L’immane tragedia che si è abbattuta sul Giappone rischia di cancellare come insignificante, almeno dal nostro punto di vista, una notizia pervenuta pochi giorni prima da Tokyo. Il ministro degli Esteri Seiji Maheara si è dimesso percuotendosi il petto, dichiarando di avere mancato la promessa fatta agli elettori di impegnarsi in una «politica pulita». Per la caduta di un uomo politico tra i più promettenti si è portati a immaginare una condotta particolarmente scandalosa, come intrecci affaristici, frequentazioni malavitose, imbarazzanti festini erotici. Macché. Maheara era accusato di avere ottenuto un finanziamento elettorale da uno straniero, cosa vietata dalla legge. Lo straniero era in realtà una sudcoreana, titolare di un ristorante, che, per quanto nata in Giappone, non può essere naturalizzata. Deploriamo le disposizioni severamente restrittive di Tokyo contro gli immigrati da Seul, ma ci preme al momento quantificare il contributo versato al ministro degli Esteri: scopriamo allora che non equivale a una tangente miliardaria ma, udite udite, a 450 euro!
C’è da restare sbalorditi. Dalle nostre parti un’analoga presa di coscienza dovrebbe indurre decine di parlamentari e pubblici amministratori a sfilare in tv flagellandosi per i voti comprati, le malversazioni di varia natura, le concessioni familistiche e clientelari come quelle testimoniate dalle «affittopoli» di Roma e di Milano.
È chiaro dunque che, parlando di Giappone, ci riferiamo a un altro mondo, a manifestazioni di un’etica pubblica da cui siamo abissalmente lontani e che siamo magari propensi a giudicare aberranti e patologiche. Dovremmo in verità attenerci al nocciolo della questione, rappresentato dall’osservanza delle regole che in Giappone viene richiesta in ogni circostanza e che viene pretesa specialmente dai rappresentanti dei cittadini: un rispetto normativo che si traduce nel rispetto sostanziale del consorzio civile.
È questo il patto al quale, trascurando l’entità dell’obolo, è venuto meno il ministro, accettando di pagarne le conseguenze. Le regole sono il cemento di una società che da esse attinge la sua forza. Anche per affrontare, come accade in queste ore in Giappone, con solidale coraggio non disgiunto da ammirevole freddezza, osservando i comportamenti prescritti, le sciagure che affliggono una terra così aspra e ingrata. La storia del ministro penitente diventa alla fine una parabola in cui tutto si tiene, comprese le nostre scoraggianti inadempienze.
La Stampa 14.03.11