questo, di insegnamento e di stimolo.
In questi mesi la figura del nostro Presidente ha acquistato uno spessore etico e politico che ne fa il punto di riferimento di tutto il Paese. Questa unanimità non è posticcia né retorica, esprime un sentimento e un bisogno. Ci rafforza come nazione. Rafforza i nostri legami europei. Suscita all´estero rispetto e ascolto. Non eravamo più abituati a questa considerazione, avevamo scambiato (alcuni avevano scambiato) la politica delle pacche sulle spalle per considerazione internazionale. Ora non è più così. Abbiamo una guida ed una rappresentanza migliore. Possiamo di nuovo considerare la nostra presenza mediterranea come un punto di forza non solo per noi e per i nostri legittimi interessi nazionali, ma per l´Europa e per l´Occidente.
La Repubblica 20.03.11
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“”L´Italia non rischia” Bossi: Silvio sbaglia” di Umberto Rosso
«Siamo pronti a intervenire. Ma noi non corriamo rischi, i razzi libici non colpiranno l´Italia». Silvio Berlusconi, dopo aver dato il via libera all´impiego di basi e militari italiani per l´operazione contro Tripoli, rassicura sulle possibili conseguenza per il nostro Paese. Ma si scontra con il suo principale alleato: per Umberto Bossi «Silvio sbaglia, con i bombardamenti milioni di immigrati arriveranno in Italia. E qualche ministro parla a vanvera».
«Berlusconi non l´ho ancora sentito, non so come l´hanno accolto a Parigi: il Consiglio dei ministri aveva però rallentato l´appoggio con una posizione cauta di non partecipazione diretta. Poi ci sono ministri che credono di essere più del premier e parlano a vanvera». Così Umberto Bossi prende le distanza dalla partecipazione italiana alle operazioni in Libia, attaccando i ministri più “interventisti”. La Lega insiste sulle posizioni filo-tedesche e torna a paventare il rischio di una invasione di profughi: «Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua». A beneficio della sinistra, che, dice Bossi, «cerca il voto degli immigrati».
La tv annuncia – per primo il Tg2 – l´inizio dei raid sulla Libia. E il Senatùr reagisce, ne ha per tutti. Francia e Usa compresi: «Il mondo è pieno di famosi democratici, che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto: il maggior coraggio a volte è la cautela».
La posizione del Carroccio viene però criticata duramente dall´opposizione. Da Casini in primis, che definisce «intollerabile la dissociazione della Lega», perché «in nessun Paese serio – dice – una delle forze di governo potrebbe dissociarsi in questo modo». Il Pd condanna il «grave strappo» dei “lumbard” e giudica positiva la conclusione del vertice di Parigi, mentre Italo Bocchino di Fli li invita a «vedere la cartina di Europa e Mediterraneo per capire che non possiamo fare come la Germania».
Ma se qualcuno già mette sul tavolo dubbi e polemiche è bene che sappia come la pensa il capo dello Stato, che del resto già in mattinata era stato informato da Berlusconi sui risultati del vertice di Parigi, accogliendo con soddisfazione la decisione di intervenire contro il leader libico. Una linea che Napolitano aveva sollecitato fin dai primi giorni della rivolta e dei bombardamenti sulla popolazione.
Giorgio Napolitano ha ricevuto i primi rapporti sul blitz contro Gheddafi mentre volgeva al termine il suo viaggio a Torino, e ha spiegato da capo dello Stato – e anche da capo delle forze armate – quale sarà il ruolo dell´Italia nell´intervento.
Innanzitutto, la missione in Libia è scattata «nel rispetto pieno dell´articolo 11 della Costituzione». Resta da vedere se le regole di ingaggio previste per le nostre forze armate rispetteranno l´articolo 11 della nostra Costituzione, e cioè il ripudio della guerra, o se saranno per così dire “circumnavigate”. La risposta del capo dello Stato arriva decisa: «Non c´è assolutamente nulla da circumnavigare. L´articolo 11 della nostra Carta parla proprio espressamente di interventi coordinati delle organizzazioni internazionali volti a garantire la pace e la giustizia sulla scena mondiale. Questo faremo». La missione contro il raìs, sotto l´ombrello dell´Onu per fermare repressioni e stragi di civili, rispetta dunque nella forma e nella sostanza il dettato della nostra Carta.
Per Napolitano, e lo spiega incontrando i ragazzi dell´”Arsenale della pace” di Ernesto Olivero, «oggi servire la pace significa trovare il modo di andare incontro alle popolazioni perseguitate». Significa intervenire per portare aiuto «non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni, è un impegno che può apparire duro, ma è un impegno per la pace, per la solidarietà, i diritti, e la libertà dei popoli». Impegno che il capo dello Stato vede altrettanto forte sul piano della risposta all´arrivo dei profughi e, anche dopo una telefonata del sindaco di Lampedusa che l´ha informato sull´emergenza che si sta vivendo sull´isola, lancia un appello: serve la più ampia solidarietà, sul piano dell´accoglienza, da parte di tutte le regioni italiane.
