Una tegola da almeno un miliardo di euro rischia di abbattersi sui conti già traballanti di asl e ospedali. Di tutte le regioni, questa volta, senza distinzione tra nord e sud, tra governatori virtuosi o spreconi. Col risultato di farli finire tutti insieme, o quasi, nel baratro dei piani di rientro dal disavanzo, l’anticamera del commissariamento.
Tutta colpa degli «ammortamenti non sterilizzati». Di quelle somme, cioè, che negli anni sono state impiegate con fondi regionali (e non statali) per investimenti, attraverso un indebitamento pluriennale, come i mutui, o attraverso il ricavato di alienazioni patrimoniali di beni disponibili dell’ente territoriale. Fino ad oggi l’onere dell’ammortamento di queste somme con la contabilità finanziaria non era iscritto in bilancio e, dunque, non veniva affrontata la copertura in termini finanziari. Con con l’avvio della contabilità economico-patrimoniale nessuna regione ha continuato a iscrivere queste somme in bilancio, ma ora il ministero dell’Economia chiede di farlo. E di farlo già a partire dai bilanci del 2010, quelli che proprio adesso andranno sotto la lente del governo con i tavoli di monitoraggio della spesa sanitaria regionale.
E qui scatterebbe la tagliola. Perché per le regioni quegli ammortamenti non sterilizzati, senza contropartita economica di entrata, diventerebbero una passività di bilancio. Per un valore complessivo da giustificare al tavolo di monitoraggio che più o meno a livello nazionale si aggira intorno a un miliardo di euro. Somme che precedentemente sono state invece sempre escluse dal calcolo dell’equilibrio finanziario della gestione sanitaria di ogni singola regione. Una vera a propria mannaia. Al punto che il tavolo tecnico delle regioni ha preparato per i governatori una relazione allarmatissima: «Il problema della copertura finanziaria degli ammortamenti non sterilizzati rappresenta una questione critica sotto il profilo della sostenibilità economica e finanziaria dei singoli sistemi sanitari regionali». Di più, si insiste, «è facile prevedere che la maggiori parte delle regioni, avendo costruito il proprio bilancio di previsione con riferimento alle regole finora previste dal tavolo di monitoraggio e, quindi, senza coperture per gli ammortamenti non sterilizzati, potrebbero essere indicate come inadempienti e quindi passibili di assoggettamento a piani di rientro».
Un rischio per «tutte» le regioni, non poche e nemmeno le solite già sotto schiaffo per i bilanci in rosso, si è messo non a caso in evidenza nel confronto già avviato col governo. «Salterebbe il sistema sanitario», si sono detti a porte chiuse giovedì scorso i governatori. Che non a caso chiedono di mettere una pietra tombale sugli anni dal 2001 al 2010. E di partire secondo le nuove regole solo dal 2012, dunque con i bilanci del 2011. Una richiesta che già è stata avanzata al governo e sulla quale forse si discuterà al tavolo convocato per la prossima settimana, quando si tornerà a parlare anche del ristoro dei 475 milioni di tagli al trasporto pubblico locale inferti alle regioni con la manovra estiva.
Partita cruciale al tavolo del federalismo fiscale regionale in discussione in parlamento, la spesa sanitaria d’altra parte continua a spaccare i governatori. Il riparto dei 106,5 miliardi per il 2011 resta in alto mare e, forse, se ne parlerà in conferenza stato-regioni solo a fine mese, dunque con un ritardo storico rispetto alle consuete tabelle di marcia. Anche se proprio nei giorni scorsi le regioni hanno raggiunto un accordo sulla divisione delle somme – ben 1,276 miliardi di euro – per lo spostamento dei pazienti da una regione all’altra in cerca di cure nel 2010. Verso Lombardia (444 milioni), Emilia Romagna (358 milioni) e Toscana (113 milioni) c’è stato l’esodo più massiccio di pazienti (e di somme); Campania (318 milioni), Calabria (240 milioni) e Sicilia (209 milioni) hanno registrato più fughe di pazienti (e di somme) fuori regione. Tutto il sud, con l’eccezione del Molise, è in perdita: il rosso ha superato in totale gli 1,1 miliardi.
Il Sole 24 Ore 13.03.11