Francamente quello dell’unità non lo ho mai avvertito un problema, come stranamente avviene oggi», Riccardo Muti «fulminando irrompe nella folta»: a poche ore dalla serata di gala per le celebrazioni dell’Unità d’Italia che lo vedranno sul podio dell’Opera di Roma dirigere Nabuccodonosor di Giuseppe Verdi al cospetto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si apre a una serie di considerazioni su quanto sta avvenendo nel nostro paese. «Sono cresciuto – spiega– in un milieu intellettuale, dove Gaetano Salvemini che è un mio lontano parente acquisito, esercitava un grande peso. Al tempo stesso Molfetta è il sud delle meravigliose bande che suonavano nelle processioni della settimana santa cui partecipavano tutti. Si respirava una cultura che affondava le radici nella Grecia classica, cresciuta nella latinità, ci unisce una lingua e una storia di lungo respiro. Quando penso a Dante o a Raffaello penso a degli italiani: voglio dire che siamo italiani da sempre. E perciò non posso che essere particolarmente avverso a quanti vogliono nuovamente sezionare e dividere quanto per secoli e secoli è stato sezionato e diviso e, grazie a un impulso, a una italianità profonda è stato unito».
Eppure è anche un paese con tante diversità e forze centrifughe?
«È vero: tra uno nato a Bolzano e uno di Trapani esistono differenze, ma rendono questa terra così viva e piena di elettricità».
Lingua e cultura come base unitaria: eppure qualcuno pensa siano cose che non si mangiano…
Ho bissato Va pensiero perché rischiamo davvero di perdere una «Patria sì bella» a causa degli ignominiosi tagli alla nostra cultura: per sfuggire la routine del bis ho chiesto alla sala di cantare. Le persone che si alzavano a grappoli, come piante che crescono veloci quando arrivano certi humus, e dal loggione fino alla platea cantavano tutti assieme. Ho pensato, al di là di tanti discorsi, questa è l’Italia».
In che senso?
«Non avremo i comportamenti collettivi e anche un po’ ingessati che hanno in paesi con una storia nazionale più lunga, penso alla Francia e alla Gran Bretagna, ma li abbiamo alla nostra maniera. In quel pubblico, oltre 1300 persone, c’era chi conosceva le parole e chi mormorava solo suoni, chi andava a tempo e chi accelerava perché non riusciva a tenere il ritmo grave voluto da Verdi. Gente che era lì per l’opera, altri solo per farsi vedere, di destra, di centro e di sinistra: dal loggione alla platea una umanità vivace ma unita».
Da cosa nasce questo modo di essere italiani?
«Dalla nostra cultura profonda: questo è il paese di Tiziano del Cadore, Antonello da Messina in Sicilia, Verdi di Busseto e Vincenzo Bellini di Catania: geni di una terra così diversa che ci hanno reso unici al mondo. A Chicago – Muti è direttore della Chicago Symphony, ndr – sulle pareti esterne del Museo cittadino ci sono i nomi degli artisti esposti all’interno: bene, la maggior parte sono italiani. È la cultura che ci fa rispettare nel mondo».
E invece?
«E invece le istituzioni musicali e culturali sono sull’orlo della bancarotta per i tagli, le scuole alla fame, idem conservatori e università, poi vai negli ospedali e ti trovi la gente umiliata con un letto in corridoio come fossimo in guerra: così il paese disattende la sua cultura e gioca malamente il suo futuro».
Infatti oggi molti pensano che per questo paese non ci sia futuro.
«Credo invece che abbiamo molte carte da giocarci: occorre però smettere di far scappare i nostri talenti all’estero, siano violoncellisti o chirurghi, informatici o attori».
“Va pensiero” è tornato a essere un inno nei teatri e nelle piazze: non è una soddisfazione visto che la musica classica e l’opera da molti sono giudicate una cosa per pochi?
«È una conferma: mio nipote che ha tre anni canta Berlioz e Beethoven. Se vieni indirizzato è facile apprendere cose più complesse. Mi sta a cuore però ricordare una banda musicale di ragazzi nata per iniziativa di privati a Delianuova in Aspromonte, luogo famoso per cose terribili. Sono stati premiati al festival internazionale di Lione e quando li ho diretti a Ravenna hanno mostrato una disciplina oxfordiana. Sul loro esempio in Aspromonte sono nate altre bande per ragazzi, che imbracciano il clarinetto invece che il canne mozze. Smettiamo di prendere esempio dalla televisione, cerchiamo di dare ai giovani cose importanti».
PS.Dopo quest’intervista, il ministro all’economia Giulio Tremonti e il sindaco di Roma Gianni Alemanno hanno visitato il maestro presso il Teatro dell’Opera. Al termine dell’incontro il ministro ha dato la sua parola che s’impegnerà per risolvere il problema del taglio ai Fondi per la cultura. «Per quanto di mia competenza – ha detto Tremonti – mi hanno fatto dare la parola: veni, vidi e capii». E il sindaco: «Era necessario prendere coscienza del fatto che le fondazioni lirico-sinfoniche e molte realtà culturali fondamentali rischiano davvero di chiudere senza un intervento serio dal punto di vista finanziario». Et voilà.
L’Unità 17.03.11