«Lo spartiacque nella storia della tecnologia mondiale» (così Merkel ha definito la tragedia di Fukushima) ha tolto dall’agenda del futuro energetico il nucleare, tanto che di “opzione zero” parla apertamente il commissario europeo Oettinger, e impone definitivamente in tutto il mondo la marcia verso efficienza energetica e fonti rinnovabili.
Una marcia che dovrà essere a tappe forzate, se vogliamo emanciparci presto e il più possibile dalla dipendenza dai fossili, e che premierà nella competizione globale i paesi che meglio e più rapidamente saranno in grado di adeguarsi a questo scenario.
Oggi in Europa c’è già una lepre che corre nella direzione giusta e più promettente: la Germania che già produce oltre 40 Twh con il vento (per capirci in Italia siamo a 8 Twh) e vuole superare i 100 Twh entro i prossimi 10 anni, che ha già istallato 16mila Mw di fotovoltaico e conta di arrivare a 52mila Mw nel 2020, che punta con forza sullo sviluppo compatibile delle agroenergie, per arrivare all’80% di energia elettrica nel 2050. Dovrebbe essere quello il modello da imitare. E infatti finalmente, seppur in grave ritardo, grazie ai provvedimenti presi nella scorsa legislatura, le rinnovabili stavano iniziando a decollare anche in Italia, arrivando a fornire l’anno scorso un quarto dell’intera produzione elettrica del nostro paese. E allora che fanno Berlusconi e il suo ministro Romani?
Decidono improvvisamente di approvare un decreto il 3 marzo che di fatto taglia le gambe a questo che era una dei pochi settori che, in controtendenza con la crisi in atto, ha garantito sviluppo e occupazione. Oggi presso il ministero dello sviluppo economico finalmente il governo incontrerà almeno qualcuno tra gli operatori del settore. Un incontro che nasce dalla protesta ampia che si è immediatamente propagata in tutto il paese – da Padova dove lunedì scorso c’è stato il primo sciopero del fotovoltaico, al Mezzogiorno.
Una protesta, quella dei lavoratori e delle imprese, che ha visto il sostegno fermo e compatto del Pd sin dalle primissime ore, come aveva testimoniato il partecipatissimo incontro di giovedì scorso alla camera, cui avevamo convocato associazioni e operatori, ma anche i rappresentanti dei Comuni gravemente penalizzati dal decreto approvato dal governo.
Mercoledì il gruppo del Pd della camera è riuscito ad ottenere che venisse approvata all’unanimità una mozione parlamentare che impegna sostanzialmente il governo a intervenire sui punti più negativi del suo stesso decreto. Il testo approvato è frutto di un compromesso con la maggioranza che ovviamente ha cercato di evitare la completa sconfessione del suo governo e forse per il Pd sarebbe stato più semplice, propagandisticamente, inchiodare Berlusconi e Romani all’errore drammatico compiuto, ponendo in votazione la propria mozione originale. Ma come ha detto in aula Ermete Realacci: «Abbiamo preferito una soluzione comune, perché abbiamo a cuore questo paese, questo settore e il futuro dell’Italia».
Ora c’è una mozione importante perché è votata da tutti, che indica sostanzialmente il modello tedesco e chiede innanzitutto al governo di rimediare agli errori compiuti nei confronti di chi aveva già programmato investimenti, affermando un principio che dovrebbe essere scontato: non si possono fare provvedimenti retroattivi.
Dall’incontro di oggi devono venire risposte chiare sia alle richieste degli operatori sia alla mozione del parlamento. La si smetta di inseguire improbabili “modelli francesi” (che non funzionano). La si smetta di ascoltare i suggerimenti di una Confindustria, incapace di rappresentare tutti i propri iscritti. E dei grandi ex monopolisti, miopi e disinteressati sulle rinnovabili. Insomma, per citare ancora il puntuale intervento di Realacci: «Non si può legiferare sotto la pressione di interessi potenti, che hanno la testa rivoltata indietro, sotto la pressione di campagne di informazione fasulle: Romani ha dichiarato, e non ha smentito, che nel 2009 e nel 2010, ogni anno, 10 miliardi di euro sarebbero andati alle fonti rinnovabili. È falso».
La spesa per le rinnovabili in Italia lo scorso anno è stata di 2,7 miliardi di euro contro i 9 che pagano i tedeschi, ben contenti di farlo visti i risultati raggiunti per l’intero sistema economico del paese. Ed è quello il sistema da utilizzare anche per ridurre progressivamente questi incentivi, accompagnando il progresso tecnologico che ci porterà in tempi ragionevoli alla grid parity.
La strada da seguire è chiara, il governo la segua. Altrimenti la protesta nelpaese crescerà e il Pd saprà sostenerla con forza.
da Europa Quotidiano 18.03.11