cultura

"Itaglia 150", di Massimo Gramellini

Andrea Carandini, archeologo di fama mondiale, ha lasciato la presidenza del Consiglio superiore dei Beni culturali: i troppi tagli al bilancio gli impediscono di continuare a svolgere seriamente il suo mestiere. Non sappiamo a chi Carandini abbia materialmente rassegnato le dimissioni, dato che il ministro Bondi non esce di casa da mesi. Però ci piacerebbe almeno sapere che cos’ha fatto di male la cultura a questo Paese per meritarsi un disinteresse così suicida. Nonostante molti lo ignorino o addirittura lo disprezzino, il patrimonio artistico e culturale è l’unico petrolio su cui siamo seduti, nonché la principale e forse unica ragione per cui il mondo si ricorda ancora ogni tanto della nostra esistenza.

Una classe dirigente di buon senso taglierebbe ovunque, tranne lì. Se poi fosse anche una classe dirigente illuminata, proverebbe a immaginare un’Italia diversa. Un’Italia del bel vivere, punteggiata di musei accoglienti, siti archeologici spettacolari e teatri lirici con un cartellone di Verdi e Puccini pensato apposta per i turisti. Un’Italia degli agriturismi e dei centri benessere. Dei mari e delle coste ripulite da tutte le sozzure. Dei pannelli solari installati sui tetti di tutte le abitazioni private. Dei prestiti facili alle cooperative giovanili che propongano iniziative originali nell’arte, nello spettacolo, nella moda e nel turismo di qualità. Un’Italia verde e profumata, il polo attrattivo di tutto ciò che è bello. Saremmo più felici e più ricchi. Ma soprattutto saremmo quel che ci ostiniamo a non voler essere: italiani.

La Stampa 15.03.11

******

“Una parte del Paese sta affondando se stessa”, di Andrea Carandini

Ho scelto un atteggiamento super partes, riuscendo a preservare il Consiglio dagli scontri della politica, convinto che il patrimonio culturale ha a che vedere più con il tutto che con le parti. Ho invitato l’Amministrazione a partecipare alle riunioni del Consiglio, stabilendo con essa un dialogo, che ha arricchito le scelte di riflessione. Ho invitato esperti esterni, che hanno perfezionato i nostri orientamenti. Il Consiglio è così diventato un luogo di dibattito istituzionale allargato. Oltre ai pareri obbligatori in materia di bilancio— progressivamente svuotati di significato per l’abbattimento dei fondi— e oltre alle difese con successo del Codice abbiamo avanzato proposte su questioni importanti. Si è trattato di problemi di rilevanza nazionale (Roma archeologica, vincoli nel Lazio, impostazione della Grande Brera, Galleria Corsini, via Appia), di problemi metodologici (ricostruzione dell’Aquila, rischio sismico, manutenzione programmata, sistemi informativi territoriali) e di problemi riguardo spese e finanziamenti (residui passivi, Arcus). Il fine è stato quello di favorire razionalizzazioni e finalizzazioni che non comportano esborsi. Nel marzo del 2009 il Ministero poteva contare su 155 milioni di euro per la tutela, cifra già allarmante, che per essere giudicata va comparata con la somma che l’istituzione era ed è in grado di spendere: circa 450 milioni l’anno in media per il 2005-2010. Ho sperato in un recupero o quantomeno in una assenza di tagli, come avvenuto per l’Università e la ricerca. Si sono succeduti, invece, tagli sempre più duri, che hanno leso la possibilità del Ministero di agire. Possiamo al momento contare solamente su 102 milioni per curare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, che è un obbligo imposto dalla Costituzione, cui il Ministero non è più in grado di ottemperare. È per questa ragione che mi sono appellato al presidente della Repubblica. A ciò oggi si aggiunge un congelamento del 10 per cento del finanziamento, a favore del digitale terrestre, per cui la disponibilità per gli investimenti è scesa a 92 milioni. Se dividiamo tale somma tra le 269 stazioni appaltanti otteniamo 340.000 euro per ciascuna. Rispetto a soli sei anni fa, il finanziamento è calato del 70 %e il nostro Ministero ha subito il taglio di risorse maggiore (31 %) nell’ultimo quadriennio, escluso il Ministero per l’Ambiente: altro che tagli lineari! Infine occorre l’assunzione di 8 dirigenti, 108 funzionari e 54 vigilanti. Possibili se non ci tagliano un ulteriore 10%. Il ministro Sandro Bondi è stato colpito, prima ancora che dall’opposizione, dal governo e dallo stesso partito di cui è il coordinatore nazionale. Governo che ha risposto alle reiterate richieste con altrettanti dinieghi, compresa una domanda di personale in favore di Pompei: a nulla sono valsi i crolli, il «vergogna» del presidente della Repubblica e le reazioni del mondo. Ho riflettuto su questi dinieghi e sono giunto alla conclusione, molto amara, che nella politica italiana hanno vinto, da ultimo e finora, gli avversari della cultura e dei beni culturali tutelati dallo Stato, che, non potendo abolire il Ministero (accusato fra l’altro di aver intralciato il Piano-Casa), sono riusciti a deprivarlo di uomini e mezzi per neutralizzarlo. A questi avversari della cultura rivolgo lo stesso monito del sottosegretario Francesco Maria Giro: «Fermatevi» . Anche il ritardo nella nomina del nuovo ministro è un segnale che scoraggia. C’è bisogno enorme di orientamento. Confidando in una prossima nomina, ho affidato al Corriere le mie opinioni su un idealtipo di ministro, ma la scelta del successore continua a essere rimandata. Ora nessuno ci difende in Consiglio dei ministri. Credo che il Consiglio Superiore debba rappresentare un bastione tecnico da preservare fino in fondo. Il problema è che il fondo è stato raggiunto. In questa situazione miserevole ho perso la speranza. Se la nave fosse stata colpita da un nemico, rimarrei sulla tolda per dare man forte ai funzionari dediti al bene comune, ma qui è una parte rilevante della Repubblica che affonda sé medesima nella qualità e identità delle nostre vite. Per evitare questa auto-distruzione varrebbe la pena di scegliere, con più fatica e cura, dove premiare e dove tagliare più a fondo, prendendo ad esempio di mira i costi immani della politica, da tutti denunciati ma da nessuno limitati, per salvare un patrimonio di storia e di arte, grazie a una somma contenuta e a un manipolo di assunzioni urgenti. Ho maturato così la decisione di dimettermi da presidente del Consiglio superiore. È bello servire lo Stato, quando sei messo nella condizione di farlo, e sarei ancora pronto a servirlo, ove un atto politico rilevante e concreto arrivasse a segnare una svolta— nella direzione, nei mezzi e negli uomini — senza la quale la prognosi per questo Ministero è la morte. Lancio un allarme: ci stiamo allontanando dalla patria, anche quella visibile fatta di paesaggio, storia e arte. Rischiamo di perderla, e non sono passate neppure cinque generazioni dalla fondazione dello Stato italiano.