La Repubblica 20.03.11
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“Torniamo nemici 100anni dopo”, di FILIPPO CECCARELLI
Potenza degli anniversari: giusto cent´anni fa la guerra di Libia. E sembra anche di avvertire qualche assonanza di troppo.Geopolitica e non solo. «Giolitti sente poco la politica estera, ma esiste un´Italia malata d´Africa da quando la Francia s´è presa la Tunisia». Così ricostruisce la situazione Franco Cordero nel suo recentissimo commento al Discorso di Leopardi sopra lo stato presente dei costumi degl´italiani (Bollati Boringhieri): «L´affare libico pare comodo: nihil obstat dalle Potenze; i turchi sloggeranno dopo quattro cannonate. L´opinione pubblica chiede Tripoli e lui l´asseconda malvolentieri…».
Era la fine di settembre del 1911. Fattori emotivi e considerazioni di prestigio spinsero principalmente l´Italia a mettere da parte l´idea di una penetrazione economica per intraprendere quell´impresa militare. Ma a chi voglia ulteriormente abbandonarsi alla gravosa fatalità delle ricorrenze si fa notare, con Denis Mac Smith, che per degnamente celebrare il 50° anniversario dell´unificazione la conquista della Libia, coronamento del Risorgimento, «avrebbe dimostrato come gli italiani meritassero di essere diventati una nazione».
Ora, Giolitti e Berlusca hanno davvero troppo poco in comune per consentire vani giochetti storici. Ma a parte le motivazioni fatte valere un secolo fa, una specie di diritto di proprietà risalente ai fasti dell´impero romano, come pure il sogno di un Eldorado a portata di mano sulla “quarta sponda”, con relative leggende a base di chicchi di grano grossi come mandarini, la guerra non fu per niente una passeggiata. E non solo perché un pezzo di paese era contrario, da Salvemini, l´unico a sapere che si trattava in realtà di «uno scatolone di sabbia», a Treves e Turati, fino a Nenni e Mussolini che finirono in galera.
Se D´Annunzio cantò la gioia della conquista “d´Oltremare” e se l´isterico nazionalismo dei futuristi ebbe il suo agognato sfogo, la verità storica è «la Libia abbisognava di capitali – come scrive Mac Smith – ma l´Italia non ne aveva a sufficienza nemmeno per se stessa». Disse poi Giolitti che l´impresa era costata 512 milioni. Lo contraddisse in Parlamento Sonnino sostenendo che il bilancio era stato falsificato e che il costo effettivo della guerra era stato almeno doppio.
Brusco ritorno al presente, con legittima e conseguente preoccupazione per il futuro. Perché ciò che davvero atterrisce, ben oltre il fatale rincorrersi dei numeri e delle loro commemorazioni, è la velocità con cui ciò che vistosamente è andato in scena si va oggi rovesciando nel suo esatto contrario. I cammelli in regalo, il Cavaliere sotto la tenda che mostrava le foto del nipotino al Colonnello, l´autostrada promessa, lo “storico” trattato che addirittura privilegiava la Libia agli impegni della Nato, quel bacio della mano. Come se l´ostentata amicizia rivelasse di colpo la sua più spudorata falsità.
Non che i democristiani facessero poi una politica così diversa. Non Andreotti, a cui Gheddafi si offrì di pagare l´avvocato per i processi di mafia; non Craxi, che chiamava Gheddafi “Capitan Fracassa”, ma gli salvò la pelle avvertendolo dell´attacco americano nell´aprile del 1986. Si sa. C´entrano il petrolio, gli affari e adesso anche le carrette del mare con i disperati. È ovvio che l´Italia doveva tenerselo buono, quel tipo lì, come infatti se lo tennero buono l´Avvocato Agnelli, Prodi o D´Alema, che andò a Tripoli a riprendersi certi bambini di genitori italo-libici in lite, e a cui fu regalata una scimitarra berbera, chissà che fine ha fatto.
E però, diamine: non sono passati nemmeno sette mesi dall´ultima visita del Colonnello a Roma e oggi la memoria si affolla di ricordi che risultano ancora più stranianti di quanto già sembrassero allora. Sogni, miraggi, fotogrammi di cinepanettone. La tenda di Gheddafi a villa Pamphili; il pranzo dal “Bolognese” con assaggiatore fisso ai fornelli; gli sguardi golosi sulle amazzoni, pure dotate di pendaglio con ritratto del Raiss al collo; il torneo equestre con i cavalieri berberi e i carabinieri a villa Borghese. Quindi Berlusconi che alla mostra sul colonialismo arrivò addirittura a commuoversi, ma poi durante l´interminabile concione del leader libico si mise a dormire. Per non dire dei torpedoni carichi di ragazze romane che il capriccioso tiranno volle mostrare ai telespettatori libici: ben 530 ne arruolò l´agenzia Hostessweb, comprese tre convertite all´Islam e una giovane giornalista che si finse velina interessata alla rivoluzione verde per scriverne un resoconto per Repubblica.
E ora all´improvviso la guerra. Le basi militari. I Tornado “pronti in 15 minuti”. Il cacciatorpediniere “Andrea Doria” nel canale di Sicilia. Già una volta, di recente, il ministro La Russa ha esibito fregole dannunziane: “S´ode nel cielo un sibilo di frombe./ Passa nel cielo un pallido avvoltoio…/ Italia, alla riscossa, alla riscossa!”. Mentre Berlusconi, con provvido tempismo, si è limitato a raccontare a Ruby che quel certo rito sessuale – vedi, vedi – glielo aveva insegnato proprio Gheddafi. Tutto dunque si tiene a questo mondo, da Giolitti al bunga bunga, e tutto speriamo davvero che non si sconquassi.
La Repubblica 20.03.11