La situazione della centrale di Fukushima è in drammatica evoluzione, e i tentativi volti a minimizzare gli effetti del disastro in corso hanno ormai definitivamente lasciato il posto a timori fondati di un incidente atomico che legherà per sempre il nome della città giapponese a quello di Chernobyl e Three Mile Island. Infatti, anche se nelle prossime ore si riuscisse a bloccare il processo di fusione del nocciolo vincendo questa drammatica battaglia contro il tempo, la quantità di radionuclidi rilasciati comporterà comunque gravi effetti nel tempo sulla salute dei giapponesi.
Quarantotto ore fa, proprio mentre si consumava questa tragedia umanitaria e industriale, in un’affollata conferenza stampa un governo annunciava la definitiva approvazione di un grande piano per il nucleare civile. No, non era il governo italiano: a discettare di energia atomica senza neanche un accenno alla possibilità che in Giappone stesse per fondere il nocciolo di una centrale nucleare, era il premier cinese Wen Jiabao. Il parallelismo con l’Italia è nelle cose: anche da noi, unico caso in Occidente, il governo ha reagito alla catastrofe di Fukushima alzando le spalle, fingendo che nulla cambi rispetto al giudizio sulla sicurezza del nucleare.
Alcuni commentatori e politici “autorevoli” hanno tacciato da “sciacalli” quanti, come chi scrive, hanno invitato la destra a rimettere in discussione la scelta di tornare al nucleare. Si è fatto riferimento a eccessi di emotività, forse dettati dal temperamento latino, che inficerebbero il ragionamento dei cittadini sul tema, ci si è addirittura lanciati in ridicoli paragoni tra la pericolosità di una diga e di una centrale atomica.
Insomma, il partito dell’industria nucleare è evidentemente spiazzato di fronte alla tragedia giapponese, che ha riportato con brutale evidenza il dibattito sulle scelte energetiche ad un punto molto chiaro: il nucleare sicuro non esiste, in nessuna parte del mondo, nemmeno nei paesi più tecnologicamente avanzati ed efficienti.
Il disastro verificatosi in Giappone costituisce «uno spartiacque nella storia della tecnologia mondiale », ha detto ieri Angela Merkel nell’annunciare la chiusura in Germania delle sette centrali nucleari più vecchie, decisione che dubitiamo sia avvenuta sull’onda dell’emotività, ma immaginiamo piuttosto legata all’esigenza di tutelare la sicurezza dei propri cittadini, che ogni Stato dovrebbe anteporre agli interessi di lobby e industrie, e alla consapevolezza che la via alternativa alle fonti tradizionali esiste, e si chiama energia rinnovabile.
Del resto il cancelliere tedesco ha dalla sua i risultati stupefacenti dell’energia rinnovabile nel suo paese, e non può che prendere atto del fortissimo dissenso della gran parte della popolazione verso l’energia nucleare, con cui i cittadini tedeschi hanno convissuto per decenni e che è tuttora percepita come insicura.
Nessuno, com’è ovvio, può ragionevolmente credere che i paesi che hanno investito fortemente sull’atomo possano spegnere da un giorno all’altro le proprie centrali, ma il fatto che il dibattito negli Usa,in Gran Bretagna, persino in Francia, sia molto acceso, prefigura scenari impensabili fino a poco tempo fa.
E invece sarebbe molto sensato che un paese come il nostro non si imbarchi affatto nell’avventura del nucleare di terza generazione, e che si sospenda immediatamente il programma governativo, a partire da quel decreto in questi giorni in discussione in parlamento sulla localizzazione delle centrali e che ha già ricevuto il parere negativo delle Regioni.
Ma questo è uno strano paese nel quale nel club “amici dell’atomo” si ritrovano coloro che in teoria sarebbero stati chiamati a svolgere le funzioni “terze” di Agenzia per la sicurezza: il presidente, noto scienziato ma del tutto ignorante in tema di tecnologia nucleare, vuole dormire con le scorie, un altro componente, un fisico, il giorno dopo l’incidente si affannava a spiegare che «non era successo niente ».
All’arroganza ideologica di chi vuole a tutti i costi una centrale sulle rive dei nostri fiumi o vicino alle nostre coste abbiamo sempre opposto la forza dell’evidenza, sia in termini di pericolosità delle centrali stesse che delle scorie, sia fornendo i numeri e le potenzialità enormi delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica contro i costi del nucleare, quelli sì davvero insostenibili. Non a caso tutti i sondaggi confermavano, già ben prima del disastro di Fukushima , che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani resta contraria al nucleare.
La scelta di Antonio Di Pietro di promuovere un referendum sul nucleare complica le cose anziché facilitarle. Da 17 anni nessun referendum in Italia raggiunge il quorum, a prescindere da quale sia il quesito. Per incassare un po’ di visibilità Di Pietro mette a rischio un traguardo, battere il programma nucleare del governo, che nell’opinione degli italiani è già vinto. Noi speriamo ancora che il governo ritrovi un briciolo di saggezza e prenda l’unica decisione razionale oggi possibile: fermare il ritorno all’energia atomica. Se così non sarà, il Pd è certamente pronto ad affrontare la sfida della consultazione popolare, consapevole che la stragrande maggioranza degli italiani, anche tra coloro di orientamento politico di centrodestra, di ritorno del nucleare non ne vuole sapere.
da Europa Quotidiano 16.03.11