Continuo a frequentare le aule e i luoghi d’incontro e di riunione della scuola italiana (intendo qui soprattutto la scuola media, perché per l’Università mi accade più o meno la stessa cosa, ma nel caso suo il discorso sarebbe più difficile o più complesso), e mi sento di esibire a tal proposito le seguenti testimonianze.
La scuola pubblica italiana è un luogo di lavoro, di esperienze e di vita, in cui, in mezzo a difficoltà sempre più gravi, il livello dell’insegnamento e dell’apprendimento è dignitoso, impegnato, civile, rispettoso delle regole e dei principi, ricco di risultati educativi. Se a qualcuno la cosa stesse a cuore, invece di tagli ci sarebbero investimenti, invece di critiche e, sovente, denigrazioni ci sarebbe quel giusto e ponderato apprezzamento che rende più semplice la vita ai buoni e la ostacola ai cattivi.
Da questa istituzione dipende, ovviamente, gran parte del futuro nazionale: coloro che ne sono i principali attori, – insegnanti, studenti, personale – andrebbero considerati alla stregua dei protagonisti più importanti della nostra vita nazionale. Invece, a giudicare dalle scelte di governo, ahimè, di una parte non irrilevante della stessa opinione pubblica, si direbbe che essi siano giudicati né più né meno come ospiti indesiderati e sgraditi, da tener ben chiusi in un recinto sempre più separato, sgradevole e inabitabile.
Il secondo punto è che la scuola pubblica rappresenta in Italia uno degli architravi portanti, non dirò semplicemente dell’unità, ma dell’identità nazionale. Pensateci anche per un solo istante. Nella dissoluzione crescente dei fattori aggreganti costituiti un tempo dagli organismi politici e partitici, nell’avvilimento delle istituzioni e delle funzioni di governo, nella perdita catastrofica di valori e di ideologie, la trama che la scuola pubblica tiene in piedi, fatta di uniformità di programmi, di una certa qual sintonia comportamentale e culturale da parte degli insegnanti, di inclinazioni profonde, non pregiudizialmente antagonistiche e localistiche, delle grandi masse giovanili che la frequentano. Costituisce uno dei fattori superstiti (il più importante?) del sentirsi e dell’essere italiani. Ovunque i medesimi bisogni, le medesime culture, le medesime risposte. Anche qui: invece di celebrare astrattamente l’unità d’Italia, se ne celebri concretamente la scuola, investendovi almeno quanto se ne disinveste.
Su ambedue i versanti l’attacco che viene da Presidenti mostruosi e indecenti e da Ministri tanto ignoranti quanto determinati nella loro opera di distruzione, è comprensibile e forsennato. L’attacco alla Costituzione muove oggi in tutte le direzioni. Ma quello alla scuola ne rappresenta l’acme decisivo. Se passa qui, – qui dove si formano le nuove generazioni e si perpetuano gli elementi molecolari della tradizione culturale nazionale, – passa dappertutto.
La battaglia è aperta, è decisiva, non riguarda soltanto gli insegnanti e gli studenti, riguarda tutti noi, cittadini uomini di cultura, padri e madri, nonne e nonni. Non è una battaglia che consente alternative o patteggiamenti: o ce la facciamo bene o saremo sconfitti. Perciò, per una volta tanto, bando alle divisioni: la scuola richiede un fronte unito, senza perplessi, indecisi o tanto meno disertori.
A queste condizioni ce la faremo, non possiamo non farcela, la forza è ancora enorme.
Il Manifesto 12.03.11