“Unità e Costituzione” non fu solo la felice formula politica degli anni tumultuosi della tessitura italiana. Furono anche le parole che resero possibile il nostro Risorgimento. Esse dettero infatti alla vicenda italiana il significato di una progressiva conquista di libertà. Legarono perciò l´identità del nuovo Paese non al fatto territoriale di una serie di annessioni nazionalistiche, ma al grande movimento liberale che attraversava l´Europa. In questo senso la nostra identità fu un fatto “europeo” prima ancora che nazionale-italiano.
“Noi credevamo”, allora, in quelle due parole. Anche quando le speranze di farcela erano assai poche. Furono quelle anzi le parole che permisero la creazione di uno spazio, piccolo ma decisivo, di convivenza degli opposti: monarchici e repubblicani; cattolici e laici; ceti “ristretti” e classi popolari. Il nostro “mondo di vita” nazionale prendeva le forme istituzionali di una comunità democratica. Fu, dunque, il nostro, fin delle origini, un “patriottismo costituzionale”.
Quando, con il fascismo, quella formula si ruppe, quando ci fu la scissione tra il valore dell´unità-statale e i valori costituzionali, venne meno la stessa identità del Paese. Si deformò il suo “volto” originario in cui tutti si erano riconosciuti. Lo Stato “illiberale” fu l´anti-Italia, nonostante l´ossessivo richiamo all´idea di nazione.
La perdita della “legge-fondamentale”, come bussola e ragione della cittadinanza, determinò la secessione silenziosa di tutti quegli italiani che si sentivano tali perché c´era stato il Risorgimento. Essi videro nello Stato fascista uno Stato straniero e lontano. Ne poterono cogliere persino il gigantesco tentativo di modernizzazione integrale dello Stato, che si propagò fuori d´Italia con imitazioni che presto superarono l´originale. Ma videro anche nella distruzione del nucleo di democrazia liberale non una svolta politico-istituzionale, ma un ritorno alla disunione italiana. Le leggi razziali resero ancor più profonda la separazione dell´Italia da se stessa: più di quanto non fosse stato nell´Italia divisa “in tanti Staterelli”.
Ed è certo nella logica profonda della nostra storia il ritorno del motto “Unità e Costituzione” come formula di coesione della Resistenza: in questa luce, perciò, nuovo Risorgimento e nuova riunificazione. Anche allora, infatti, unità volle dire non solo ricongiunzione territoriale tra Nord e Sud, materialmente separati dalla linea della guerra. Ma volle significare anche il ritorno alle libertà concrete e alle loro garanzie.
“La Costituente o il caos” si disse allora: e furono anche esse parole fortunate di re-identificazione nazionale. Perché solo un nuovo costituzionalismo poteva garantire contro i rischi di nuova tirannia. Solo esso poteva ricreare l´unità d´Italia.
La Costituzione del 1948 fu soprattutto questo: la riunificazione dell´Italia in un moderno ordine delle libertà, tutelato da contro-poteri che non c´erano quando era prevalso il fascismo. Il referendum popolare contro le manomissioni costituzionali. Il Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento nazionale e da delegati delle assemblee regionali; e perciò affidatario della Carta costituzionale. La Corte costituzionale: “giudice delle leggi” e della loro osservanza verso la Costituzione. Le Magistrature indipendenti: come prima linea di difesa dei diritti fondamentali dei cittadini.
Fin dal primo articolo della Carta fu pressante questa necessità della limitazione del potere pubblico, anche quando esso proveniva da libera elezione: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ma questa idea del “potere limitato” (che già era stato, cinque secoli prima dell´antico “repubblicanesimo” italiano) non paralizzò certo i governi di allora. Essi stimolarono, accompagnarono, esaltarono il grande miracolo sociale italiano degli Anni 50 e 60, che si studia oggi nei libri di economia politica (eppure già in Costituzione vi era quell´articolo 41, in questi giorni ridicolmente imputato di ostacolare la “crescita”).
Ma la Costituzione repubblicana volle tutelare l´unità d´Italia non solo contro la spaccatura che sempre reca l´assolutismo del potere incontrollato. Non fu solo, non è, una Costituzione “contro” i pericoli di disunione. La sua essenza è di essere una Costituzione “per” l´unione, con legamenti che formano la sua trama.
Con le filature più visibili: in quell´articolo 3 che “richiede” a tutti “l´adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In quell´articolo 120 posto a tutela “dell´unità giuridica”, dell´”unità economica” e “dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. Con la cucitura finale, in quell´articolo 139, che dichiara immutabile la “forma repubblicana”: la “forma”, cioè dell´intero tessuto di libertà e di solidarietà, di poteri democratici e di contro-poteri costituzionali in cui, da sempre, è il concetto storicamente italiano di “repubblica”.
Ma i pericoli di disunione attraversarono anche la Repubblica costituzionale, nata nel 1948. Quando la “cortina di ferro”, rompendo l´Europa in due appartenenze, dettò il clima di una “guerra civile fredda” fra gli italiani. Ancora una volta la frattura fu sul nucleo identitario delle libertà: prima che il ritrovamento della “via nazionale” significasse, in realtà, il rientro delle masse comuniste nell´identità storica italiana.
Oggi, come per un immutabile destino della nostra storia, dalla riflessione sull´unità è inscindibile quella sullo stato della Costituzione. Ancora una volta la percezione dei rischi per l´unità nazionale è intimamente intrecciata a quella dei pericoli per le libertà costituzionali.
Le spinte secessioniste, con il rifiuto anche dei simboli dell´unità, con un federalismo opaco e ambiguo, non preoccupano per il loro richiamo fuori dal tempo a piccole patrie territoriali. Preoccupano, soprattutto, per il rifiuto dei vincoli costituzionali di solidarietà. Così come l´attacco ai contro-poteri istituzionali non preoccupa, per la sua evidente, e persino farsesca, finalità di copertura di un meschino pre-potere personale. Preoccupa perché comporta in sé la disunione degli italiani: separati, anche questa volta, dal falso mito che il consenso popolare permetta l´uso illimitato del potere pubblico.
Nella nostra storia, il peccato più grande contro l´Italia è quello, ricorrente, di contrapporre democrazia a Costituzione. Di ignorare il Parlamento o, peggio, di costringerlo alla menzogna di regime. Di rompere così il nesso originario della fondazione unitaria su una base di libertà. Di costringere all´esilio morale gli italiani “patrioti della Costituzione”.
Non è, come si vede, un peccato negoziabile. L´intransigenza nasce dalle nostre origini ed è più forte, certo, di ogni opposizione politica. Per questo, fuori d´Italia, la nostra unità ha avuto un valore reale solo quando è stata unità costituzionale. Senza, ci fu – c´è sempre – il rischio di tornare ad essere solo “espressione geografica”. Ecco perché gli europei ci chiedono, nei giorni che sembra smarrita questa nostra ragione nazionale: “ma come fate?”.
La Repubblica 18.03.11