Ieri il presidente del Consiglio ha fatto il pieno di fischi. Durante la manifestazioni per l’Unità d’Italia Berlusconi è stato ampiamente contestato. Dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli è scappato dalla porta secondaria Altro che festa! Un calvario di fischi, insulti, sarcasmi, allusioni al bunga bunga, inviti alle dimissioni, contestazioni e cori sferzanti da stadio il tour risorgimentale di Silvio, costretto a partecipare da attore non protagonista al centocinquantesimo per l’Italia unita, e ad assistere quasi imbronciato ai ripetuti bagni di folla del Presidente della Repubblica. «Oggi niente dichiarazioni, le lasciamo fare al Capo dello Stato», spiegava il Cavaliere ai giornalisti all’inizio della giornata. A Santa Maria degli Angeli, poco dopo, Silvio veniva sonoramente fischiato. E lo stesso accadeva durante la messa celebrata dal cardinal Bagnasco. Alla fine della funzione, così, il Cavaliere decideva di lasciare la Basilica dal varco della Sacrestia, mentre Napolitano, Fini, Schifani, ecc. guadagnavano l’uscita dalla porta principale.
Per la successiva visita al museo della Repubblica romana, ad accogliere il premier al grido di «dimissioni, dimissioni» erano stati pochi.
Alla fine, però, i fischi della folla che si era raccolta – non si scorgevano i centri sociali ai quali il capo del governo attribuisce ogni contestazione di piazza – sovrastavano di gran lunga le voci dei pochi che lo esortavano a «resistere». Al Teatro dell’Opera di Roma, alla fine, per il Nabucco diretto da Riccardo Muti, la gente assiepata dietro le transenne lo accoglieva scandendo un eloquente «vattene, vattene». La festa del «re» Cavaliere guastata da qualche isolato «imbecille», come sostiene Carlo Giovanardi? Un Savoia di rango come Emanuele Filiberto ha definito ieri Berlusconi «molto più»
di un sovrano. A sentire il principe per le teste coronate le contestazioni sarebbero «normali». «Quando ho partecipato a Sanremo – svela il pronipote di Vittorio Emanuele, cercando di dare una mano al premier – dietro le quinte, se non fischiavano, non sapevo mai quando era il momento di entrare in scena». Il centocinquantesimo dell’Unità come un festival della canzone italiana, in poche parole!. Berlusconi, però, i fischi di ieri li ha presi proprio male. A chi ha avuto modo di parlargli, il Cavaliere è apparso rammaricato. «Almeno oggi avrebbero potuto evitare….», avrebbe esclamato Silvio alludendo alla giornata tricolore. A preoccuparlo, in realtà, è «l’effetto megafono» che possono determinare le contestazioni di ieri. Che per il premier, in realtà, costituiscono la spia della disillusione del Paese che anche i sondaggi fotografano. La propaganda Pdl, naturalmente, riconduce i fischi alle «provocazioni organizzate dalla sinistra». Ieri, però, a prendere di mira il premier è stata la gente normale. Sono stati uomini e donne di diverse generazioni, perfino padri e madri con i bambini per mano che si sono lasciati andare ad un rito quasi liberatorio.
«Vado avanti, non lascio il Paese in mano ai comunisti» come avvenne nel ‘94, aveva assicurato Silvio all’inizio della giornata, rispondendo alle esortazioni di chi lo acclamava all’Altare della Patria e lo incitava a «resistere». Perché è chiaro che il 17 marzo del premier è stato contrassegnata da molte contestazioni, ma anche da molti applausi. A prevalere, però, non sono stati «i fischi comunisti» né a piazza della Repubblica, né al Gianicolo, né all’Opera di Roma.
E le contestazioni, commisurate alle ovazioni riservate a Napolitano costituiscono per il Cavaliere un boccone doppiamente amaro. Nemmenol’amico Bossi ieri gli ha teso la mano. Silvio fischiato? «peggio per lui»,ha commentato lapidario il leader della Lega. E costretto a fare buon viso a cattivo gioco, il Berlusconi privatamente amareggiato, alla fine del centocinquantesimo, ha dovuto spiegare che quella di ieri è stata anche per lui una «magnifica giornata».
L’Unità 18.03.11
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“Anche la piazza lo abbandona. Applausi per Prodi”, di Claudia Fusani
Lui via dall’aula lungo il corridoio a testa bassa e mascella serrata, davanti Gianni Letta a fargli da apripista e a seguire, nel solco, qualche diligente fanciulla deputata. Il Presidente della Repubblica nella piazza di Montecitorio acclamato e sospinto dai cori «Presidente solo per te», a stringere mani e a gioire di quelle parrucche di stelle filanti bianche rosse e verdi fatte in casa da signore che indossano il tricolore a mò di tunica romana. Gli ha tolto la scena. Gli ha tolto il bagno di folla. Gli ha tolto anche la canzoncina: ieri per le strade di Roma si sentiva «meno male che Giorgio c’è». Ora, è vero che la festa dell’Unità d’Italia è, come ripete Napolitano, «la festa di tutti gli italiani e le italiane a prescindere dall’idea politica»; che deve essere una giornata che unisce e non divide e quindi un giorno in cui lasciar perdere faccende politiche. E però ieri è stata la dimostrazione plastica e tangibile di come il premier un tempo più amato dagli italiani sia oggi a rischio di fischi e contestazioni se improvvisa passeggiate per strada. Di come per essere sicuro di evitare iln dissenso sian sempre più costretto a mandare videomessaggi con voce registrata o in diretta telefonica. Per uno come
Berlusconi, a cui risulta inconcepibile che non gli si debba volere bene; cultore di una leadership fisica; che ha messo il corpo, se stesso, la sua faccia, anche la sua famiglia, al di sopra di ogni altro impegno politico e che trae forza ed energia dai bagni di folla: ecco, per uno così, essere stato costretto ieri a nascondersi e a lasciare la piazza ad altri, deve essere stato un bruttissimo colpo. Una verità non confutabile. E passi poi per il Presidente della Repubblica a cui è andato prima l’onere e poi il grande onore delle festa.
Bisogna immaginare cosa deve essere stato per Berlusconi sapere che anche Romano Prodi è stato super applaudito ieri. Più volte: quando è arrivato in piazza Montecitorio, quando ha lasciato il Parlamento e anche in aula. A un certo punto, prima dell’arrivo di Napolitano, si è creato un piccolo capannello proprio davanti al banco del governo: Prodi, Bersani, Di Pietro parlottavano, si tenevano il braccio. Una scena antica. Notata da molti. Anche gli applausi-tutti-in-piedi per i
presidenti emeriti Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi sono andati molto al di là del riconoscimento istituzionale: c’era affetto ma soprattutto nostalgia di un altro tempo. Prodi ha celiato col suo sorriso largo: «Applausi per me? Non ci ho badato». La parola d’ordine ieri era divieto di polemica. Ma la consegna del palazzo non poteva arrivare nelle strade e nelle piazze, tra le famiglie, i ragazzi, adulti qualunque, il paese reale. Non è stato possibile mettere la sordina a chi invocava (signore in piazza di Montecitorio): «Mandate via quel pazzo». O a chi urlava: «Napolitano, sei l’unico». E questo l’ha capito anche Berlusconi.
L’Unità 18.03.11