Il Corriere della Sera 15.03.11

******
«Lascio contro i tagli alla cultura», di ANDREA CARANDINI

Tagli alla cultura inaccettabili: lascio. Ho deciso di dimettermi per protesta dal Consiglio superiore dei beni culturali. Il Consiglio, preservato dagli scontri della politica, è diventato un luogo di dibattito istituzionale allargato. Ma ci stiamo allontanando dalla Patria, anche quella visibile fatta di paesaggio, storia e arte. Rischiamo di perderla e non sono passate neppure cinque generazioni dalla fondazione dello Stato italiano.
Andrea Carandini è duramente esplicito: «Ci stiamo allontanando dalla Patria, anche quella visibile fatta di paesaggio storia e arte. Rischiamo di perderla e non sono passate neppure cinque generazioni dalla fondazione dello Stato italiano» . Proprio mentre si celebra il 150 ° anniversario dell’Unità. Tutta colpa dei tagli così profondi «che hanno leso la possibilità del ministero di agire» Il suo addio alla presidenza del prestigioso Consiglio superiore dei beni culturali (una sorta di «Parlamento» del patrimonio artistico) allarma quell’universo che vede nell’articolo 9 della Costituzione (l’obbligo della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico) un caposaldo della nostra stessa identità nazionale. Le dimissioni di Carandini arrivano dopo quelle presentate da Bruno Cagli dalla presidenza dell’Accademia di Santa Cecilia, sempre per i tagli ai fondi destinati alla cultura. E dopo il «Va’ pensiero» diretto da Riccardo Muti e cantato da tutti gli spettatori dell’Opera di Roma, di nuovo contro la povertà di risorse. Si tratta delle seconde dimissioni di un presidente del Consiglio superiore: anche Salvatore Settis lasciò nel febbraio 2009 in polemica con il ministro Sandro Bondi, già allora per la politica dei tagli. La prima reazione è stata quella del sottosegretario Francesco Giro, unico interlocutore al ministero dei Beni culturali dopo l’autosospensione da dicembre di Bondi, che attende un ricambio: «Carandini sarebbe anche disponibile a proseguire ma occorrono scelte concrete. Mi farò portavoce affinché il governo ponga fra le priorità il rilancio della tutela e della valorizzazione dei beni culturali con uno stanziamento iniziale di 200 milioni» . Protesta anche il mondo delle associazioni. Ilaria Borletti Buitoni, presidente del Fondo Ambiente Italia, parla di «situazione catastrofica» per i beni culturali e si appella a Berlusconi perché «venga rapidamente nominato un nuovo ministro e si ponga fine a questa inaccettabile e scellerata politica contraria agli impegni impliciti nell’articolo 9 della Costituzione» . Le reazioni politiche. Per Luigi Zanda, Pd, Berlusconi «dovrebbe vergognarsi per le dimissioni di Carandini che si è ribellato all’assassinio della cultura in Italia» . Per Francesco Rutelli, Api, ex ministro, quella di Carandini è «una scelta di grande dignità. Qualcun altro, Bondi, avrebbe dovuto dimettersi per evitare che si dimettesse Carandini» . Fabio Granata, Fli: «Il governo deve trovare immediatamente risorse per la cultura» . Allarme anche dal Pdl. Bruno Murgia, membro della commissione Cultura alla Camera: «Le dimissioni di Carandini fanno riflettere, si tratta di un grande tecnico nominato dal ministro Bondi, dunque super partes. Il governo deve raccogliere il grido d’allarme lanciato da Carandini, ripristinando i fondi per valorizzare il vero patrimonio italiano che è il paesaggio con la sua cultura»

Il Corriere della Sera 15.03.11

2 Commenti

I commenti sono chiusi.